11 ottobre 2018: è la data in cui i consiglieri Federico Benini (Partito Democratico) e Michele Bertucco (Verona e Sinistra in Comune) hanno protocollato l’ordine del giorno per chiedere al consiglio comunale di Verona di revocare la mozione n. 366 del 1995, meglio nota come “mozione omofoba”.

Da allora sono passati più di tre anni, ma la richiesta di tornare a discuterne non riesce a vedere la luce. Colpa della maggioranza – denunciano i due consiglieri – che continua a far scivolare la votazione nel calendario delle sedute, spostandola all’ultimo punto dell’ordine del giorno. «Ancora una volta», si legge in una nota congiunta, «i capigruppo di maggioranza hanno votato per spostare all’ultimo punto dell’ordine del giorno del consiglio di giovedì prossimo il nostro ordine del giorno che chiede la revoca delle mozioni omofobe approvate dal Consiglio comunale di Verona nel 1995. Un ordine del giorno presentato più di tre anni fa e da quasi un anno in calendario ad ogni consiglio comunale. Il criterio adottato crea un precedente e mina alle basi della democrazia. Mai il consigliere di un gruppo di maggioranza era arrivato a decidere se discutere o meno una mozione della minoranza».

Correva l’anno 1995…

L’eredità della “mozione omofoba” è risalente. Fu approvata dal consiglio comunale di Verona il 14 luglio 1995, durante il primo mandato di Michela Sironi.

L’anno precedente, con l’approvazione della risoluzione A3-0028/94 (“Risoluzione sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità”), il Parlamento europeo aveva chiesto agli Stati membri dell’allora Comunità europea di «abolire tutte le disposizioni di legge che criminalizzano e discriminano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso», nonché di evitare, nelle norme giuridiche e amministrative, la disparità di trattamento delle persone con orientamento omosessuale.

I contenuti delle mozioni

Con la mozione n. 366, il consiglio comunale di Verona di fatto respinse il contenuto della risoluzione del Parlamento europeo, impegnando l’Amministrazione comunale «a non deliberare provvedimenti che tendano a parificare i diritti delle coppie omosessuali e quelli delle famiglie “naturali” costituite da un uomo e una donna».

La mozione mise nero su bianco la convinzione dei firmatari che l’omosessualità sia contro natura: «Considerato che», si legge nel testo approvato, «l’omosessualità contraddice la stessa legge naturale e l’applicazione della succitata risoluzione avrebbe, tra l’altro, effetti fortemente negativi sulla formazione psicologica e umana dei giovani i quali, nella promiscuità tra famiglie omosessuali ed eterosessuali, vedrebbero cadere uno dei fondamenti minimali dell’ordine familiare, ossia l’unione stabile tra un uomo e una donna».

Un anno prima, in una mozione dell’8 settembre 2014 la stessa maggioranza ribadì che «sola e autentica famiglia è la società naturale avente per fondamento il matrimonio tra uomo e donna, e aperta alla vita».

Tra favorevoli e contrari (di ieri e di oggi)

La mozione n. 336 fu approvata a larga maggioranza. Con undici astensioni e sei voti contrari, furono ventuno i consigliere comunali che si espressero a favore: Arieti, Artuso, Bajona, Bertozzo, Bettini, Bottoli, Brunelli, Burri, Butturini, Carletti, De Lucca, Galli Righi, Grassi, Maccacchero, Marchesini, Mariotti, Padovani, Pisa, Pozzerle, Spiazzi, Vaccaro.

Nomi del passato, in continuità con il presente. Per fare qualche esempio: il primo firmatario era l’allora consigliere di maggioranza Francesco Spiazzi, alle ultime elezioni candidato nella lista “Battiti – Verona Domani” a sostegno di Sboarina; Massimo Mariotti è stato rieletto in consiglio nel 2017 in quota Fratelli d’Italia, salvo poi rinunciare alla nomina; Luigi Pisa è stato assessore durante la stagione di Tosi.

Flavio Tosi che, all’epoca giovane consigliere della Lega, si astenne.

Due mozioni mai più discusse

Dal 1995 ad oggi, il Comune di Verona non è più riuscito a smarcarsi da queste mozioni. Nel frattempo si sono susseguite altre cinque maggioranze, nessuna delle quali ha ritenuto di promuoverne la cancellazione e di voltare pagina: non l’hanno fatto le quattro maggioranze di centrodestra (quella del secondo mandato di Michela Sironi, quella di Flavio Tosi – per due mandati – e quella attuale di Sboarina), ma nemmeno la maggioranza di centrosinistra guidata da Paolo Zanotto.

Una prima richiesta di revoca della mozione n. 336 fu presentata nel 2013 dagli allora capigruppo De Robertis (Sel) e Bertucco (allora nel PD). La proposta fu tuttavia bocciata con i voti contrari dei consiglieri della maggioranza guidata da Tosi.

I contrasti con la legge Cirinnà

Benini e Bertucco evidenziano poi il contrasto dei contenuti della mozione rispetto alla «Legge 76 del 20 maggio 2016, meglio nota come Legge Cirinnà, la quale stabilisce senza possibilità di equivoco che “all’interno di leggi, regolamenti e atti amministrativi” ed ovunque ricorrano le parole “coniuge” oppure “coniugi”, ovvero termini equivalenti, le disposizioni relative si applicano anche ai contraenti di unione civile, dunque anche alle unioni tra persone dello stesso sesso».

«Gli indirizzi contenuti nelle mozioni del 1995», concludono i due consiglieri, «sono quindi d’intralcio alla effettiva applicazione dei diritti e doveri previsti dalla Cirinnà».

Per una ripartenza culturale

È evidente che, nei fatti, la mozione è stata ampiamente superata dalla legislazione europea e nazionale: la sua presenza ovviamente non impedisce la celebrazione, anche a Verona, delle unioni civili, come non ha impedito nel 2015, all’allora sindaco Tosi, l’apertura al riconoscimento delle coppie di fatto.

Più che sotto il profilo giuridico, quindi, la questione va letta sul piano culturale. Perché lo spirito e i contenuti della mozione sono ancora lì, intoccati da oltre vent’anni.

È ora di fare un tagliando alle idee, all’approccio valoriale. Un tagliando che coinvolga non solo i consiglieri comunali (la cui maggioranza, evidentemente, è del tutto appiattita su queste posizioni), ma l’intera comunità.

È questo, ciò che i veronesi pensano? È con queste idee che Verona vuole essere vista oltre le sue mura? L’immagine di una città e il suo impianto di valori sono un patrimonio comune che non può rimanere ostaggio di una campagna elettorale perenne.

Questione di priorità?

Non c’è tempo per discutere di tutto ciò? Ci sono questioni più importanti da affrontare?

Molto più probabilmente, l’espediente dei continui rinvii serve a difendere una bandiera ideologica, magari evitando di metterci la faccia con un voto negativo all’ordine del giorno di Benini e Bertucco.

Perché la mozione n. 366 ha fatto da apripista a una serie di mozioni dello stesso tenore. Pensiamo alla mozione n. 426 del 2014, “Famiglia, educazione e libertà d’espressione”, alla mozione n. 1058 del 2019, per sostituire la dicitura “Genitore 1” e “Genitore 2” con “Madre” e “Padre” nelle carte di identità, e ancora la mozione n. 1527 del 2020 con cui si impegnava l’amministrazione comunale a sostenere la posizione della CEI contro il disegno di legge Zan.

Per votare queste mozioni, il tempo lo si è trovato.

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