Per un caso del destino incontriamo Flavio Tosi proprio nell’anniversario della vittoria elettorale di Federico Sboarina, che tre anni fa pose fine a un decennio di amministrazione tosiana. Quale migliore occasione quindi per fare bilanci e parlare delle prospettive per il futuro della città con ad oggi l’unico candidato ufficiale allo scranno di sindaco di Verona alle prossime amministrative, ricordando che Sboarina ha più volte affermato che non si sarebbe candidato per un secondo mandato. Scambiamo qualche battuta sul recente coinvolgimento in un’inchiesta che lo vede accusato di peculato, Tosi si mostra assolutamente sereno e si dice convinto che ne uscirà scagionato come è uscito da altre inchieste simili.

Tosi, tre anni fa in questi giorni lei era reduce da una sconfitta gravissima, che l’aveva fatta passare dallo status di leader politico nazionale a quello di consigliere di opposizione e la sua parabola politica da molti era considerata conclusa. Oggi, tre anni dopo, è tornato a essere un soggetto politico con il quale è impossibile non confrontarsi per ogni ragionamento sul futuro della città. Cosa è successo nel frattempo?
«Prima di tutto io sono un combattente che non molla mai, perché non fa parte del mio carattere. Se tre anni fa avessi accusato la sconfitta e considerata definitivamente persa la battaglia non ci sarebbe stato alcun seguito alla mia esperienza politica. Poi il risultato negativo della sconfitta ha avuto un aspetto positivo: ha consentito ai veronesi di fare il confronto tra la mia amministrazione, che è stata produttiva, e l’immobilismo dell’amministrazione Sboarina, che nella percezione della cittadinanza è riuscita a essere considerata peggiore delle peggiori. Credo che questi due fattori abbiano contribuito alla mia rinascita politica.»

Guardandosi alle spalle, c’è qualcosa che pensa di aver sbagliato di quella campagna elettorale di tre anni fa o che comunque non rifarebbe?
«In quella campagna elettorale avrei dovuto far conoscere per tempo Patrizia Bisinella (la candidata sindaca contro Sboarina, nda). Invece la presentammo solo 40 giorni prima delle elezioni e tutti la etichettarono come “la fidanzata di Flavio Tosi”, senza che emergessero le sue capacità. Alla città non fu dato il tempo di metabolizzarla. E quello è un mio errore e lo ammetto.»

In questi giorni ricorre il terzo anniversario dell’insediamento di Sboarina sindaco. Cosa rimane di questo periodo e cosa c’è ancora da fare?
«C’è da riprendere in mano tutto. Il progetto di recupero dell’Arsenale è impantanato, il filobus è impantanato, all’Ikea il sindaco ha detto no. Ha opposto una serie di veti a iniziative importanti che erano già impostate, puntando tutto su due cose che non gli andranno in porto: il nuovo stadio, che non era nel suo programma e la fusione tra AGSM e A2A che è di fatto una svendita ai milanesi e che pure non era nel suo programma elettorale, quantomeno in questi termini. Il risultato saranno cinque anni di nulla.»

A proposito dell’Arsenale, era un cantiere sul punto di iniziare, ma dopo tre anni l’intervento di recupero ancora non si vede.
«Fin dalla campagna elettorale Sboarina aveva affermato che avrebbe bloccato il progetto con il pretesto che si sarebbe fatto un centro commerciale, quando su di una superficie di 40.000 mq circa erano previsti 2.500 mq di commerciale. Avrebbe potuto trovare un accordo con Italiana Costruzioni e intestarsi politicamente l’intervento che avrebbe inaugurato lui, ma ha preferito bloccare tutto, con il risultato che ancora non è stato fatto niente. Oltre tutto quello che all’epoca proponeva Italiana Costruzioni ora, con le presenti condizioni di mercato, non sarebbe più praticabile.»

(Ricordiamo che inizialmente il progetto preliminare prevedeva oltre 5.000 mq di spazi commerciali, successivamente dimezzati e la querelle sulle aree commerciali ruotava attorno alla destinazione d’uso della prevista corte coperta centrale, nda).

Facciamo un salto in avanti nel tempo: ipotizziamo che Flavio Tosi tra due anni ritorni ad essere il sindaco di Verona. Tre cose che vanno assolutamente fatte a Verona.
«Traforo, recupero dell’Arsenale, Ikea.»

Parliamo di Lega, il movimento in cui lei è nato e cresciuto. C’è un’area, e mi riferisco a quella che ha fatto capo a Gianni Fava, candidato all’ultimo congresso contro Matteo Salvini, che guarda con insofferenza alla svolta nazionalista che “il capitano” ha impresso al movimento e vorrebbe tornare alle battaglie federaliste che sono state la sua ragione d’essere. Secondo lei ora c’è lo spazio politico per queste tematiche?
«Non all’interno della Lega. Salvini nonostante i 10 punti di consenso persi in qualche mese durante la pandemia e che sono stati travasati nel movimento della Meloni, ha normalizzato il partito ed è impossibile ora scalzarlo dalla leadership. Parlamentari, europarlamentari, commissari provinciali e regionali, sono tutti uomini suoi. Il movimento è stato commissariato e viene da lui controllato in maniera ferrea. Tuttavia, prima o poi con le istanze autonomiste occorrerà fare i conti. Il processo iniziato con i referendum per l’autonomia del Veneto e della Lombardia segna il passo e Salvini non pare molto interessato a un’accelerazione, preso com’è dalla ricerca del consenso al Centro-Sud. Ormai si è votato da più di tre anni e prima o poi l’opinione pubblica del nord comincerà a chiedere conto di cosa si è fatto fino a ora. È solo questione di tempo.»

E Luca Zaia in tutto questo?
«È l’ultimo dei mohicani della vecchia scuola, quella che conosce le regole dell’amministrazione, l’ultimo dopo Roberto Maroni e il sottoscritto tra quelli che possono far ombra a Salvini e che da lui non è ancora stato fatto fuori, nonostante gli avesse fatto terra bruciata attorno non candidando alle politiche i suoi “Zaia Boys”. L’ottima gestione dell’emergenza Covid-19 ha dato una mano a Zaia, ribaltando in suo favore i rapporti di forza con Salvini, che altrimenti l’avrebbe messo nell’angolo, ma il problema è solo spostato. Zaia fra 2-3 anni andrà a fare il ministro in un governo di Centrodestra liberando il campo a Venezia a un uomo di Salvini.»

Ma di essere l’anti-Salvini come è stato evocato dalla stampa a Zaia passa per la testa?
«No, perché non è nella sua indole. Zaia è stato nel tempo bossiano, maroniano, salviniano, all’interno della Lega ha sempre saputo adattarsi al corso del momento, contro il quale non è mai andato.»

Parliamo dello spazio politico del centro. Negli ultimi anni molti hanno provato a occuparlo. Scelta Civica, Corrado Passera con Italia Unica, Stefano Parisi con Energie per l’Italia, ora abbiamo i tentativi di Matteo Renzi e Carlo Calenda, ma pare una missione impossibile. Come mai?
«Il tappo di tutta questa situazione è Forza Italia, la quale rappresenta l’approdo naturale di un elettorato concreto, moderato e pragmatico. I voti che sono stati persi dalla Lega negli ultimi mesi avrebbero dovuto venire intercettati da Forza Italia ma finché questa non si saprà rinnovare, e rimarrà sclerotizzata su di una classe dirigente sempre uguale a se stessa, non riuscirà a fare da volano al rinnovamento dello spazio politico di centro in Italia.»

Il prossimo appuntamento elettorale saranno le elezioni regionali. Che farà Flavio Tosi?
«Non mi candido per la Regione, avendo l’intenzione di correre per le amministrative a Verona come sindaco. Non ritengo corretto spendermi in prima persona su altri fronti. Abbiamo però un gruppo numericamente importante sia in città che in provincia e valuteremo a chi dare una mano nell’ambito del centrodestra, ma sempre in prospettiva locale. Sarà una operazione strategica nell’ottica della realtà di Verona.»

E del suo partito “Fare!” che ne è stato?
«”Fare!” esiste, è tra i pochi partiti nazionali con tutti i crismi previsti dalla normativa nazionale in termini di bilancio e, come dicevamo prima, sta aspettando l’evoluzione dello spazio politico del centro in Italia. Un’evoluzione che dovrà esserci prima o poi. È solo una questione di tempi, ma sicuramente succederà.»

E finché si aspetta questa riorganizzazione del quadro politico nazionale, che cosa succede?
«Succede che assai probabilmente questa legislatura durerà per almeno due anni, forse anche tre. Gli unici partiti che vorrebbero ora andare al voto sono Lega e FdI, ma tutti gli altri non ne hanno nessuna intenzione, FI compresa. È ragionevole pensare che l’emergenza economica che si presenterà in autunno non venga gestita da Conte, ma da un’altissima personalità, come può essere un Mario Draghi, che tuttavia per mettersi in gioco dovrà avere la garanzia assoluta che i suoi provvedimenti saranno approvati. La famosa carta bianca.»