Alla fine del sesto giorno, il Romanzo Quirinale scrive un’altra pagina della sua storia. Sergio Mattarella rimane il dodicesimo Presidente della Repubblica (in questi casi il conto non si aggiorna), per la seconda volta nel giro di dieci anni un inquilino uscente del Colle viene riconfermato nell’incarico. Quella che si è conclusa però è un’elezione che lascerà degli strascichi molto pesanti su tutto il sistema politico italiano nei prossimi mesi: di fatto le elezioni del 2023 sono iniziate ieri.

Come siamo arrivati alla riconferma di Mattarella

La serata di venerdì si era concluso con l’affaire Belloni. La sua candidatura, annunciata dal segretario della Lega Salvini e supportata da Conte e Grillo, non ha però superato la nottata. Troppo forti i No che sono piovuti da Italia Viva e Forza Italia e anche il PD ha preferito non sbottonarsi sulla proposta, l’insieme di tutti questi fattori ha di fatto decretato la fine della candidatura della Direttrice del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Nella mattinata di sabato la situazione appare praticamente già definita. Salvini va davanti alle telecamere e chiede a Mattarella di restare al suo posto. È una resa di colui che nell’ultima settimana si era intestato il ruolo di king-maker, il coniglio dal cilindro alla fine non è uscito.

La svolta ufficialmente avviene intorno alle ore 11:00 grazie al Presidente del Consiglio Draghi che in un incontro con lo stesso Mattarella gli chiede di restare e di accettare l’esito della votazione. Il Presidente della Repubblica risponde che il Parlamento è sovrano, le remore sono finalmente cadute e la partita può essere chiusa. Unica condizione richiesta: che siano i capigruppo di Camera e Senato dei vari partiti a salire sul Colle e ufficializzare la richiesta di accettare di rimanere, segno che la riconferma è frutto di una volontà dal “basso” e non di una strategia dei leader politici studiata a tavolino.

L’ottava votazione è quella decisiva

Nel frattempo, mentre Draghi è impegnato a convincere Mattarella a restare, nell’aula di Montecitorio si svolge la settima votazione, un antipasto di quello che accadrà di lì a poche ore. L’Assemblea è ormai orientata fermamente e vuole la riconferma del politico democristiano, e successivamente tra i fondatori del Partito Democratico. L’ottava votazione, quella serale, è quella giusta: con 759 preferenze – la seconda vittoria più larga di sempre dopo Pertini, inarrivabile a 832 preferenze, nel 1978 – Mattarella resta al suo posto, votato praticamente da tutti i partiti tranne da Fratelli d’Italia.  Di fatto nell’assetto istituzionale del Paese non cambia nulla: entrambe le figure di maggior peso politico restano al loro posto. A cambiare è tutto il resto, la coalizione di centrodestra non esiste più (parole di Ignazio La Russa) e in alcuni partiti, su tutti Lega e Movimento 5 Stelle, si annuncia un clima da Notte dei Lunghi Coltelli con, da una parte, lo scontro fra Salvini e Giorgetti e, dall’altra, quello fra Conte e Di Maio. In termini ridotti, anche in casa Partito Democratico la situazione si annuncia piuttosto agitata con Franceschini in contrasto con Letta mentre in Forza Italia sembra partita la lotta di successione al trono berlusconiano. Il cielo sembra apparentemente sereno solo per Fratelli d’Italia che si confermano forza d’opposizione senza grossi scossoni.

Cosa succede adesso

Il settennato che inizia adesso, ammesso e non concesso che Mattarella decida di portarlo a termine fino al 2029, sarà sicuramente molto impegnativo. Sulla carta, coprirà tre legislature: questa che si sta concludendo, la prossima interamente e il primo anno della successiva ancora. Per la politica italiana è un periodo che corrisponde grosso modo ad una decina di ere geologiche.

Nel breve periodo, il Governo va avanti. Vero che non ne esce rinforzato – una nomina di Draghi al Quirinale avrebbe avviato una stazione di presidenzialismo de facto nel Paese – ma neppure troppo indebolito. In questo, si è rivelata molto saggia la decisione di Letta su tutti: il segretario del PD, pur essendo il principale sostenitore della candidatura dell’ex Presidente della Banca Centrale Europea al Quirinale, ha fiutato l’aria di tempesta e ha preferito non portare mai in aula la sua candidatura. Questa mossa si è rivelata decisiva e oggi Draghi può arrivare a fine legislatura e sperare di riprovarci per la corsa al Colle a stretto giro qualora Mattarella, magari tra un anno e subito dopo le elezioni politiche, dovesse rassegnare le proprie dimissioni. 

A quel punto però, molto dipenderà da che tipo di Parlamento ci sarà. Una cosa è certa: avremo un Parlamento più “leggero”. Per la prima volta, infatti, si passerà alle prossime elezioni dagli attuali 630 deputati e 315 senatori, a 400 deputati e 200 senatori.

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