L’insegnamento principale che ricaviamo dal Dopoguerra ad oggi è che la pace favorisce il benessere e viceversa. Se è vero che la Guerra, bruciando risorse, permette effettivamente poi nuove spinte evolutive, appare evidente come la sfida della crescita oggi non possa essere giocata su una iniziale tragica decrescita provocata artificiosamente. Sebbene qualcuno ogni tanto lo paventi, la Guerra non è una soluzione. La sfida vera è piuttosto quella di costruire un sistema che permetta stabilità e prosperità pur nella consapevolezza che il PIL non possa crescere all’infinito. Proviamo a tracciare alcune valutazioni che potrebbero essere alla base di un’azione politica efficace.
Innanzitutto, la recente crisi ha dimostrato che la globalizzazione duratura sia una mera illusione in presenza di regole non omogenee, una concentrazione di capitali elevatissima e una parte di mondo che non può permettersi nemmeno i beni di prima necessità. Lo sviluppo economico e sociale dei paesi più arretrati non è solo un obiettivo etico, ma deve diventare una risposta necessaria ed efficace contro l’attuale stagnazione dei mercati e contro quei flussi migratori che stanno spopolando certe aree del mondo ed esercitando pressioni su altre. Trasformare l’Africa, il Sudamerica e l’estremo oriente in mercati appetibili per le aziende, sarebbe d’altra parte un meccanismo simile a quello adottato dagli Stati Uniti con l’Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una sorta di Piano Marshall per i Paesi in via di sviluppo. Ne conosciamo l’efficacia, ma anche i limiti nel lungo periodo. È comunque un’azione che avrebbe indubbi benefici, prima di tutto sociali, ma che dubitiamo l’Europa sia in grado di portare avanti con medesima forza e fermezza degli Stati Uniti degli anni Cinquanta.

Orban e Salvini, due tra i politici maggiormente euroscettici

Nel frattempo, diventa indispensabile che ogni Stato europeo ceda definitivamente gran parte della propria sovranità, per partecipare al completamento dell’Unione Europea, la cui tenuta e utilità è stata proprio certificata in questi anni di crisi (se non ci fosse stata, la si sarebbe dovuta inventare, a prescindere da ciò che dicono una minoranza di esperti). Il perfezionamento dell’Unione Europea deve essere improntato, come già accennato precedentemente, ad un’armonizzazione delle regole, in primis quelle fiscali, per garantire ad ogni attore economico medesimi diritti e doveri. La partita della concorrenza deve giocarsi ad armi pari, altrimenti non vi sarà mai unione. Dopo la Brexit e gli innumerevoli venti antieuropeisti che anche in Italia hanno animato la scena politica, il delineare uno scenario simile appare utopistico, ma l’idea stessa di Unione si fonda su una visione che fu in origine per certi versi visionaria. È una strada da percorrere, senza indugio.

La pressione fiscale in Europa nel 2017 elaborata da Price Waterhouse Coopers

Il secondo aspetto su cui occorre intervenire riguarda gli indicatori economici. Occorre affrancarsi dal Pil tradizionale e numeri similari. Diventa necessario introdurre dei parametri che sommino ai valori tangibili e oggettivamente misurabili, tutta una serie di intangibles che permettano di comprendere se davvero ci sia sviluppo e di qualità. Già negli anni Settanta se ne parlò con chiaro riferimento ai temi ambientali, ma questo è solo uno degli aspetti da considerare. Ci sono anche questioni etiche, sociali e culturali che devono essere coinvolte nei calcoli. Vivere ad esempio in una società in cui un bambino di otto anni possa andare liberamente a scuola che valore ha? o, cambiando radicalmente contesto, quale può essere il plusvalore di un mercato in cui le aziende operano in libera concorrenza senza distorsioni legate a lavoro nero, usura e quant’altro? La definizione di parametri che vadano a misurare lo stato di salute delle economie di un territorio sulla base non solo di elementi oggettivi e quantitativi, ma anche di componenti qualitative valorizzabili, diventa un presupposto basilare per favorire e promuovere sistemi economici e sociali etici. L’obiettivo è quello di volgere lo sguardo al benessere del cittadino, non solo alla massimizzazione dei profitti monetari, peraltro indispensabili a tutela delle azioni e dei rischi imprenditoriali. Occorrerebbe in tal senso nominare una commissione di massimi esperti che per un biennio lavori alacremente alla definizione di questi nuovi parametri e che diventino la base per elaborare le strategie politiche e amministrative del futuro. Sarebbe un modo per superare il sistema Capitalistico, senza rinnegarlo del tutto, ma semplicemente dando un valore e un’importanza diversa alle cose. Si creerebbero nuove e diverse imprese, si tornerebbe a dare un valore adeguato ad alcune professioni, si favorirebbe lo sviluppo di una società più etica, in cui la concorrenza non si fondi esclusivamente sugli aspetti monetari. Anche in questo caso, trattasi di un’ipotesi di lavoro per certi versi visionaria, ma altrettanto necessaria.

La scuola diventa il punto di riferimento degli investimenti e di qualsiasi azione riformista strutturale

Sul fronte interno, i singoli Stati non hanno grandi armi per fronteggiare questa crisi così sistemica. È assurdo pensare che un qualsivoglia governo in Italia ci possa portare fuori dalla crisi senza una coordinata politica europea. I successi e insuccessi locali dipendono per larga parte ormai dalle scelte dell’Unione, con buona pace di chi inneggia all’autarchia e alla chiusura delle frontiere. Alcune azioni possono essere comunque avviate dai singoli governi. Sul fronte italiano, si sa, il debito pubblico non consente grandi manovre, però senza dubbio la lotta all’evasione diventa un presupposto fondamentale per proporre un sistema diverso e per recuperare finanza da reinvestire. La stessa dovrebbe essere destinata alle infrastrutture, così da far ripartire alcuni settori, e ad una riforma fiscale che si basi sulla logica dei crediti d’imposta, non più sui contributi a fondo perduto. Questi ultimi sono spesso oggetto di frodi e arricchimenti indebiti a danno dello Stato, non solo nei territori in cui sono più presenti le organizzazioni criminali. I crediti d’imposta viceversa, oltre a favorire l’emersione del nero, sono meno aggredibili da azioni spregiudicate. Prova ne è l’ormai sistemico meccanismo che vige in merito ai lavori ristrutturazione degli immobili e sugli interventi che garantiscano un risparmio energetico. Il complesso normativo vigente, pur modificato negli anni, ha goduto di un successo incredibile e di un sostanziale autofinanziamento.

Analisi storica del cuneo fiscale secondo le stime di Assolombarda

L’altro aspetto su cui si deve muovere l’azione governativa riguarda il lavoro. Certamente l’abbattimento del cuneo fiscale è una manovra da compiere seguendo la sacrosanta valutazione che il lavoro dipendente non può essere tassato più di una rendita finanziaria. La questione più complessa riguarda però un altro aspetto: oggi in Italia non è il lavoro a mancare, ma il corretto incrocio tra domanda e offerta. Da un lato certamente l’imprenditore propone paghe inferiori alle aspettative, ma il problema principale è che le aziende cercano profili che il nostro sistema non produce. In sostanza in Italia ci sono tanti lavoratori con professionalità inutili, mentre mancano altre competenze molto richieste. Come risolvere il problema? Il metodo è uno solo: cultura. Più è alta la formazione individuale e la conoscenza, più i lavoratori hanno facilità ad apprendere nuove competenze e a adattarsi alle diverse esigenze del mercato. Occorre dunque investire sulla scuola, con l’obiettivo di farne un’eccellenza mondiale in tutti gli ordini e gradi, ben sapendo che gli effetti si vedranno dopo un ventennio. Ci si potrebbe poi dilungare sulla necessità di arginare il fenomeno della criminalità organizzata, della sua capacità di insinuarsi nelle economie del territorio senza più spargimenti di sangue, ma devastando dalle fondamenta il sistema. Sappiamo che in Italia tale opera non possa prescindere anche in questo caso da un’evoluzione culturale. E allora, vero cuore di intervento di un paese che vuole crescere e svilupparsi secondo modalità etiche e sostenibili, è proprio la scuola. Non possiamo credere che tali valutazioni non siano condivise da un Governo di centro-sinistra che si rispetti. Attendiamo azioni.