Il 14 luglio prossimo la Commissione Europea presenterà un pacchetto di provvedimenti denominato “Fit for 55” per poter realizzare il nuovo obiettivo recentemente concordato di riduzione delle emissioni di CO2 del 55% al 2030. Si tratta di un obiettivo particolarmente ambizioso, difficile da raggiungere senza provvedimenti drastici e veramente incisivi nei settori più energivori e consumatori di combustibili fossili, fra questi vi è certamente la Mobilità in quanto responsabile di quasi un quarto del totale emissioni di gas a effetto serra dell’Unione.

Considerato l’alto tasso di motorizzazione europeo (in Italia 655 auto ogni 1000 abitanti) e la quantità e la qualità delle strutture produttive, distributive, finanziarie che costituiscono il “mondo dell’auto”, cambiare paradigma sostituendo combustibili fossili con energia rinnovabile è un’impresa tecnologicamente ed economicamente rilevante. Coloro che per primi forniranno il prodotto giusto e le soluzioni più efficienti, in linea con i principi dell’Economia Circolare e della mobilità dolce, determineranno gli standard operativi e diventeranno leader in un mercato di enormi dimensioni.

Non è quindi banale fissare un limite temporale oltre il quale le auto a benzina e diesel non verranno più vendute nei Paesi dell’Unione. Per quella data dovrà essere operativa una capacità produttiva di auto elettriche capace di soddisfare le richieste, dovrà essere disponibile una sufficiente produzione di energia elettrica rinnovabile, dovranno essere riconvertiti i vecchi impianti e ricollocati i lavoratori, adattata la mobilità urbana delle città, il tutto commisurato all’urgenza climatica di azzerare le emissioni di CO2 nel più breve tempo possibile.

Non tutti gli stati dell’Unione sono preparati ad affrontare un cambiamento di queste dimensioni nello stesso modo e negli stessi tempi. La Germania, capofila dei paesi del Nord, ad esempio, disponendo di una forte industria dell’auto, incalzata dalla sua Corte Costituzionale ad essere più incisiva nella decarbonizzazione, punta al 2030 come data di riconversione, mentre l‘Italia, con il Ministro Enrico Giovannini, ha proposto di sospendere le vendite di auto endotermiche al 2040.

Con una intervista al Financial Times della scorsa settimana, Frans Timmermans, vice presidente dell’esecutivo UE con delega al Green Deal, ha anticipato la sua proposta di compromesso che prevederà principalmente due condizioni:

  • divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel entro il 2035
  • la riduzione delle emissioni della mobilità al 2030 non dovrà più essere del 37,5% rispetto al livello del 2021 ma del 60%.

La seconda condizione potrebbe risultare ai più poco comprensibile ma è quella che influirà maggiormente sulla vita delle città. Per rispettarla occorrerà ridurre il traffico veicolare privato, aumentare il trasporto pubblico e la mobilità dolce, rottamare inesorabilmente le auto più inquinanti. Nel complesso si dovrà accelerare le produzioni di auto elettriche, l’estensione dei punti di ricarica e soprattutto amplificare la generazione di energia rinnovabile.

Un programma mozzafiato, ma Timmermans ribadisce: «L’industria automobilistica ha davvero abbracciato l’idea di decarbonizzare. Ci sarà sempre una discussione sul passo da tenere ma penso che abbiano capito che questa è la strada da seguire».

Probabilmente Timmermans ha in mente l’industria automobilistica tedesca, da tempo preparata al cambiamento e probabile futura leader della transizione ecologica nella mobilità.

Risulta invece tardivo e disarticolato il recente annuncio dell’A.D. di Stellantis (ex FIAT), Carlos Tavares, di costruire a Termoli, in Molise, una fabbrica di batterie per le auto elettriche  del gruppo. «Rappresenta una scelta coerente nel contesto del percorso di Stellantis verso la completa transizione energetica» fa sapere Tarvares ma non si ha idea di come l’indotto italiano dell’auto intenda procedere.

Anche la città di Verona si trova impreparata, confusa.

Nel settembre 2020, l’assessore Luca Zanotto, coadiuvato dai consulenti della società Sintagma, ha presentato il Piano urbano di mobilità sostenibile (PUMS) che disegna la mobilità veronese al 2030 ma, già nel febbraio 2021, la collega assessora Ilaria Segala, nel diffondere il PAESC (Piano Ambiente Energia Sostenibile Clima), lo dichiarava largamente insufficiente. Ora la proposta Timmermans lo affossa definitivamente.

Sono gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 nella mobilità che meglio descrivono in modo sintetico il disallineamento della proposta Zanotto: il PUMS prevede una riduzione del 10%, l’Europa indica il 60%.
La quasi assenza di dibattito cittadino su questo importante tema lascia poi intuire l’incapacità di formulare piani alternativi. Unica eccezione la mozione urgente presentata dal consigliere Tommaso Ferrari del Movimento Civico Traguardi il 10 giugno scorso, per chiedere la riformulazione entro il 2021 del PAESC e del PUMS adattandoli, coerentemente con le indicazioni del Green Deal, ai nuovi obiettivi di decarbonizzazione europei.

Che l’amministrazione del sindaco Sboarina su questi argomenti sia in difficoltà progettuale lo ha ammesso anche l’assessora Fondi UE e Innovazione Tecnologica  Francesca Toffali intervenendo il 5 luglio scorso all’assemblea annuale dell’Ordine degli ingegneri di Verona. Chiamata a illustrare  i piani e i progetti del comune per il PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza, il piano per la transizione ecologica), sebbene abbia avuto «una call con tutti i settori dell’amministrazione» non ha poi ritenuto interessante riportare nessuna delle idee progettuali inserite nel PUMS e nel PAESC predisposti dai colleghi di giunta.