«Al momento la comunità ucraina guarda al futuro convinta di vincere, ed è eccezionale» è stato il commento introduttivo del professor Simone Bellezza alla conferenza dedicata al tema “La crisi ucraina fra storia, diritto e politica” organizzata dall’Università di Verona presso il Polo Santa Marta.

Simone Bellezza, docente di Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, ha illustrato il percorso storico che dal 1991, anno dello scioglimento dell’Unione Sovietica, ha progressivamente portato alla costruzione delle due identità nazionali che da circa un mese si stanno scontrando, dopo l’attacco portato dalla Russia.

Stupisce che dall’implosione dell’ex Urss sia sorto ex novo uno Stato civico, l’Ucraina appunto, che al suo interno include diverse lingue ( russo, ucraino, rumeno, bulgaro) e diverse confessioni religiose (almeno quattro quelle cristiane, più altri culti minoritari). D’altronde il 1° dicembre 1991 l’allora presidente Leonid Kravcuk concesse la cittadinanza a tutti i residenti in Ucraina a quella data. È, quella, l’intuizione che segna la nascita dell’Ucraina come Stato civico, dato che fino ad allora politicamente la “piccola Russia” non era mai esistita.

I due Paesi all’epoca erano molto simili. In quegli anni si assistette al crescere del potere degli oligarchi, quella ristretta cerchia di sindaci, politici, imprenditori che prendono progressivamente il controllo politico ed economico del Paese. «Nel 1999, Ucraina e Russia presero strade diverse – spiega Bellezza – Nel 1999 Putin ottenne il potere per la prima volta e da subito si dedica alla costruzione di una dittatura personale. Putin, infatti, “chiese” alle elite di non occuparsi più di politica». «In Ucraina invece – prosegue il docente – Viktor Juscenko avviò riforme economiche senza precedenti, contro la classe degli oligarchi. Dopo due anni il Parlamento però lo sfiduciò, ma l’idea che ci possa essere un cambiamento nel frattempo aveva iniziato a farsi strada. L’Ue è ancora sinonimo di libertà e ricchezza».

Simone Bellezza, in collegamento da Napoli

Nello stesso periodo (il 16 aprile 2000, ndr)  il giornalista fondatore della testata Ucrainska Pravada Georgie Gongdaze venne trovato decapitato. Qualche tempo dopo vennero ritrovati dei nastri nei quali si sentiva il neo presidente Leonid  Kucma chiedere l’omicidio del giornalista. Il presidente non venne incriminato – prosegue lo storico – ma nel 2001 emerse un nuovo capo politico, Juscenko, allo scopo di portare il cambiamento tanto atteso. La popolazione era stanca della corruzione e nel 2004 rispose alla chiamata del leader per protestare contro i brogli elettorali che si erano nel frattempo verificati durante le elezioni. «È, quella, la prima rivoluzione , a cui seguirà quella di Euromadain del 2014 ( la cosiddetta “rivoluzione della dignità”) ed è anche il primo momento in cui i cittadini ucraini percepiscono se stessi come coloro che combattono per la democrazia – conclude il professore di Storia – Dalla rivoluzione della dignità nascerà una democrazia forte e, a mio avviso, è questo che spaventa Putin, più della Nato».

Smontare Putin

La docente di Diritto internazionale dell’Università di Verona Annalisa Ciampi ha poi illustrato la situazione delle contromisure adottate dagli organismi sovranazionali, dai singoli Stati e dai privati verso la Russia, spiegando limiti e punti di forza delle varie azioni intraprese. «Giuridicamente il quadro è abbastanza semplice: abbiamo uno Stato che viola il divieto dell’uso della forza, della sovranità territoriale di un altro Stato, ne occupa una parte e vi rimane.  Abbiamo una violazione del divieto di usare la forza come strumento di relazioni internazionali, a fronte del quale abbiamo una legittima difesa, individuale e collettiva, in primo luogo dello Stato aggredito, l’Ucraina. Sono due principi che consideriamo parte del nostro patrimonio dal 1945, anno della Carta delle Nazioni Unite», ha esordito la docente.

Un’immagine di Kiev, capitale dell’Ucraina

«Per contro, a mio avviso – ha proseguito poi – abbiamo una violazione del principio di divieto dell’uso della forza, ma non arriva a rompere il sistema, perché non è la prima violazione del divieto dell’uso della forza a cui assistiamo. Dal 1945 ne abbiamo viste moltissime, ma in questo caso dobbiamo riconoscere due elementi significativi: Putin interviene in Ucraina giustificandosi con la necessità di evitare il genocidio che le attività ucraine stanno attuando in Donbass, diversamente da quando attaccò il territorio ucraino nel 2014 in spregio apertamente al divieto dell’uso della forza, per prendersi la Crimea. In forza di questo, il principio del divieto dell’uso della forza ne esce paradossalmente rafforzato. Il secondo elemento è la reazione, da distinguere a seconda degli attori coinvolti.»

Le organizzazioni internazionali, in primis l’Onu, hanno formulato una proposta di risoluzione che non è stata approvata causa il veto della Russia. Questo accade perchè il Consiglio di sicurezza è formato da cinque Stati membri. Il Consiglio di sicurezza a questo punto ha potuto indire l’Assemblea generale con un voto procedurale che non prevede il diritto di veto dei membri permanenti, con il risultato di poter adottare la risoluzione di condanna con la maggioranza con 141 voti a favore su 193. Un quinto del mondo non se l’è sentita di seguire il resto dei Paesi, più uniti ora rispetto al passato.

«La Corte internazionale di giustizia è l’organo giurisdizionale delle Nazioni Unite» ha proseguito Ciampi, «e l’Ucraina all’indomani dell’invasione russa ha instaurato una controversia davanti alla corte chiedendo come misura cautelare alla Russia di interrompere le operazioni. Sul piano internazionale non c’é un giudice per ogni controversia, bisogna trovare la base consensuale, cioè un documento in base al quale è consentito. E in questo caso si tratta della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del genocidio. La tesi dell’Ucraina è l’interesse ad avere una pronuncia da parte della Corte che attesti che non sta attuando un genocidio in Donbass. L’obiettivo è smontare la giustificazione di Putin».

La corte penale internazionale ha avviato un’indagine nei confronti della Russia. Ha competenza sui crimini di guerra, ma il problema sta nella riconducibilità della catena di comando fino ai vertici assoluti. Se nessuno riesce a portare Putin a L’Aja dato che la Corte non giudica in absentia, il processo non si può fare.

Vladimir Putin

«E sul crimine di aggressione – ha puntualizzato la Ciampi – su cui la Corte ha competenza in astratto ma non in questa circostanza, perché l’aggressione è soggetta ad un regime particolare. Sarebbe necessario, infatti, che la Russia fosse una parte dello statuto della Corte penale internazionale. I giuristi vorrebbero istituire un tribunale speciale per processare solo il presidente russo per il crimine di aggressione. In alcuni Stati nazionali come in Polonia si sta cercando di stabilire delle procedure basate su leggi dello Stato per processare Putin per aggressione. L’ostacolo principale in tal senso è l’immunità di un capo di Stato in carica».

Il Consiglio dei diritti umani, inoltre, è un organo dell’Onu che ha istituito una commissione d’inchiesta sulla violazione dei diritti umani commesse in Ucraina. E il Consiglio d’Europa per la prima volta ha estromesso un membro – la Russia appunto – per la gravità degli atti posti in essere. «Le reazioni degli Stati sono quelle che stanno suscitando più notizia. Siamo arrivati perfino al ritiro delle clausola di nazione più favorita, nell’ambito del Wto. Siamo di fronte ad una nuova geopolitica ed a una nuova geoeconomia, senza precedenti. L’alto commissario per la Sicurezza comune dell’Europa Borrell ha dichiarato che questo è un momento grande per l’Europa, sta nascendo l’Europa geopolitica»

«Infine è significativo il ruolo del settore privato,  quello che ci riguarda più da vicino. Le imprese, lo sport, la cultura, la società civile hanno reagito in un modo senza precedenti. Nonostante le reazioni, il conflitto va avanti da quasi trenta giorni» ha concluso la docente. «Questo conflitto si può risolvere in due soli modi , o sul terreno o sul tavolo dei negoziati. Il linguaggio di Biden dal primo giorno non è il linguaggio della diplomazia, non è compatibile con una reale opportunità di dialogo.  E invece dobbiamo dialogare di più, specie tra discipline diverse».

A sinistra la professoressa Ciampi e a destra il professor Camurri

Il giudizio morale

Il professor Renato Camurri, infine, ha portato due riflessioni sulle ultime settimane: la prima è che pur trovandoci di fronte ad una situazione così catastrofica dobbiamo comunque tenere un giudizio morale. I tre principi di dignità, libertà e giustizia ci devono guidare per ricavare una serie di indicazioni, prendere posizione e formulare dei giudizi. Norberto Bobbio ha individuato tre tipi di intellettuale: quello organico (propaganda), quello super partes, che non prende posizione, e quello che basa la sua azione sul rapporto con la società a partire da alcuni principi di riferimento. «Questo tipo di intellettuale non può prendere posizione a mio avviso» ha affermato Camurri. «Da tempo in Italia manca una figura di questo tipo, scomodo e condannato alla marginalità. L’intellettuale deve dire la verità al potere e in Italia in queste settimane abbiamo assistito a scene pietose».

«Non è accettabile – ha proseguito Camurri – addurre la complessità della situazione come motivo di astensione dal giudizio. La pace va sempre abbinata al rispetto del diritto, non è la pacificazione imposta dal più forte. Citando Gaetano Salvemini, esule fascista che nella prefazione al suo “Mussolini diplomatico”, scriveva: non possiamo essere imparziali, possiamo essere solo onesti intellettualmente, tenerci in guardia dalle nostre passioni e mettere in guardia i lettori dai pericoli della nostra parzialità.  L’imparzialità è un sogno, la probità un dovere».

«Inaccettabile poi che non si possa parlare di resistenza ucraina – ha concluso il docente di Storia – perché mancherebbe lo schema di una guerra civile in cui contestualizzarla. Sono molti gli esempi in Europa di resistenza al tiranno come quella ucraina. Dietro la scelta di resistere c’è la scelta di difendere la libertà».

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