Non andare a scuola per i bimbi è un po’ una festa, ma di certo si rendono conto che sta succedendo qualcosa di strano e magari anche inspiegabile, che vede indifesi persino gli adulti. Parlare di cose da grandi è sempre possibile soprattutto quando entrano in gioco le emozioni, siano esse positive o negative. Ma se non si è abituati a porsi in dialogo con questa parte fondamentale del proprio vissuto e non si è abituati a parlarne con bambini e adolescenti, che fare? Un gruppo di ricercatori dell’università di Verona da anni si occupa di studiare il modo migliore nell’intervenire a livello psicologico in occasione di emergenze, siano esse calamità naturali o traumi collettivi. Con il coronavirus si è di fronte a una emergenza globale e per questo abbiamo raggiunto Daniela Raccanello, ricercatrice di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione nel dipartimento di Scienze umane, e coordinatrice del team di ricerca del progetto Hemot (Helmet for EMOTions) con Giada Vicentini, Roberto Burro, Veronica Barnaba, Emmanuela Rocca ed Erminia Dal Corso, che ha ideato un opuscolo (scaricabile a questo link) elencando strategie utili per affrontare l’impatto emotivo che può avere su bambini e adolescenti l’emergenza sanitaria in corso.

Dottoressa Raccanello, ci può raccontare come è nata questa azione estemporanea visto che è stata messa a disposizione in così poco tempo?

Daniela Raccanello

«L’opuscolo è stato pensato all’interno di un progetto preesistente molto più ampio, ossia Hemot, che ha l’obiettivo di lavorare sulla preparazione emotiva legata a disastri di varia natura su bambini, adolescenti e adulti. Il principale progetto attualmente attivo si chiama PrEmT, Prevenzione Emotiva e Terremoti nella scuola primaria, dove stiamo coinvolgendo più di 600-700 bambini tra Veneto e Lombardia, su emozioni e strategie per gestirle legate al terremoto. In linea con gli studi per questo percorso, nel momento in cui le nostre scuole sono state chiuse senza preavviso per il coronavirus, abbiamo pensato di tradurre in uno strumento fruibile per tutte le persone le conoscenze che avevamo raccolto finora su quel tema. Avevamo una serie di strumenti pronti, come le faccine presenti nell’opuscolo o la lista di suggerimenti per affrontare paura, tristezza e rabbia, elementi basati su studi precedenti. Sapevamo che dal punto di vista psicologico si trattava di materiali già testati, che funzionano bene coi bambini; inoltre, tutte le strategie erano basate su classificazioni che provengono dalla letteratura psicologica. Ci sono macrocategorie che ci permettono di capire come affrontare le emozioni e che risultano particolarmente efficaci oppure disadattive in caso di disastri.»

Qual è per voi l’aspetto centrale per affrontare le emozioni?

«Posso citare l’ultima frase del nostro opuscolo, “Ci sono tanti modi per affrontare paura, tristezza e rabbia: possiamo scegliere di volta in volta quelli che funzionano meglio e anche inventarne di nuovi!” Di fatto ognuno di noi in quanto unico e diverso dall’altro, può scegliere di utilizzare il metodo migliore per gestire in un determinato momento un’emozione o l’altra. Sappiamo bene che questi modi non funzionano per tutte le persone in tempi e situazioni simili, sta ad ognuno riuscire a trovare modi efficaci nel momento in cui servono. Alla base della realizzazione di questo opuscolo stanno sia il buon senso sia il metodo scientifico: entrambi suggeriscono che più ampliamo la consapevolezza sui modi possibili per gestire le emozioni, più probabile sarà che in una situazione di emergenza troviamo la soluzione adatta a noi.»

Non essendoci emozioni giuste o sbagliate, anche quelle negative ci possono “essere d’aiuto”

«Riconoscerle è il primo passo. Le faccine dell’opuscolo permettono di ricordare che una delle abilità che serve, sia ai bambini sia a noi adulti, è riuscire a esprimere anche tramite la comunicazione non verbale le nostre emozioni. Un’altra capacità è utilizzare le parole per definire come ci si sente. Riconoscere come stiamo e come stanno gli altri è un primo passo per capire ciò che ci disturba. Non è detto che le emozioni negative siano da demonizzare, anzi: possono aiutare a fare delle cose. Quando abbiamo paura facciamo più attenzione a ciò che succede intorno a noi e questo ci assicura la sopravvivenza. Quando siamo tristi ragioniamo più approfonditamente su quanto accade. Numerose ricerche psicologiche documentano questi effetti. Tuttavia il nostro stato di benessere in questi casi, chiaramente, diminuisce.»

In questo momento storico in cui i bambini sono a casa da scuola oramai dal 23 febbraio, quali strategie avete utilizzato per arrivare a loro e ai genitori?

«Grazie alla collaborazione di Hemot, del dipartimento di Scienze umane dell’università di Verona, abbiamo messo in campo tutti gli strumenti di diffusione, sia formali che informali a nostra disposizione. Attraverso l’azione dell’ufficio stampa si è arrivati sia ai media locali che internazionali, grazie anche a una intervista rilasciata, tra gli altri, per il “New York Times”. Per quanto riguarda invece il territorio siamo stati affiancati dalla protezione civile regionale; inoltre, l’Ufficio scolastico del Veneto ha diffuso in modo capillare sui propri canali l’opuscolo, arrivando quindi a tanti dirigenti scolastici. D’altro canto, c’è stata una grande diffusione anche tramite modalità informali: attraverso gruppi Whatsapp di genitori, ma anche di professionisti come pediatri, psicoterapeuti e dentisti. I feedback dal basso ci sono utili, perché abbiamo capito che se per le persone le cose diffuse sono utili significa che il messaggio ha una sua credibilità.»

In modo pratico, un genitore che non è abituato a parlare delle emozioni con il proprio figlio per difficoltà o forse per poca abitudine, come può iniziare a farlo in questi momenti di crisi?

«Ogni bambino è diverso e tende a parlare più o meno rispetto a come si sente e questo è legato al temperamento del bambino stesso, ma anche al mondo circostante e alle sue abitudini; è legato anche a quanto è abituato a parlare con gli adulti rispetto alle emozioni provate, espresse attraverso comportamenti o attraverso le parole. Al di là delle differenze individuali che non si possono cambiare nel giro di un giorno o di poche settimane perché c’è una emergenza, quello che abbiamo riportato nel volantino vorrebbe dare suggerimenti anche nei casi in cui non si è abituati a parlare di questi argomenti. Ci sono aspetti comportamentali concreti che possono essere messi in atto senza necessariamente mettersi a parlare con il bambino su come si sente. Per esempio “comportarsi in modo sicuro” oppure, pensando alla quotidianità di questi giorni, “inventarsi routine nuove che possono seguire quelle abituali”. Stare insieme tutto il giorno in casa non implica continuare a chiedere ai bambini come stanno e parlarne, ma dare loro la possibilità di continuare a sperimentare quei vissuti positivi che di solito caratterizzano le loro giornate. Anche cose molto concrete.»

L’opuscolo si può trovare in altre lingue oltre all’italiano?

«Attualmente il materiale ha una versione anche in inglese, spagnolo, greco, portoghese, finlandese, norvegese. Ci stiamo muovendo per il tedesco, il croato, lo svedese, l’arabo e il romeno. Ma se qualcuno volesse contribuire alla traduzione in altre lingue può contattarci attraverso il nostro indirizzo, info@hemot.eu, e supportarci in questo lavoro divulgativo.»

Cercare soluzioni ai problemi, fidarsi di sé e degli altri, capire cos’è importante. Questi i tre atteggiamenti fondamentali ai quali l’opuscolo invita per fronteggiare paura, tristezza e rabbia. Un pratico elenco di cose da fare e non fare per non soccombere alle emozioni e gestirle in maniera equilibrata, scegliendo di volta in volta le modalità che favoriscono il benessere emotivo e attivandosi per concretizzarle. 

L’opuscolo diffuso dal gruppo di ricerca Hemot