È mattina a Verona. Da Vicolo San Silvestro un’auto svolta in Via Marconi e, per un pelo, non investe un monopattino che risale contromano. Il conducente del monopattino – occhiali da sole, cellulare in mano, barbetta sfrontata e mento alto di sfida in faccia al sole – sfreccia via incurante e si dirige, sempre contromano, verso Via Roma. Altra via, altra situazione: un ragazzino con la sua bella, che nel frattempo messaggia, in due sul monopattino, viaggiano su uno stretto marciapiede mentre, dalla parte opposta, arriva una madre col passeggino. Saranno i due ragazzini a cedere il passo? Immaginiamo, insieme al Manzoni, l’ipotetico seguito:

«Fate luogo».

«Fate luogo voi. La diritta è mia».

«Co’ vostri pari, è sempre mia.»

«Sì, se l’arroganza de’ vostri pari fosse legge per i pari miei.»

Scene, ormai, ordinarie anche per una cittadina piccola come Verona (che per questo è finita pure su Repubblica), seconda città in Italia per numero di incidenti (3) e che cominciano a ripetersi anche fuori dal centro e che vanno ad aggiungersi a quelle dei ciclisti che procedono incuranti del senso di marcia previsto dalla segnaletica. Fuori dal centro, anche nei quartieri, buttati qua e là, d’intralcio ai pedoni (e alle carrozzine, si ricordi) sui marciapiedi o parcheggiati in curva li cominciamo a vedere sempre più spesso, cosa che non accade così frequentemente per le biciclette che possono essere rubate con più tranquillità. Un piccolo esercito: ai numeri del noleggio (nel novembre 2019, ben 900 monopattini per 5 aziende, segnalava Luigi Altamura, capo della Municipale della città) si sommano quelli dei privati, impossibili da contare.

Dobbiamo rassegnarci al Far West?

Da un punto di vista ambientale, il futuro è chiaramente dell’elettrico e della bicicletta: ridotto impatto inquinante, decongestione del traffico cittadino e snellimento della circolazione. Bisogna pure aggiungere che, a rendere complicata la vita ai ciclisti o a chi vorrebbe una mobilità sostenibile, ci si mette anche un’amministrazione pubblica che, come ha dimostrato Antonio Bottega nel suo articolo per Heraldo sul Piano urbano di Mobilità sostenibile (Pums), vola alta nei proclami di una Verona sostenibile e green quando, in realtà, nei prossimi anni cambierà poco o nulla: perché – e ogni ciclista lo sa – le strade sono un colabrodo, le piste ciclabili sono discontinue, strette e, talvolta, altro non sono che semplici marciapiedi dipinti. Ciò che non si può non rilevare, tuttavia, è l’evidente ignoranza e indifferenza rispetto alle regole del Codice della Strada: monopattino e bicicletta sono velocipedi e, come tali, non possono circolare contromano (se non in quelle vie, come ad esempio in Via Carducci, dove è esplicitamente autorizzato, con tanto di segnaletica): lo chiarisce molto bene la polizia comunale sul sito www.polizialocale.comune.verona.it: “Per il Codice della Strada non è autorizzata la circolazione contromano delle biciclette. Per liberalizzare la circolazione delle biciclette in molte strade urbane che non possiedono le misure minime prescritte oggi (2.50 metri per ciascun senso di marcia) si è ricorsi alla soluzione del doppio senso limitato, cioè un senso unico per veicoli a motore e un doppio senso per le bici. Su entrambi i sensi di marcia dovrà però esserci il segnale di doppio senso di circolazione, con un pannello integrativo rettangolare per specificare che il transito in un senso vale esclusivamente per le bici.

Esattamente come per gli automobilisti, poi, è vietato usare il cellulare. Dall’1 gennaio 2020 per il monopattino valgono le stesse regole dei velocipedi e, quindi, come i ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni; non possono trasportare altre persone o molto altro, come disposto dall’art. 182. In più – e questo è davvero raro vederlo – nelle aree pedonali la velocità massima da rispettare è di 6 km/h e possono essere guidati sulle strade extraurbane solo ed esclusivamente sulle piste ciclabili.

La mancanza di una targa – e quindi dell’identificazione necessaria per l’accertamento della responsabilità personale, non più necessaria come il patentino AM in quanto il decreto Toninelli è stata superata dalla legge 160/2019 – art. 1 comma 75 – rende questi mezzi ideali per chi vuole un’assoluta libertà e che in sostanza si traduce in impunibilità. Come un tempo per i motorini truccati, la cronaca recente del monopattino a Bussolengo a 80 km/h ci segnala il crescente desiderio di evasione dagli onnipresenti vincoli che lo Stato rende ogni giorno più stringenti in ogni aspetto della nostra vita e il consueto ricorso alle forze dell’ordine per contrastare il fenomeno con controlli e multe, fino a 800 euro per chi supererà il limite previsto del 25 km/h.

Ci ritroviamo impantanati, quindi, nel solito dilemma. Da una parte uno Stato che, nella necessità di garantire l’ordine e un astratto principio di eguaglianza, attua forme di controllo e contrasto apparentemente di buon senso ma che, sotto sotto, lasciano trasparire la necessità di far cassa in ogni modo possibile (tanto che i ciclisti, anni fa, si opposero alla marcatura delle biciclette: idea proposta per contrastare i furti ma che lasciava aperta la porta a possibili bolli per il possesso); dall’altra un istinto del cittadino che, sfruttando le sempre minori zone grigie e una sostanziale tolleranza della polizia locale, desidera vivere da essere umano libero un’esistenza slegata da vincoli e da regole.

Nel mezzo, intanto, i diritti di chi subisce questa libertà irresponsabile: se un pedone viene investito da un monopattino, mezzo non assicurato, chi pagherà? E se un monopattino o una bicicletta godono di una libertà assoluta garantita dall’impunibilità, con che diritto rimprovereremo l’automobilista che per esempio in via San Silvestro, esasperato da un nugolo costante di ciclisti contromano e incuranti del codice, decidesse di ripristinare il principio della giustizia come Russell Crowe in Il Giorno Sbagliato?