È stato pubblicato il secondo volume (WGII-AR6) del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC acronimo di “Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici” che  è l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della valutazione della scienza relativa al cambiamento climatico. Tale rapporto è il più aggiornato e completo per lo studio degli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e sulla biodiversità sia a livello globale che locale, e delle conseguenze per il benessere delle persone e per il pianeta. Ricordiamo che In base all’accordo di Parigi adottato nel 2015, praticamente tutte le nazioni del mondo si sono impegnate a limitare il riscaldamento globale a “ben al di sotto” di 2°C al di sopra dei livelli preindustriali e anche, se possibile, a “perseguire” gli sforzi per limitare il riscaldamento a 1,5°C.  Al momento, il mondo non è affatto sulla buona strada per raggiungere nessuno dei due obiettivi.

L’area mediterranea risulta avere un più rapido cambiamento climatico rispetto al resto del mondo

Purtroppo il cambiamento climatico mediterraneo risulta essere di entità superiore alla media globale. Il recente record rivela una temperatura media annuale per l’intero bacino di circa 1,5 °C sopra i livelli di fine Ottocento e di circa   + 0,4 °C al di sopra della media globale, con significativa variabilità interannuale. 

Sono state registrate anche significative anomalie subregionali di riscaldamento che rivelano aumenti locali delle temperature medie annuali nello stesso intervallo di tempo che vanno da 1,5 a 4 °C.  Il cambiamento generale delle condizioni climatiche ha portato dal 1950 ad ondate di calore più frequenti e più intense con temperature specie nel mezzogiorno superiori a 30-40 ° C e periodi di siccità in aumento (cioè periodi estesi con precipitazioni trascurabili). La scorsa estate abbiamo raggiunto in Sicilia una massima di 48.8 gradi a Floridia nel sircausano, valore massimo mai raggiunto in tutta Europa.

L’area mediterranea è destinata, quindi, a diventare più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell’aumento dell’evapotraspirazione. Allo stesso tempo in alcune zone le precipitazioni estreme aumenteranno producendo locali nubifragi o “flash flood” specie nelle stagioni di transizione.

Il livello del mare aumenta di circa 1.25 mm/anno seguendo il trend del valore medio globale  L’aumento sarà irreversibile e progressivo su scale plurisecolari.

Pertanto gli eventi climatici estremi che si osservano con sempre maggior frequenza nel bacino del Mediterraneo, per altro già in parte realizzati, sono:

– Ondate di calore

– Siccità

– Eventi di precipitazioni estreme.

Nell’ambito di questi eventi parleremo tra poco dello scenario di siccità dell’inverno 2021/2022 e che ahimè ci sta tuttora interessando con un impatto notevole specie nell’ambito dell’agricoltura per il presente e per la prossima estate.

Pertanto i rischi associati a tali eventi sono particolarmente elevati per le persone e gli ecosistemi nel bacino del Mediterraneo a causa della combinazione di vari fattori, tra cui:

● una popolazione urbana numerosa e in crescita, esposta alle ondate di calore, con accesso limitato all’aria condizionata

● un numero elevato e crescente di persone che vivono in insediamenti colpiti dall’innalzamento del livello del mare;

● grave e crescente carenza idrica, già sperimentata oggi da paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ma in estensione verso nord;

● crescente domanda di acqua da parte dell’agricoltura per l’irrigazione;

● elevata dipendenza economica dal turismo, che rischia di risentire dell’aumento del caldo ma anche delle conseguenze delle politiche internazionali di riduzione delle emissioni sui viaggi aerei e da crociera;

● perdita di ecosistemi marini, ecosistemi nelle zone umide, nei fiumi e anche nelle zone montane, molti dei quali sono già messi in pericolo da pratiche non sostenibili (es. pesca eccessiva, cambiamento dell’uso del suolo).

Focus sulla siccità dell’inverno 2021-2022

Una conferma delle corrette valutazioni fatte nell‘ultimo rapporto IPCC la stiamo sperimentando in questo inverno. Da una ricerca di Nimbus effettuata su gran parte del Nord Italia (specie nel Nord-Ovest), l’inverno 2021-22 verrà ricordato come uno dei più caldi e secchi.

Le anomalie termiche più rilevanti, prossime o superiori a +1,5 °C rispetto alla media del nuovo (e già caldo) trentennio di riferimento 1991-2020, si sono registrate lungo le Alpi specie al Nord-Ovest.

Tutto ciò dovuto ad un persistente blocco di alte pressioni sull’Europa occidentale che ha ostacolato l’arrivo di perturbazioni atlantiche e mediterranee, deviando verso i Balcani e il Medioriente le masse d’aria fredda artica, attive solo marginalmente sul nostro Paese e per lo più sulle regioni adriatiche e meridionali.

Per contro sono state frequenti le risalite di promontori anticiclonici con apporto di aria subtropicale e periodi tiepidi più evidenti in montagna, alternati a numerosi episodi di foehn – spesso molto mite – nelle valli alpine, circa un giorno su tre.

A Torino ancora più caldi di questo furono gli inverni 2006-07 (Tmed 7,0 °C) e 2019-20 (7,4 °C), ma le precipitazioni non scarseggiarono tanto quanto stavolta. Di tutti gli inverni con media oltre 6,0 °C, nessuno fu così secco, e in 220 anni di misure termo-pluviometriche in città solo la stagione 1989-90 mostrò caratteri confrontabili.

Il Po a livelli

Persevera su tutto il bacino del Po una situazione di severa siccità idrologica con valori che registrano una carenza fino al 40% di portata nelle sezioni principali esaminate e fino al 60% negli affluenti.  Nel mese di febbraio le piogge sono cadute in modo scarso e disomogeneo e non hanno apportato miglioramenti significativi, mentre le temperature medie hanno registrato aumenti fino a +3° C. Oltre al 60% in meno di precipitazioni piovose con 85 giorni senza piogge in Piemonte e assenza di piogge previste anche per le prossime settimane. Inverno più secco degli ultimi 9 anni anche per l’Emilia-Romagna con assenza di piogge in particolare nel Bolognese, Ferrarese e parte dell’Emilia occidentale.

La componente fornita dall’innevamento è stata notevolmente ridotta sia dalle Alpi, specie quelle occidentali, che dall’Appennino settentrionale. Dalle prime analisi sembra che in passato non si sia mai verificata una stagione invernale mite e asciutta come l’attuale. Le portate con questi presupposti sono quindi rimaste sempre sotto media e si è già registrata la risalita del cuneo salino; cioè l’acqua salata dell’Adriatico è entrata nelle terre coltivate della pianura per circa 15 km.

Anche il Veneto alle prese con un inverno mite e siccitoso

Dalle valutazioni e dati ARPAV emerge come l‘impatto di una situazione mediamente anticiclonica abbia prodotto una scarsità di precipitazioni sia nevose che di pioggia anche in Veneto.

È ovviamente importantissimo che in inverno si depositi sulle nostre montagne un sufficiente strato nevoso che servirà per il rifornimento delle falde acquifere per la successiva primavera/estate, falda acquifera minacciata sia dall’impermeabilizzazione dei suoli sia dal cambiamento nell’intensità delle piogge; infatti forti precipitazioni in poco tempo non penetrano sufficientemente nel suolo anzi sono spesso causa di dissesti idrogeologici, mentre se la pioggia cade lentamente e a lungo riesce ad arrivare a strati più interni del terreno.

Dal Rapporto sulla risorsa idrica in Veneto del 28 febbraio 2022 di ARPAV ed analizzando le precipitazioni cumulate da ottobre 2021 a febbraio 2022 (Figura 7) si evidenzia una differenza rispetto al periodo di riferimento climatologico che varia tra i 100 mm nelle aree pianeggianti fino ai 200 mm in quelle montane.

Deficit nevoso sulle Alpi

Attraverso l’elaborazione delle immagini da satellite è possibile identificare la copertura nevosa presente sul territorio montano e stimare la sua estensione areale. Le elaborazioni presentate sono il frutto della collaborazione fra ARPAV – Centro Valanghe di Arabba e l’Università di Genova Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita – DISTAV.

Nel grafico di figura 6 si evidenzia lo spessore del manto nevoso al suolo (HSimed) che è stato presente sulle Dolomiti ad iniziare dal mese di ottobre fino ad ora. In rosso si evidenzia l’andamento dell’anno in corso con poca neve. Da rilevare come dal 2007 ad oggi sono stati frequenti gli inverni simili (grafici color arancio) alternati ad inverni molto nevosi (grafici color viola).

Ancora lontane le piogge significative

Guardando alle previsioni a medio-lungo termine di ECMWF, il centro europeo di previsione a media scadenza il cui Data Center è stato da poco trasferito da Reading (UK)  al Tecnopolo di Bologna, si osserva che per tutto marzo le precipitazioni risulteranno sotto la media (Figura 8) quindi non sufficienti per compensare il deficit che ormai è arrivato in Veneto  40%. Ricordiamo che questo tipo di previsioni sono ancora di tipo sperimentale e sono da valutarsi come un trend di tendenza più che ad una previsione deterministica.

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