Ci sono momenti della storia in cui l’Europa ha saputo immaginare mondi nuovi. E altri in cui, incapace di darsi una narrazione comune, ha smesso di esistere come progetto politico.
Tra i casi più istruttivi ci sono due esperimenti quasi coevi: la Confederazione polacco-lituana e le Province Unite olandesi.

Il primo, un sogno multiculturale naufragato nella paralisi; il secondo, un piccolo paese diventato una potenza mondiale grazie alla libertà, alla conoscenza e all’informazione. Due storie diverse, due lezioni per l’Unione Europea di oggi.

Quando la libertà diventa paralisi

La Confederazione polacco-lituana, nata nel 1569, fu un laboratorio politico sorprendente: un re eletto, un parlamento, libertà religiosa per l’epoca inusuale, molte etnie e culture unite sotto la promessa di una convivenza ordinata e libera.

Era una forma di proto-federalismo europeo, un’anticipazione della cooperazione transnazionale che oggi chiamiamo Unione Europea. Eppure crollò. Non per fame, né per carestie o guerre civili. Crollò perché la sua storia si incrinò. La “libertà della nobiltà”, che garantiva equilibrio, degenerò in uno stallo permanente a causa del potere di veto, che apparteneva a ciascun membro del parlamento. Le élite smarrirono il senso del progetto comune. Le potenze vicine — Russia, Prussia, Austria — approfittarono della disgregazione. Nel 1795 la Confederazione scomparve dalla carta geografica.

Non fu solo la sconfitta militare di uno Stato. Fu l’estinzione di una narrazione collettiva. Lo storico Yuval Noah Harari, lo direbbe così: Gli Stati vivono nelle storie che le persone condividono. Quando smettiamo di crederci, svaniscono..

La forza della conoscenza

Nello stesso periodo, all’estremo opposto del continente, avveniva il contrario. Le Province Unite olandesi non avevano un impero antico, né un sovrano per grazia di Dio. Non possedevano vasti territori, ma porti, tipografie, mercanti e idee. In pochi decenni divennero la capitale mondiale del commercio, della finanza e della stampa. Perché?

Perché compresero che la forza politica nasce da qualcosa di più sottile della spada: la circolazione dell’informazione. Nacquero giornali regolari, reti postali efficienti, bollettini commerciali, mappe sempre aggiornate. Idee, prezzi, rotte marittime, discussioni filosofiche: tutto viaggiava più veloce delle cannoniere. La Repubblica olandese fu la prima cultura europea in cui non c’erano i re a sapere tutto, ma la società intera. Una comunità che vinceva perché sapeva. La libertà produce conoscenza, e la conoscenza produce potere.

Solo quando altre potenze, ad esempio l’Inghilterra, imitarono quel modello ed ebbero anche il vantaggio dell’insularità, e quindi un minor rischio d’invasione dai vicini, la supremazia olandese fu persa — ma la sua lezione rimase.

Un’Europa senza racconto

La domanda allora è inevitabile: oggi l’UE assomiglia più alla Polonia-Lituania o ai Paesi Bassi? Come la Confederazione, l’Europa ha istituzioni complesse e un progetto unico nel suo genere. Come gli olandesi, crede nella libertà, nella conoscenza, nel commercio. Ma le organizzazioni, sia nazionali sia sovranazionali, sopravvivono solo quando la loro storia viene raccontata e creduta ogni giorno.

Qui sta la fragilità europea: i cittadini europei vivono in economie integrate, ma sperimentano ancora mondi politici separati, perché le storie che ascoltano quotidianamente sono nazionali. Dal 1979 eleggiamo un Parlamento europeo dal cui seno emerge una maggioranza e un governo comune, ma la lotta politica non ha ancora prodotto veri partiti europei.

E dunque quando ascoltiamo le “cose europee” queste sono filtrate dai media nazionali. L’UE ha leggi comuni, ma la loro lettura è fatta ancora da “lenti nazionali”, dunque non suscita ancora immaginazione comune, quanto meno non adeguata alla situazione politica complessiva attuale.

Senza immaginazione, nessuna costruzione politica vive a lungo. È successo alla Confederazione polacco-lituana nel 1795, ma anche alla Repubblica Democratica Tedesca nel 1989 e all’URSS nel 1991. Serve una sfera pubblica europea, quindi media europei (e non solo documenti istituzionali), progetti comuni visibili, concreti, emozionali, una narrativa di libertà, conoscenza, giustizia sociale e sostenibilità.

Dal potere di veto alla visione

L’Europa non si conserva aggiornando regolamenti e modificando trattati: si conserva alimentando la fiducia e la curiosità reciproca e si costruisce con idee condivise. Senza idee condivise sul futuro (lo sviluppo, la sicurezza, la sostenibilità in tutti i suoi aspetti) non si può nemmeno superare il veto. Esattamente come il nobile polacco che poneva il veto nello Sejm (Parlamento) se si sentiva personalmente minacciato dall’esterno: non condivideva nemmeno con gli altri membri della nobiltà un’idea comune sulla sicurezza.

L’Europa oggi è a un drammatico bivio narrativo. Ha bisogno di una narrazione comune sul proprio futuro (sviluppo e sicurezza). Può diventare un altro capitolo di storia interrotto — come la Confederazione polacco-lituana — oppure la prima civiltà fondata esplicitamente sulla conoscenza, come i Paesi Bassi del Seicento, ma su scala continentale.

La domanda è semplice e decisiva: saremo capaci di raccontarci come comunità prima che qualcuno ci racconti come avversari?

Oggi gli strumenti tecnologici permetterebbero dei media autenticamente europei, disponibili in tutte le lingue della UE, gestendo il multilinguismo e il multiculturalismo da parte delle nuove generazioni Erasmus e l’utilizzo dei modelli linguistici basati sull’intelligenza artificiale. Qualche esperimento esiste, ma appare inadeguato di fronte al rischio mortale dell’aggressività russa e dell’ostilità dell’attuale amministrazione statunitense, che non sembrano aver risvegliato ancora una coscienza europea all’altezza della situazione.

Foto da Unsplash di Christian Lue

E poiché nessun progetto politico vive solo nei codici, ma anche nelle menti e nei cuori di chi lo crede possibile, il rischio di dissoluzione è altissimo. È questa la sfida che abbiamo di fronte: come Italiani e Ungheresi, Francesi e Slovacchi, Spagnoli e Tedeschi, Cechi e Greci, Polacchi e Baltici, eccetera. Fino a che avremo narrazioni nazionali resterà forte il potere di veto dei governi nazionali nell’Unione Europea, come fu per i nobili nel parlamento polacco-lituano.

La storia dell’Europa non è ancora scritta tutta: dipende da noi lasciarla finire in silenzio, come accadde alla Confederazione polacco-lituana, oppure vivificarla da una comune narrazione, fondata sulla libertà che produce conoscenza e conoscenza che produce verità e ordine. E da ciò saggezza (capacità di prendere decisioni potenzialmente efficaci) e potere (capacità di attuare le decisioni con il concorso della maggioranza degli europei): questa volta a livello europeo.

Marco Spazzini

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