Dopo una vita in divisa, Giampaolo Trevisi ha scelto di cambiare campo, ma non missione. Dirigente di polizia, formatore, scrittore, autore di libri in cui trasmette il valore della legalità e in cui racconta la violenza di genere da un punto di vista umano prima che professionale, Trevisi oggi si candida alle elezioni regionali del Veneto con il Partito Democratico. Una scelta che non rinnega la sua storia, ma anzi la prolunga.

Trevisi, dopo tanti anni in polizia, cosa l’ha portata a candidarsi?

«Ho servito lo Stato in uniforme per oltre trent’anni e ho sempre pensato che quella fosse la mia missione definitiva. Poi, con il tempo, ho capito che si può servire anche in altri modi. La politica, se fatta bene, è una forma di servizio altissima. Mi candido con il Partito Democratico perché mi riconosco in un progetto che mette la persona al centro, con dignità e diritti. La mia è una candidatura civica dentro un contenitore politico in cui credo. Se le cose andranno bene, il primo giorno andrò a iscrivermi al partito: sarà un onore.»

Lei è stato anche un simbolo della polizia che dialoga, soprattutto con i giovani. C’è continuità tra quell’esperienza e questa nuova fase?

«Assolutamente sì. Da direttore della Scuola di Polizia di Peschiera ho sempre pensato che il mio compito non fosse solo formare agenti, ma persone consapevoli. Ho girato l’Italia incontrando studenti, parlando di legalità, di rispetto, di diritti. La mia carriera è sempre stata attraversata da un’idea di servizio civile prima ancora che armato. La candidatura è una prosecuzione coerente: non cambio obiettivo, cambio solo strumento.»

A proposito, lei parla spesso nelle scuole del tema della violenza di genere.

«È un tema che mi porto dentro. Nel mio libro “L’amore che non è” racconto tredici storie vere di donne — alcune finite tragicamente, altre con una possibilità di rinascita — che ho incontrato durante il mio lavoro. Storie di controllo, manipolazione, gelosia malata, annullamento. Quello che ho imparato è che la violenza non riguarda solo “gli altri”: attraversa ogni ceto, ogni età, ogni territorio. La violenza di genere non si combatte solo con le leggi, ma con la cultura.

Bisogna iniziare dalle scuole, dall’educazione all’affettività, dal rispetto. Mi spaventa molto chi propone di eliminare questi percorsi dalle medie o di non parlare più di sessualità e affettività: è un errore grave. Io sogno un Veneto in cui ogni scuola diventi anche presidio culturale contro la violenza, con educatori, psicologi, sportelli di ascolto e corsi per ragazzi e genitori.»

Rimaniamo sul tema della scuola. In che senso, a suo avviso, può essere la leva per un futuro migliore?

«La scuola è la radice di tutto. Se noi oggi abbiamo paura del futuro è perché non stiamo investendo sui ragazzi. Tagliare fondi alla scuola o negarle il compito educativo è miope. Quando leggo emendamenti che propongono di non parlare più di affettività o di sessualità nelle medie, mi vengono i brividi: è proprio lì che bisogna lavorare per prevenire violenza, bullismo, discriminazione. La scuola deve tornare a essere un luogo di vita, non solo di voti. Serve più ascolto, più sostegno psicologico, più spazi di confronto. Da poliziotto ho visto troppe vite spezzate perché nessuno aveva ascoltato in tempo.»

E a proposito, se c’è un settore che lei conosce decisamente bene è proprio quello della sicurezza. Qual è la sua idea in proposito per le nostre città?

«Sicurezza non significa militarizzarle. Significa avere la certezza della pena, ma anche prevenzione, presenza sul territorio, ascolto, mediazione. A Verona, per esempio, la provincia è l’unica del Veneto a non avere commissariati: questo la dice lunga sulla distanza tra istituzioni e cittadini. Bisogna rafforzare i presìdi, ma anche creare reti sociali. Quando le persone si sentono viste, ascoltate, sostenute, anche la sicurezza cresce. Io credo in una sicurezza gentile: ferma con chi sbaglia, ma attenta con chi soffre. È l’approccio che ho sempre avuto in divisa e che voglio portare anche in politica.»

Parliamo di sanità. Cosa non funziona secondo lei nel modello veneto?

«Parto da una premessa: la sanità veneta resta tra le migliori d’Italia solo grazie alle persone che ci lavorano — medici, infermieri, operatori, OSS — che si fanno in quattro per sopperire alle mancanze del sistema. Ma un sistema che ti costringe ad aspettare dodici mesi per una visita o a pagare un’assicurazione privata non è un sistema eccellente. Non può esserlo. Vedo una sanità che sta diventando per pochi: chi può permettersela, si cura; chi no, aspetta o rinuncia. Questo non è il Veneto che voglio. Serve riportare la sanità pubblica al centro, assumere personale, ridurre i tempi di attesa, sostenere le famiglie fragili e le persone con disabilità. Se una famiglia con un figlio disabile non riceve un aiuto pieno, concreto, non possiamo dirci una regione civile.»

Giampaolo Trevisi con Elisa La Paglia in uno scatto del 18 ottobre 2025, giorno del lancio della campagna elettorale dei due candidati PD

Lei sostiene Giovanni Manildo, capolista del Pd. Cosa vi accomuna?

«Con Manildo condivido il modo di intendere la politica. È una persona che non ha bisogno di urlare per farsi ascoltare. Crede nel dialogo, nella costruzione di comunità. È un uomo che sa ascoltare e che mette le persone prima del consenso. In questi tempi non è scontato. Quando mi ha proposto di mettermi in gioco, ho visto in lui un’idea di politica che somiglia alla mia: sobria, concreta, fondata sul rispetto.»

Cosa chiede ai cittadini del Veneto, e in particolare ai giovani?

«Chiedo di tornare a credere. Di non delegare tutto agli altri. Quel segno sulla scheda non è una formalità: è libertà. Io sogno un Veneto che respiri di nuovo, che apra le finestre e faccia entrare aria nuova. Abbiamo un potenziale enorme, ma serve una nuova consapevolezza civica. Ai giovani dico: non fatevi rubare la speranza. La politica è vostra, se la volete. Io mi metto a disposizione, con la stessa passione con cui ho indossato la divisa. Perché in fondo, che sia in uniforme o in consiglio regionale, il mio obiettivo non cambia: proteggere le persone.»

© RIPRODUZIONE RISERVATA