Mentre in Italia, per interessi politici, si rispolvera l’idea del “nucleare” per lo “sviluppo del paese“, in Germania si fermano definitivamente tre centrali nucleari avviate negli anni ottanta: Brokdorf nello Schleswig-Holstein di 1.410 MW (MegaWatt), Gronde nella Bassa Sassonia di 1.360 MW e Gundremmingen C in Baviera di 1.344 MW. Le tre centrali atomiche rimaste operative, Emsland, Isar e Neckartwestheim, verranno spente entro il 31 dicembre del 2022.

La Germania esce dall’energia nucleare

Lo fa per ragioni economiche e ambientali senza dover ricorrere a un referendum.

Nikolaus Valerius, direttore tecnico di Rwe Power Nuclear, una importante multiutility tedesca, intervistato da Letizia Tortello de La Stampa, ha affermato «Il nucleare è un business economicamente morto» e aggiunto «per noi tedeschi, la strada è molto chiara e non avremo ripensamenti: è stato deciso che si debba uscire dal nucleare e ci si debba concentrare pienamente sulle rinnovabili, che sono il futuro».

«Investire oggi sull’atomo è una scelta sbagliata» ha spiegato Valerius «per ragioni di costi, di tempi e di deposito delle scorie nucleari» inoltre l’atomo non è la strada più rapida per combattere il cambiamento climatico. «Non ci sono copiosi investimenti privati,  per questa energia sono gli Stati a dover sostenere le centrali, con costi elevatissimi».

WNA: Situazione nucleare tedesca. Reattori attivi e produzione elettrica

La Germania aveva iniziato l’abbandono dell’atomo già all’inizio degli anni 2000. La competitività dell’energia rinnovabile, eolico e solare, ha provocato una continua inesorabile riduzione nella produzione nucleare tedesca tanto che, nel 2020, ha finito per rappresentare solo l’ 11.3% del consumo elettrico nazionale (vedi grafico del WNA).

La decisione è sorprendente anche perchè avviene in contemporanea con l’impegno di ridurre le emissioni di CO2 del 65% entro il 2030 (l’Europa chiedeva il 55%). Ciò vuol dire che la Germania ha un programma di diffusione di energia rinnovabile che oltre al carbone e ai fossili sostituirà anche il nucleare nella produzione di energia elettrica.

E per il resto del mondo?

Se per i tedeschi la produzione di energia nucleare è un business morto per il resto del mondo non si può affermare che sia molto vitale

La produzione mondiale di energia dall’atomo dall’inizio del millennio è dal 2000 sostanziamente stabile attorno ai 2500 TWh (TeraWatthora), ripartita principalmente fra Europa, Asia e Nord America (vedi grafico del World Nuclear Association WNA, raffigurante la produzione nucleare mondiale).

WNA: Produzione mondiale di energia elettronucleare dal 1970

Nel mix delle energie utilizzate la quota di produzione elettronucleare mondiale è vistosamente calata dal 17% dell’anno 2000 al 10% del 2020 mentre le fonti rinnovabili nello stesso periodo sono cresciute dal 19% al 29%.

È ormai evidente che il costo delle energie rinnovabili è da tempo sensibilmente inferiore al costo dell’energia nucleare.

Il Nuclear Performance Report 2021 redatto dal World Nuclear Association (WNA) ci informa che sono 441 i reattori nucleari attualmente operativi nel mondo,  dislocati in 32 Paesi: 93 negli Usa, 56 in Francia, 51 in China, 38 in Russia, 33 in Giappone.

La loro età media di funzionamento ha raggiunto i 30,9 anni e, siccome nella progettazione degli impianti nucleari viene assunta una vita operativa nominale tra 25 e 40 anni, ci si deve aspettare che almeno il 40% di quegli impianti dovrà essere prossimamente fermato o sottoposto a significativi e costosi aggiornamenti.

Anzianità di servizio dei 441 reattori nucleari nel mondo

Il nervosismo della Francia

La Francia ha puntato tutto sull’energia nucleare e ne è tuttora molto dipendente.  Sebbene in trend produttivo calante nel 2020, l’atomo soddisfa ancora il 70% della domanda elettrica francese ma l’età media dei suoi impianti suscita preoccupazione e nervosismo. L’arrembaggio ai finanziamenti del recovery fund operato recentemente della Francia, per far includere l’energia nucleare nella “tassonomia  verde” della Comunità Europea, potrebbe essere spiegato dalla necessità di finanziare ca 50 Miliardi di Euro per interventi di ristrutturazione dei  propri reattori prossimi all’obsolescenza. 

WNA: Situazione nucleare francese. Reattori attivi e

Nuovi reattori

Nonostante vi siano 57 nuovi impianti in costruzione nel mondo, i reattori che nei prossimi anni entreranno realmente in funzione saranno più o meno uguali a quelli che verranno definitivamente fermati, la potenza nucleare totale installata rimarrà sostanziamente invariata. 

L’WNA registra poi che il  tempo medio di costruzione di un singolo impianto è stato ultimamente di circa sette anni, più o meno quello riscontrato negli ultimi quarant’anni ma, dopo le ultime esperienze europee, i dubbi sulla prevedibilità dei prossimi tempi effettivi di costruzione e sui costi sono molto forti.

L’impianto finlandese Olkiluoto-3, il cui cantiere è partito nel 2005, doveva costare 3,2 miliardi di euro ed essere completato entro il 2009, verrà invece avviato nel 2022 con un costo prossimo a 9 miliardi.

Il nuovo reattore francese a Flamanville, iniziato nel 2005, doveva entrare in esercizio nel 2012, ma secondo le previsioni attuali dovrebbe farcela per il 2022 e costare 12,4 miliardi invece di 3,3 inizialmente previsti.

A prescindere dagli elevati costi di investimento, la tempistica realizzativa di Okiluoto, 17 anni, per Flamanville, 18 anni, se estesa agli altri progetti, rende ogni piano nucleare palesemente incompatibile con l’obiettivo dello scenario Net Zero Emissions per evitare la crescita di due gradi della temperatura globale al 2050.

Dal report del “World Nuclear Association” si può ricavare una ulteriore interessante informazione riguardante la distribuzione dei prossimi investimenti in impianti nucleari. Solo il 17% sta avvenendo in Paesi che classifichiamo come “occidentali” (Finlandia, Francia, Regno Unito, Usa), mentre il 61% si trova dove non esiste un controllo democratico: Bangladesh, Bielorussia, Cina, Iran, Pakistan, Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti. Tutte nazioni queste ultime dove il governo può decidere di investire prescindendo dalla convenienza economica, dove non è garantito il rispetto di tutti i controlli in corso d’opera, dove non vengono comunicati dati verificabili sul costo degli impianti e dove, per alcuni di essi, l’interesse civile e militare sono strettamente connessi.

Decommissioning e deposito scorie radioattive

Non bisogna dimenticare inoltre che la dismissione a fine vita delle centrali (decommissioning) e la sistemazione delle scorie radioattive sono un vero incubo per i Paesi nucleari. I costi sono così ingenti e aleatori che vengono normalmente lasciati alla fiscalità generale e non contabilizzati nei costi di produzione elettrica. Una sorta di extra bolletta elettrica che anche noi italiani dagli anni ’80 stiamo pagando per lo smantellamento delle nostre piccole centrali anni ’60.

La durata media del processo di dismissione degli impianti è di circa 20 anni, con variazioni molto elevate: si è andati da un minimo di 6 anni ad un massimo di 42 anni per due piccole centrali Usa.

Situazione ancora più complicata per i cimiteri delle scorie radioattive. Secondo l’Ente regolatorio nucleare francese, la loro sistemazione, se viene trovato un sito idoneo e accettato dalla popolazione, sarà molto più costosa dello smantellamento dei reattori.

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