No, non è che da oggi chiunque potrà saltare in sella e affrontare la corsa a tappe più prestigiosa del mondo (parliamo pur sempre di 3300 km e 52.500 metri di dislivello complessivi). Quest’anno però il Tour de France è stato contraddistinto dall’umanità – e dal bisogno di sottolinearla – dei suoi protagonisti.

A partire dal vincitore – per la quarta volta dopo 2020, 2021 e 2024 – Tadej Pogačar. Per il secondo anno consecutivo lo sloveno della UAE Team Emirates XRG, campione del mondo in carica, ha fatto il bello e cattivo tempo per le strade della Francia rifilando 4 minuti al primo avversario, Jonas Vingegaard (danese della Visma Lease a Bike) e 11 minuti al terzo classificato, la rivelazione tedesca Florian Lipowitz della Red Bull Bora Hansgrohe.

Pogačar è stato inattaccabile nelle prime due settimane, cogliendo la vittoria numero 100 in carriera (e la Maglia Gialla) a Rouen e poi ripetendosi sul Mûr-de-Bretagne e sui Pirenei, dove ha messo in ghiaccio la corsa vincendo sul primo arrivo in salita di Hautacam e successivamente nella cronoscalata di Peyragudes.

Con l’inizio della terza settimana tuttavia quello che era un alieno venuto dal pianeta Ciclismo è tornato tra gli umani sulle Alpi, correndo più sulla difensiva e contenendo gli attacchi – talvolta confusi – della Visma Lease a Bike di Vingegaard. Il danese è stato l’unico capace di avvicinarsi a Pogačar e forse con più coraggio e tattica avrebbe potuto staccarlo, quantomeno per una prova d’orgoglio più che per reali ambizioni di vittoria, nella terzultima tappa con arrivo a La Plagne.

Indebolito dal mal di gola nel finale della Gran Boucle, Pogačar non ha nascosto di “contare i km” che mancavano a Parigi, spossato dalla stanchezza, dall’aria condizionata e dalle conferenze stampa in cui si trovava a dover rispondere a domande come «sei stanco o annoiato da questo Tour?».

Il bisogno di staccare, dopo una primavera corsa al mille per cento e condita da trionfi alle Strade Bianche, al Giro delle Fiandre, alla Liegi-Bastogne-Liegi e Freccia Vallone, del dominatore del ciclismo mondiale dell’ultimo anno e mezzo, è stata solo la punta dell’iceberg di questo fenomeno.

Il ritiro e il messaggio di Remco: “È ok essere umani”

Dopo aver vinto la cronometro nella quinta tappa il bi-campione olimpico belga Remco Evenepoel (Soudal Quick Step), partito per giocarsi la vittoria con Pogačar e Vingegaard, è crollato sui Pirenei salutando il Tour de France alla 14° tappa.

Crollato a Hautacam, irriconoscibile nella cronometro di Peyragudes, Evenepoel ha cercato di stringere i denti per superare il momento di difficoltà tra una sinusite, una costola rotta ai campionati nazionali una settimana prima della partenza del Tour e la condizione non ottimale dovuta ad un inverno passato fermo per un incidente. Questo non è avvenuto e il suo messaggio affidato ai social ha fatto molto riflettere.

Ci vuole forza per mostrare che le cose non vanno sempre come vuoi. A volte il tuo corpo ha altri piani. Quel momento, per quanto duro, ha mostrato che sono umano. Con alti e bassi. Lasciare il Tour è stata la decisione più difficile che abbia preso da molto tempo. Ma era quella giusta. Per una volta, ho davvero ascoltato il mio corpo. E spero che quel momento lanci un messaggio, soprattutto ai giovani ciclisti: è ok fermarsi. È ok sentirsi stanchi. È ok essere umani.

Dal messaggio postato sul profilo Instagram di Remco Evenepoel

Ha inciso molto in questa edizione anche un percorso estremamente esigente, nel quale le tappe per velocisti, che fanno da collante tra le asperità del percorso dando l’opportunità di rifiatare agli uomini di classifica, sono state ridotte all’osso per volere dell’organizzazione.

Durante il Tour de France il direttore tecnico dell’organizzatore – ASO – Thierry Gouvenou aveva puntato il dito contro le squadre dei velocisti, ree di controllare eccessivamente il gruppo impedendo attacchi da lontano lungo tutti i 150-200 km di una tappa piatta e quindi rendendo monotone queste frazioni. Per questo quest’anno il numero delle tappe per velocisti è sceso a 6 e questa dovrebbe essere la linea che verrà seguita in futuro.

Non è stata risparmiata nemmeno la tradizionale passerella dei Campi Elisi a Parigi, quest’anno rivoluzionata con l’inserimento dello strappo di Montmartre. Scelta criticata inizialmente da corridori (Vingegaard, Evenepoel) e direttori sportivi come Richard Plugge della Visma Lease a Bike ma che ha regalato proprio a questa squadra la vittoria con l’assolo di Wout Van Aert.

Per il belga si è trattato del secondo successo in un grande giro quest’anno dopo l’entusiasmante vittoria a Siena al Giro d’Italia. Van Aert è stato l’unico a staccare di ruota Pogačar in questo Tour de France, con una progressione da classica del Nord sulle pietre (rese viscide dalla pioggia) di Montmartre. Anche il belga ha ricordato nell’intervista post-tappa l’importanza della testa in questo ciclismo che va sempre più veloce:

“Ci avevo provato anche nei giorni precedenti, qualche volta ci ero andato vicino e in altre occasioni sono finito lontano. […] La parte più difficile è stata continuare a credere in me stesso in questo periodo, mentre le persone intorno a me non smettevano di farlo. Siamo venuti qui come squadra con l’ambizione di vincere il Tour ma alla fine ha vinto il corridore più forte in corsa e al mondo. Abbiamo provato a sfidarlo e sono orgoglioso di come lo abbiamo fatto, da squadra”.

Intervista post-tappa di Wout Van Aert (27-7-2025)

Milan e i suoi fratelli: segnali incoraggianti per l’Italia

Nonostante il percorso ricco di insidie il velocista della Lidl-Trek Jonathan Milan ha conquistato la classifica a punti del Tour de France, regalando all’Italia la sua terza maglia verde dopo quelle vinte da Franco Bitossi nel 1968 e da Alessandro Petacchi nel 2010. Al debutto alla Gran Boucle, Milan ha conquistato anche due tappe a Laval e Valence, affermandosi come uno degli sprinter migliori della sua generazione.

Il velocista friulano ha guidato un movimento italiano che aveva perso già alla prima tappa un possibile protagonista come Filippo Ganna (Ineos Grenadiers), caduto e ritiratosi dopo 52 km di gara, ma che ha trovato in Davide Ballerini (XDS Astana) un ottimo interprete delle tappe da fuga, con una crescita di condizione che lo ha portato fino al 2° posto nella tappa finale di Parigi.

Tra gli italiani che si sono distinti con una condotta di gara arrembante, soprattutto nell’ultima settimana di gara, troviamo Simone Velasco (XDS Astana) e Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling). Meno appariscenti, ma comunque da applaudire, anche Alberto Dainese (Tudor Pro Cycling) tre volte in top-10 in volata ed Edoardo Affini (Visma Lease a Bike), prezioso gregario per Vingegaard e Van Aert.

L’Italia ciclistica, ancora alla ricerca di un atleta capace di giocarsi fino all’ultimo le grandi corse a tappe, riparte da qui, nonostante il dolore per la scomparsa di un altro giovane campione come Samuele Privitera, morto a causa di un incidente occorso durante il Giro della Valle d’Aosta, mentre il Tour de France arrivava a Tolosa per l’undicesima tappa.

Ora si volta pagina, direzione Spagna. La Vuelta non avrà al via Pogačar ma tra Vingegaard, Ayuso, Bernal, Ciccone, Pellizzari, Tiberi e Carapaz ci sarà di che divertirsi a partire dal 23 agosto con la partenza dalla Reggia di Venaria per una prima volta storica in Italia. E chissà se il ciclismo avrà imparato la lezione di umanità di questo Tour de France.

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