Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, ma come ogni anno non c’è nulla da festeggiare. Al contrario: mai come in questi mesi i numeri parlano una lingua drammatica e inascoltata. Secondo l’ultimo rapporto dell’UNHCR, sono oltre 123 milioni le persone costrette a fuggire dalle proprie case nel mondo, spinte da guerre, persecuzioni, crisi climatiche e instabilità economica. Di queste, almeno 42,7 milioni sono rifugiati nel senso più stretto del termine: persone che hanno attraversato un confine nazionale per cercare protezione altrove.

La cifra è in aumento costante: rispetto al 2023, si contano circa 7 milioni di nuovi sfollati forzati. Un incremento che non accenna a rallentare, anzi. Le guerre si moltiplicano, si intensificano, si cronicizzano. Secondo il Peace Research Institute di Oslo, nel 2024 si sono registrati 61 conflitti attivi nel mondo, un record assoluto. Undici di questi hanno superato la soglia delle mille vittime annue, il limite che ne sancisce formalmente lo status di “guerra”.

Dall’Ucraina a Gaza, la geografia del dolore

Tre sono le aree che più hanno contribuito all’impennata di rifugiati nel corso dell’ultimo anno: Ucraina, Striscia di Gaza e l’intera fascia che va dall’Iran al Libano, oggi al centro di una tensione crescente tra Israele, Hezbollah e altri attori regionali.

In Ucraina, dopo oltre tre anni di guerra, si contano più di 8 milioni di sfollati interni e almeno 5 milioni di rifugiati in Europa, ospitati soprattutto da Polonia, Germania e Repubblica Ceca. La guerra in corso, lungi dal concludersi, continua a generare nuovi esodi.

In Palestina, e in particolare nella Striscia di Gaza, i numeri sono ancora più drammatici. Le operazioni militari israeliane hanno provocato decine di migliaia di morti e un vero e proprio esodo interno, mentre le popolazioni rifugiate nei campi del Libano vivono in condizioni al limite della sopravvivenza. Il 94% delle vittime in questi teatri è rappresentato da civili.

E poi c’è l’Iran, dove il conflitto con Israele sta generando un clima di instabilità e nuove fughe, anche se per il momento i dati restano parziali e difficili da verificare.

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Il Sudan, tragedia silenziosa dell’Africa

Ma la crisi più grave si consuma nel silenzio quasi totale dei riflettori internazionali. In Sudan, una guerra civile devastante tra l’esercito regolare e le Rapid Support Forces, scoppiata nell’aprile 2023, ha già costretto 12,3 milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Di queste, quasi 9 milioni sono sfollati interni, mentre oltre 3,5 milioni sono fuggiti nei Paesi vicini: Ciad, Egitto, Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana. Si tratta del più grande esodo africano degli ultimi vent’anni.

Molti di questi rifugiati trovano accoglienza in Uganda, un Paese che da anni si distingue per la generosità del suo sistema di asilo, pur tra enormi difficoltà economiche. Oggi, più di 1,8 milioni di persone trovano riparo nel Paese, ma i fondi scarseggiano: le razioni alimentari sono state ridotte per almeno un milione di loro. Il Programma Alimentare Mondiale, colpito da tagli di bilancio e scarsa cooperazione internazionale, fatica a garantire anche i servizi essenziali.

Chi accoglie davvero

Uno degli aspetti più inquietanti di questa crisi globale è la distribuzione profondamente diseguale dell’accoglienza. Oltre il 73% dei rifugiati si trova in Paesi a basso o medio reddito, per lo più confinanti con le aree di conflitto. Le nazioni che ospitano il maggior numero di rifugiati sono la Turchia (circa 3,6 milioni), l’Iran (3,4 milioni), la Colombia (2,5 milioni), la Germania (2,1 milioni) e il Pakistan (1,7 milioni).

Nonostante le dichiarazioni di solidarietà, l’Occidente continua ad accogliere una percentuale minima del totale. I meccanismi di reinsediamento internazionale sono deboli e lenti: nel 2024, solo 188.800 rifugiati sono stati effettivamente reinsediati in un nuovo Paese terzo. Numeri irrisori se confrontati con l’ampiezza del fenomeno.

Un appello all’umanità

La Giornata Mondiale del Rifugiato dovrebbe essere, prima di tutto, un giorno di responsabilità. Il diritto d’asilo non è un favore né un’opzione politica: è un diritto umano fondamentale. Ma in un’epoca in cui la parola “rifugiato” viene spesso strumentalizzata, deformata, politicizzata, è necessario tornare al significato più semplice e universale: quello di una persona che fugge per salvare la propria vita.

Dietro ogni numero, ogni statistica, c’è un volto, una storia, un’infanzia spezzata. Un mondo che fugge non è un mondo sicuro per nessuno. Serve una risposta globale, condivisa e solidale. Non basta più celebrare una giornata: bisogna ascoltarla.

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