Nella sua udizione alle Commissioni riunite Cultura di Camera e Senato, presso la Sala del Mappamondo, il ministro dell’Istruzione Bianchi ha parlato del suo progetto di riforma del sistema scolastico. Un progetto ambizioso, con luci ed ombre.

Partendo dalla constatazione, piuttosto scontata, che la scuola è “il motore del nostro Paese”, il progetto complessivo del nuovo Ministro si intende sostanziare su due assi, uno verticale (alunni, docenti, dirigenti; le persone insomma) e l’organizzazione, il piano verticale. Dopo aver constatato che l’attuale sistema scolastico altro non è se non una scuola “militar-fordista”, strutturata per “leve” tanto da chiamare le assunzioni “reclutamento”, e che si occupa solo degli studenti dai 6-18 anni, ha così dichiarato come necessario un piano che preveda l’ampliamento dell’età della formazione con il coinvolgimento anche della fascia degli anni da 0 a 6 e, finiti i cicli scolastici, con la formazione continua (formazione long life). Innovazioni che richiederebbero, di fatto, un rinnovamento della struttura attuale del Ministero, anche con la creazione di un dipartimento di formazione tecnica superiore e, appunto, della formazione long life.

Nella sua concreta articolazione, il cambiamento – che prevede di valersi delle risorse previste per il rilancio del sistema paese – è segmentato su molti punti e risulta molto complesso. Si possono notare, tuttavia, alcuni elementi degni nota.

Il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi

Intanto, una chiara scelta di campo: investire nell’istruzione significa aumentare la produttività del Paese, il che comporta necessariamente il percorrere con decisione la strada già tracciata nel lontano 2003 dalla Riforma Moratti (Legge n.53/2003). Questo passa attraverso non solo attraverso la valorizzazione dei PCTO (“percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, prima detti “Alternanza Scuola-Lavoro”), ma pure potenziando gli accordi tra scuola e università, che potrà realizzarsi attraverso un aggiornamento periodico dei curriculum scolastici (l’insieme delle esperienze di apprendimento) rispetto agli esiti della ricerca e intervenendo sulla formazione in servizio degli insegnanti. Inoltre, come già affermato in più occasioni dal Ministro – tanto da renderlo elemento caratterizzante della propria conduzione del Ministero – viene rilanciata la necessità di una riforma degli istituti tecnici e professionali “per allineamento dei curricula alla domanda di nuove competenze e a orientarne l’offerta educativa verso l’innovazione introdotta dal modello di industria 4.0.”, modello che necessita della crescita delle competenze digitali. Il progetto, quindi, ha bisogno del rafforzamento degli ITS (Istituti tecnici Superiori) e di una progressiva integrazione con il sistema universitario, attraverso delle lauree professionalizzanti e una maggiore integrazione con “il tessuto imprenditoriale”. Questo piano, che persegue un’idea di scuola più come luogo di addestramento di addetti al mondo del lavoro e meno come luogo di cultura e formazione del cittadino, riprende il modello duale dell’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, che non casualmente fa riferimento al Ministero del lavoro e delle politiche sociali) e ha certo il merito di voler arginare la dannosa e irrealistica “licealizzazione” della scuola italiana.

Un altro punto interessante – anche se vista l’attuale inconsistenza del Ministero della Transizione Ecologica è una scommessa assai incerta – è l’idea di promuovere politiche per trasformare la scuola in un sistema a supporto della transizione ecologica.  “La scuola dovrebbe così guidare la transizione del Paese verso l’innovazione tecnologica e la sostenibilità ambientale”. Nel secondo caso è difficile immaginare cosa significhi in concreto, a meno che non si intenda che la scuola, sempre nel quadro di Industria 4.0, debba puntare a formare tecnici in grado di creare sistemi più performanti per ridurre gli sprechi di energia.

Tra gli spunti, per certi versi rivoluzionari, troviamo l’aumento del tempo scuola con il PNRR (il Piano Nazionale per la ripresa e la resilienza) e il potenziamento dell’offerta formativa, possibile solo attraverso nuovi edifici scolastici con spazi vivibili ed oggi spesso assenti come, ad esempio, le mense. L’obiettivo è ambizioso: 1.000 edifici entro il 2026, ma considerando l’esperienza passata e i tempi per l’elaborazione e l’approvazione di un qualsiasi progetto edilizio pubblico quasi certamente rimarrà una mera dichiarazione d’intenti.

Notevole, infine, la dichiarata necessità di “rimettere al centro gli insegnanti”, anche se non nel modo che gli insegnanti oggi auspicherebbero. Infatti, particolare attenzione sarebbe dedicata alla loro formazione specie in merito alle metodologie didattiche e a favore di una didattica per competenze, di tipo collaborativo, “che consenta una maggiore personalizzazione degli apprendimenti, tenendo conto delle esigenze specifiche di ciascuno studente”. Tutto il percorso di aggiornamento – ecco la prima applicazione di quella formazione long life già citata – verrebbe raccolto e certificato da un sistema digitale per la documentazione delle esperienze professionali e dei percorsi di formazione.

Questi solo alcuni degli spunti. Già, però, possiamo notare alcune difficoltà: si richiede a un docente una qualità e una flessibilità che non tiene conto dell’invecchiamento della classe docente né del fatto che l’insegnamento è spesso “valvola di sfogo” sociale per lavoratori senza altri sbocchi sul loro territorio, che spesso scelgono questa professione come ultima spiaggia; problemi per i quali servirebbero una selezione, una remunerazione economica e un prestigio sociale ora assenti. Soprattutto, a fronte di stipendi da impiegato di livello medio/basso, l’impegno richiesto con la formazione long life, che si accumulerà alla normale attività didattica, sembra sproporzionato considerando che il tempo per lo studio e l’approfondimento è sempre più invaso dalla burocratizzazione dei docenti, che sempre più spesso si devono inventare come “amministrativi aggiunti” per supplire alle carenze di organico del personale delle segreterie.

Giovanni Gentile

“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni.” diceva Paolo Coelho e chissà, forse davvero il Ministro sarà colui che per primo finalmente costruirà un modello scolastico con un respiro e un impatto comparabile alla riforma di Giovanni Gentile (1923). Ma il cambiamento si misura nella capacità di incidere sulla realtà, e la realtà ci dice che il suo primo vero atto sta nell’investire ben mezzo miliardo di euro in un progetto, la “scuola d’estate”, che nessuno (docenti, alunni, famiglie) sembra volere e che probabilmente finirà “per dar da lavoro a cooperative e associazioni, il cosiddetto terzo settore”. Il tutto, naturalmente, senza aria condizionata e, soprattutto, senza un’idea di come ripartire concretamente a settembre. Un film, questo, già visto l’anno scorso.

Perché le famose classi pollaio, che l’ex Ministro Lucia Azzolina già il 15 luglio 2020 diceva di voler cancellare, spariranno solo (e forse) nel 2027 e principalmente per merito del calo demografico. Nel frattempo, non si è costruita un’aula e le nuove assunzioni servono a coprire i vuoti d’organico dei pensionamenti. Così, disillusi ma cullati dalle chiacchiere, mentre attendiamo nuovi e luccicanti istituti rimaniamo dolorosamente consci che nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.

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