Sole e ombra, fiori rigogliosi nei giardinetti, a volte spunta qualche pomodoro o cetriolo dietro le rose. Si sente solo il cinguettio degli uccelli e qualche rara macchina che passa. In via Natalia Uzhvii, a metà agosto del 2023 c’è silenzio e pace.

Non era così a marzo del 2022, quando il quartiere di Saltivka Nord fu preso di mira dai missili russi. Questa zona di Kharkiv, la più lontana dal punto di vista della distanza ma la più accessibile dal punto di vista dei prezzi, era il paradiso dei lavoratori, delle persone che avevano risparmiato per tutta la vita e hanno potuto permettersi un appartamento in uno dei casermoni sovietici, sparpagliati in ordine sparso. Hanno comprato e arredato, hanno piantato i fiori, hanno scavato le cantine abusive per tenerci le scorte di cibo.

E poi hanno perso tutto. O meglio: qualcuno ha perso i vetri nelle finestre, qualcun altro ha perso l’appartamento intero e qualcun altro ha perso l’appartamento e la vita, in un colpo. C’è anche chi non ha perso nulla e si è limitato ad un gran spavento. Queste gradazioni del dolore sono all’interno dello stesso condominio.

Le finestre a Saltivka si riparano con pannelli di compensato. Foto di Marina Sorina.

Palazzi come veterani di guerra

Ma si può vivere come se nulla fosse in una casa contaminata dalla morte ed ancora esposta ai colpi dei missili?
A giudicare dai giocattoli abbandonati al parcogiochi, sì può. Perché la vita va avanti. I vetri si ripristinano, oppure si rinuncia alla luce e si risparmia, coprendo le finestre con i teli di plastica o con il compensato.

I muri con l’aiuto del municipio si rimettono a posto. I fiori, poi, non temono nulla e continuano ad abbellire i palazzi di cemento armato sbriciolato e bruciacchiato.

Questi palazzi sono come i veterani di guerra: mutilati, ma muniti di protesi; feriti ma indomiti. E la gente che ci vive? Non dimenticherà chi ha inferto il colpo al loro piccolo mondo, non perdonerà.
Accanto ai monconi delle case falciate, ci sono palazzi apparentemente normali. Solo mettendo a fuoco si notano le anomalie: tracce di fuliggine, vetri frantumati, intonaco scrostato dalla pioggia delle schegge.
Arrivando al quartiere, ho notato nella lunga fila dei garage qualcosa di anomalo. Bisogna fare una premessa: l’architettura sovietica costruiva alloggi popolari gratuiti (ma accessibili solo dopo anni di attesa) senza prevedere la possibilità che i residenti potessero avere una macchina.

Un palazzo di via Nataliia Uzhvii a Saltivka, nord di Kharkiv, mostra i danni subiti dai missili russi. Foto di Marina Sorina.

Per i palazzi alti da nove a dodici piani e con una decina di ingressi non erano previsti né parcheggi in superficie, né garage sotterranei. Il trasporto pubblico avrebbe supplito a tutto, salvo che poi nei quartieri remoti come Saltivka Nord non arrivavano, perché mancavano le strade e i mezzi.

Poi la gente si è comunque adeguata, le macchine sono state comprate e per alloggiarle si costruivano nelle vicinanze dei palazzi le cooperative di garage, dove ogni macchina aveva un proprio loculo in lamiera o in muratura. L’abitudine di passarci del tempo fra gli amici, sistemando la macchina e sbevazzando ha trasformato i garage in uno dei luoghi preferiti dagli uomini nello spazio post-sovietico.

Missili lanciati per distruggere dei garage

Fra i garage che ho visto ne mancavano due-tre. Sembravano denti marci dentro ad una bocca spalancata: carcasse arrugginite in mezzo alle scatolette ancora intatte. Ho chiesto al tassista, immerso nell’ascolto della musica pop russa a basso volume, se erano rovinati per usura o per un altro motivo. «Certo che altro. Sono stati i russi, l’anno scorso», ha risposto.

«Missili costosi per distruggere due garage, che senso ha?», gli ho risposto sorpresa. Il tassista ha fatto un sorriso amaro: «Se li pagassero, forse sarebbero più attenti. Ma questi sparano ferraglia vecchia, roba sovietica, accumulata in cinquant’anni. Costa di più tenerla a deposito che spararla verso di noi. Così si divertono». Lo diceva con serietà e rassegnazione, come se parlasse di ragazzini scapestrati che non obbediscono alla legge degli adulti.

Un filo rosso d’angoscia

Una statuetta che ornava una delle fioriere di via Nataliia Uzhvii è diventata per me il simbolo di questa ambiguità. Raffigurava una graziosa signorina con un vaso di fiori in braccio, fatta di gesso colorato. Da un lato perfettamente integra, ma vista dall’altro lato era spezzata.
Così è la realtà ucraina d’oggi: una fragile apparenza di normalità, velata dalla tristezza dei colpi già subiti e dall’angoscia di quel che verrà.

Le giovani mamme passeggiano coi figli piccoli, nati e cresciuti in guerra. Vedono i fiori delle aiuole e gli scivoli, non alzano gli occhi sulle finestre accecate. Le ferite dei condomini di Saltivka sono visibili e potranno essere rammendate. Anche quelle dei palazzi antichi del centro storico, dell’università, del politecnico, delle scuole e degli ospedali. Ma le cicatrici sull’anima dei singoli abitanti di Kharkiv e di tutta la società ucraina potranno mai guarire?

Due palazzi colpiti in pieno centro a Kharkiv, a destra l’edificio regionale della SBU, il Servizio di sicurezza ucraino. Foto Marina Sorina.

Tutti gli strati della società ucraina sono esposti agli attacchi missilistici russi. Una villa lussuosa è un bersaglio tanto quanto una borgata proletaria; lo stesso destino può capitare ad una chiesa cattolica o ortodossa, agli uffici governativi o privati, all’università o al politecnico, in città o in campagna.

Tutti sentono la stessa sirena, che come un filo rosso d’angoscia unisce i territori distanti ma non disgiunti dell’Ucraina sotto attacco permanente, che resiste dietro il duplice scudo delle forze armate in trincea e della quotidianità delle retrovie. L’Ucraina si rifiuta di rimandare la propria vita a dopo e tenacemente difende il proprio diritto di esistere ed essere libera.

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