Sembra apparentemente sorprendente il percorso e gli autori scelti per la mostra Klimt e l’arte italiana inaugurata il 16 marzo e che rimarrà aperta al pubblico fino al 27 agosto 2023 al Mart di Rovereto. La mostra, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Beatrice Avanzi, si apre con le opere dell’artista viennese acquistate dall’Italia durante le esposizioni dell’artista del 1910 alla Biennale di Venezia e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, organizzata in occasione del cinquantenario dell’unità d’Italia, ovvero Giuditta II e Le Tre Età Della Donna. Pare curioso, infatti, strutturare una mostra su Gustav Klimt con soli due dipinti di mano dell’autore.

Il quadro Giuditta II (1909), acquistato dal Comune di Venezia e destinato alla Galleria Internazionale di Arte Moderna di Ca’ Pesaro, è completamente diverso dalla prima versione del 1901, attualmente a Vienna ed elaborata nel periodo aureo dell’autore. La Giuditta della mostra colpisce per la tragica sensualità, per le rigide e poco aggraziate forme anatomiche, per le mani ritratte in una posizione antinaturalistica che – ci si rende poi conto solo grazie ad una più attenta osservazione – reggono la testa mozzata di Oloferne. Anche la cornice è frutto dell’ingegno di Klimt, che sottolinea l’influenza del giapponismo nella sua opera prediligendo un formato caratteristico dell’arte nipponica (il kakemono) realizzando lui stesso il supporto.

Gustav Klimt

La seconda opera dell’autore viennese che troviamo immediatamente dopo è Le Tre Età Della Donna, ora parte del patrimonio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, grazie a un’acquisizione del Ministero dell’Istruzione all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911. L’opera, eseguita dall’autore nel 1905 nella sua piena maturità stilistica, rappresenta simbolicamente le tre fasi della vita femminile. Domina la composizione l’abbraccio tra la bambina e la madre, incorniciate da corone di fiori stilizzati nei capelli e uno sguardo affettuoso, teneramente colmo di speranza e vita; sulla sinistra, come contraltare, appare la vecchiaia, con un corpo segnato dall’usura dell’amore e del lavoro, che sembra lasciare il passo alle due giovani; infatti, coprendosi il volto con i capelli, quasi pare non voler guardare oltre alla sua vita che oramai giunta al termine.

E i dipinti di Klimt che si possono ammirare nella mostra sono finiti (rimane qualche disegno) ma certo non deludono le restanti sale che testimoniano come l’arte aurea del pittore austriaco illumini la scena italiana negli anni a venire. Tanto Klimt aveva appreso, facendole proprie, le bellezze di Venezia e Ravenna rievocandole nei suoi dipinti, tanto ha consegnato a una generazione di artisti che ha lasciato germinare in sé la sua influenza artistica, rielaborandola in maniera autonoma ed originale. Così si aprono le sale con le opere di Vittorio Zecchin, che affascina con i suoi racconti fiabeschi e orientaleggianti sui pannelli, con vetri, merletti e mobilio di ispirazione veneziana; Galileo Chini con grandi dipinti pervasi da cascate di fiori simili a murrine veneziane.

Dopo questo tripudio di decorazioni, sogni e fiori, l’esposizione si concentra sull’apporto artistico in quei territori che, fino al 1918, hanno fatto parte dell’Impero Austroungarico, dove il rapporto con le Secessioni è, naturalmente, più stretto. Ed è a questo punto che si possono osservare le opere dell’artista trentino Luigi Bonazza, venuto in contatto a Vienna con il nuovo linguaggio secessionista; lì ne assorbe gli stimoli che l’autore riporta nelle sue opere attraverso soggetti legati al sogno, al mito e all’allegoria. L’esposizione continua con degli artisti di Ca’ Pesaro, luogo di dialogo artistico alternativo al clima culturale più tradizionalista delle Biennali; è proprio in questo palazzo veneziano in cui espone, tra gli altri, anche Felice Casorati, a cui è dedicata un’intera sala nella mostra di Rovereto.

“Giuditta II” (1909) – Gustav Klimt

La sala di Casorati si concentra soprattutto sul periodo del suo soggiorno a Verona tra il 1911 e il 1915, momento significativo per l’artista nel quale il suo linguaggio diventa più spirituale: questo è ben rappresentato dal dipinto La Preghiera che domina la scena della sala. Nella stessa si apre ora la scena sul “Klimt della scultura”, come viene considerato da molti Adolfo Wildt, con le sue opere scultoree frutto di una sapiente lavorazione classica del marmo unita ad una tendenza espressionista e decorativa di chiara ispirazione secessionista.

Con l’ultima sala si conclude il percorso evolutivo del linguaggio klimtiano, approdando nel gusto Art Déco, che esalta il culto per la decorazione e la geometrizzazione tipico della Secessione, affascinando lo spettatore con più opere, di cui degne di una menzione particolare sono le meravigliose ceramiche dell’artista faentino Francesco Nonni.

Una tenda nera chiude il sipario e apre la scena sull’area bimbi. Un finale che, onestamente, dopo cotanta bellezza, ci inchioda alla dura realtà.

Il MART di Rovereto (Trento)

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