Il 3 marzo i manifestanti di Fridays for Future scenderanno in piazza per l’annuale sciopero globale del clima, a Verona come in tutto il mondo, per supportare l’urgenza di agire concretamente per combattere la crisi climatica. Al grido di «la nostra rabbia diventerà energia rinnovabile», nella nota diffusa dal movimento, «lo sciopero darà nuova luce alla rabbia: saremo energia creativa e propositiva, renderemo concreto l’immaginario delineato dall’Agenda Climatica. Perché la partita non è finita. Possiamo ribaltare la situazione e costruire l’alternativa. Comunità energetiche, trasporti capillari, servizi pubblici per città vive e accessibili».

L’appello è, ancora una volta, quello di fare le luce sulla giustizia climatica, in un momento in cui è spesso passa in secondo piano, davanti alle crisi politiche e umanitarie come la guerra in Ucraina ed economiche come il caro-vita e l’inflazione dominano le notizie. «Siamo costretti a scendere in piazza ancora una volta. Non bastano le catastrofi ambientali che colpiscono il nostro paese o i dati allarmanti degli scienziati perché la classe politica legga la situazione come un’emergenza, non bastano le centinaia di soluzioni esistenti perché la classe politica agisca immediatamente. Invece di seguire le indicazioni scientifiche per contenere l’aumento della temperatura media sotto 1.5°, finanziano i progetti delle imprese fossili. Il loro è un atto consapevole».

La scienza del clima è consolidata. Il consenso scientifico sul riscaldamento globale ha iniziato a formarsi negli anni ’80, anche se i ricercatori avevano lanciato l’allarme fin dagli anni ’60. Oggi sappiamo con certezza che l’aumento globale delle temperature medie è causato dall’attività umana e che sta avendo effetti disastrosi sul nostro pianeta e sui suoi abitanti.

L’ultimo rapporto dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change) afferma l’urgenza di contenere l’aumento della temperatura media globale entro +1,5 °C rispetto all’era pre-industriale. Per farlo, dobbiamo dimezzare le emissioni globali di CO2 entro il 2030, e azzerarle entro il 2050.

Se i rapporti e i grafici non fossero abbastanza convincenti, dovrebbero esserlo le notizie in diretta dei mutamenti climatici con tutte le loro devastanti conseguenze: le storie di incendi, cicloni, tornado, perdita di biodiversità inondazioni e siccità sono ormai quasi costanti e davanti ai nostri occhi, più vicino di quanto pensiamo. Si sente parlare di “razionamento dell’acqua potabile di fronte alla siccità che sta caratterizzando il clima nel nostro Paese.

2022, anno più caldo di sempre, in Veneto è mancato il 30 per cento di pioggia. Il grave problema del 2022 infatti è stata la straordinaria siccità che caratterizzato fiumi, bacini di montagna, falde e depositi nivali. Con 771 mm di pioggia in media contro una media di riferimento di 1100 mm il 2022 è l’anno più secco degli ultimi 30 anni: -30%, peggio del record del 2015. L’anno idrologico (ottobre 2022 – ottobre 2023) si è aperto in Veneto con un deficit di piovosità di 92 mm rispetto alla media 1994-2021. L’inizio del 2023 è stato caratterizzato da diversi episodi di pioggia e nevi ma la situazione desta ancora apprensione soprattutto a causa dei bassi livelli delle falde acquifere; a metà gennaio, per esempio, gli acquiferi dell’alta pianura veronese segnavano livelli di 30-40 cm inferiori al precedente minimo storico per gennaio (2018). Alla data del 15 gennaio le portate dei maggiori fiumi veneti sono quasi ovunque inferiori rispetto alla media del periodo: Po -36% (a Pontelagoscuro), Bacchiglione -55% (a Montegaldella), Adige -15% (Boara Pisani), Brenta -20% (Bassano del Grappa). «Abbiamo un territorio che per mancanza di acqua, sia di pioggia che di acqua che scorre nei fiumi e nei canali, si sta modificando – ha sottolineato il presidente di ANBI Veneto Francesco Cazzaro, nel corso dell’audizione con la 3^ commissione (Agricoltura) del Consiglio Regionale mercoledì 1 febbraio 2023. – , stiamo assumendo una colorazione del paesaggio tipica delle aree del sud Italia e, con questo trend, rischiamo di assumere caratteristiche proprie delle aree semidesertiche».

«Siamo marea che si spinge sulla battigia, torna indietro, si rigenera e riprende la sua rincorsa» dichiarano sulla loro pagina gli attivisti di Fridays for Future.

Una marea che, da punto di vista climatico, fa sentire i suoi effetti nella nostra Regione. A Venezia, in queste settimane, la straordinaria bassa marea sta portando il livello dell’acqua fino a -70 centimetri sotto la media (20 febbraio). Questo fenomeno però, secondo gli esperti, non è dovuto alla siccità, ma all’estrema alta pressione, unita alla forte attrazione gravitazionale della luna nuova che il 18 febbraio ha raggiunto il suo perigeo, ovvero la massima vicinanza alla terra. Non si tratta però di una novità: la bassa marea è un fenomeno abbastanza usuale per il periodo, infatti nella città statisticamente i periodi di bassa marea si verificano con più frequenza tra gennaio e febbraio (i record sono meno 83 cm del 2008, meno 92 cm del febbraio 1989). Ciò non significa che i canali in secca non abbiano attirato l’attenzione del mondo, soprattutto perché i turisti sono tornati in massa per il primo vero e proprio Carnevale post Covid, né che la bassa marea non abbia creato disagi per i veneziani, rendendo più difficili le consegne via acqua e la possibilità di rispondere alle emergenze con le ambulanze e i mezzi antincendio.

Quello che è da sottolineare sulla bassa marea che sta cambiando il volto di Venezia è che i dati del Centro Previsioni e Segnalazioni Maree di Venezia mostrano che la bassa marea è in netto calo da molti anni e ciò succede perché la città è soggetta a cedimenti dovuti all’innalzamento dei livelli dell’acqua in tutto il mondo, conseguenti all’effetto dei cambiamenti climatici.

Intanto nella maggior parte dei comuni italiani continuano gli aumenti dei costi dei trasporti pubblici con nuove tariffe sempre più elevate, e in Europa vengono pianificati per il medio/lungo periodo progetti devastanti in termini di emissioni di CO2.

«Con la guerra e le molteplici crisi che stiamo vivendo, le grandi aziende del fossile hanno accumulato enormi extraprofitti, mentre dilaga la povertà energetica. Palpabile nell’aria il vuoto sociale dopo la pandemia e dopo la guerra, evidenti le contraddizioni fra i profitti delle multinazionali del fossile e la crescente ingiustizia, climatica e sociale, nel mondo e nel nostro paese» dichiara il movimento Fridays for Future.

Le nuove generazioni sono preoccupate e, giustamente di fronte a promesse politiche non mantenute e politiche climatiche non ambiziose, vedono il loro futuro diventare invivibile. «Scendiamo ancora in piazza perché, approfittando di una situazione di guerra, mentre milioni di famiglie dovevano scegliere se mangiare o riscaldare le loro case, tutte le maggiori aziende di combustibili fossili hanno registrato i profitti più alti della loro storia, tra queste anche Eni, che ha registrato profitti per 20,4 miliardi di euro nel 2022. Profitti che non verranno reinvestiti in tecnologie per l’energia rinnovabile, ma redistribuiti agli azionisti e investiti in nuovi progetti di ricerca ed estrazione. Scendiamo in piazza per chiedere che questi soldi vengano tassati e, insieme a quelli con cui lo stato sovvenziona attualmente progetti fossili, siano destinati a servizi per i cittadini: per creare comunità energetiche rinnovabili, per migliorare l’efficientamento energetico dei grandi edifici, tra cui le scuole e le case popolari; ma anche per trasporti pubblici più efficienti, reti ferroviarie e ciclabili piuttosto che creare nuove autostrade, facilitando la diminuzione dell’utilizzo di auto inquinanti e creare città a misura di persona e più sicure» sottolineano nel manifesto dello Sciopero Globale per il Clima.

Ma non credete che l’attivismo, per i giovani, sia solo un passatempo. Lo sciopero è diventato lo strumento più efficace che hanno per far sentire la loro voce e chiedere un cambiamento concreto. «Scendere in piazza è necessario per mantenere alta l’attenzione verso problematiche che conosciamo da decenni ma verso cui si è sempre procrastinato. È necessario per valorizzare la voce degli scienziati che già ci suggeriscono come affrontare e mitigare i cambiamenti climatici ma che poco ancora ascoltiamo. È necessario perché ad oggi si vede tanto greenwashing che ci fa guardare il dito e non la luna. È necessario per non abituarsi alla crisi climatica che deve rimanere urgenza e non diventare normalità».

Davanti a questo appello non si può rimanere indifferenti. I cambiamenti individuali sono ammirevoli. Riciclare, fare acquisti di seconda mano, consumare meno carne, usare con attenzione acqua, spegnere le luci: sono tutti modi tangibili ed efficaci per ridurre le emissioni personali.

Ma non è abbastanza. Dobbiamo pensare più in grande, agire con più coraggio. La crisi climatica è un problema strutturale che non si risolve solo con i seppur importanti, necessari e ammirevoli gesti quotidiani che possiamo fare. Richiede una revisione del sistema che rende onnipresente la plastica o che non incentiva e supporta il passaggio a veicoli che non siano alimentati a combustibili fossili. È necessario un movimento di protesta per un cambiamento delle politiche e una drastica riprogettazione della nostra economia.

Appuntamento quindi alle ore 9 in Piazza Arsenale, dietro a Castelvecchio; da qui partirà un corteo che giungerà a Piazza Cittadella. Per dare nuova voce ad una sfida climatica e sociale che ci riguarda da vicino.

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