Nella sala in cui ora è esposto il Tondo ’85 – 3 di Emilio Vedova, acquisito recentemente da Palazzo Maffei-Casa Museo, ci si trova a sospendere per diversi secondi il sospiro. Non accade solo per l’emozione, piuttosto si manifesta una percezione di pienezza, di forza saturante, che pervade lo spazio.

Presentata sabato scorso alla città, l’opera fa parte dei grandi Tondi realizzati tra il 1985 e il 1987: la sua collocazione di fronte al quadro del 1960 Ciclo’60 (B.8) aggiunge uno sbilanciamento dinamico all’allestimento dell’intera sala. La forma circolare e la dimensione invadente provoca una tensione per l’osservatore, il quale si trova improvvisamente al centro di un’energia pittorica inusitata.

Scelta perfetta per capire di cosa si sia occupato Vedova durante la sua ricerca e che fa percepire la potenza di un artista che meriterebbe una considerazione sempre più consapevole.  

Un artista sempre più apprezzato anche in Italia

Il presidente della fondazione Luigi Carlon posa davanti all’opera di Emilio Vedova, oggi parte della collezione di Palazzo Maffei.

«L’Italia è di un’ignoranza pesante […] E noi sembriamo sempre i parenti poveri. In realtà manca la grinta e così non riusciamo a tirare fuori degli spazi nuovi dove far respirare l’arte contemporanea, i grandi spazi di cui hanno bisogno le tematiche di oggi. Ma questa esigenza deve essere soddisfatta se è vero che un quadro è cultura». Così dichiarava il maestro in un’intervista del 1997 a Paolo Vagheggi de La Repubblica, in occasione di un’esposizione alla galleria Giò Marconi a Milano.

A venticinque anni di distanza non è cambiato moltissimo per il contemporaneo, sebbene passi importanti siano stati fatti: tra questi, è nata la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, il mercato internazionale da qualche anno sta dando segnali di grande apprezzamento per la sua ricerca informale, e si sta registrando un cambio di rotta anche da parte del collezionismo italiano.

Il legame con Verona

Merito dell’importante lavoro di valorizzazione che la veronese Galleria dello Scudo svolge da più di un decennio, impegnata insieme alla fondazione nella tutela e lo studio dell’artista veneziano (lo scorso marzo aveva curato anche un’esposizione di trenta opere tra Tondi e Oltre, con lavori realizzati tra il 1985 e il 1987). 

Ora, poter ammirare un esemplare della ricerca legata alla forma del cerchio, grazie all’ingresso nella collezione Carlon, è di certo un passo di grande valore per la documentazione del contemporaneo a Verona. Un esemplare per conoscere e sperimentare ciò che la storica dell’arte Carla Schulz-Hoffmann definisce uno spazio in cui esiste “una ubiquità del centro”, per cui «il quadro come unità diventa spazio vitale, centro di vita, nel quale forze differenti possono tornare ad agire le une contro le altre».

Il no della politica

Il bisogno di uscire dal contenimento tradizionale del quadro è stato d’altronde ricordato da Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, proprio di fronte al tondo realizzato nel 1985. «La cornice era diventata un impedimento alle idee, che avrebbero dovuto fuoriuscire dalla cornice ed entrare nello spazio. Nella sua pennellata si percepisce lo scontro delle situazioni che connotano la vita. Un messaggio ideale privo di oggetti, paesaggi, raffigurazioni».

Emilio Vedova, Tondo ’85 – 3, foto di Agostino Osio.

C’è da fare i conti con il profondo malessere intercettato dall’artista, che diventa metodo di indagine del reale: uomo dai definiti intendimenti politici – nato povero da famiglia proletaria, conosce il lavoro già durante l’infanzia, la sua emancipazione è frutto di un incessante impegno nella ricerca artistica – viene segnato, anche fisicamente, dalla militanza nella Resistenza sui monti del Bellunese e dalla stroncatura di Togliatti, che gli preferì Guttuso, alla I Mostra nazionale d’arte contemporanea organizzata a Bologna dall’Alleanza della cultura.

I riconoscimenti

Ma la sua ricerca non è spinta dal tentativo di confermare tout court il proprio credo politico: l’arte, libera, inquieta, in perenne dibattito con il mondo, ma anche con quella Venezia che gli aveva consegnato i colori, la luce, la bellezza accanto al crollo, acuito dalla seconda guerra mondiale, è sempre stata scopo e strumento per un percorso del tutto personale.

E infatti nel 1951 l’estero ne riconosce il valore: riceve allora il premio per i giovani pittori alla Biennale di San Paolo, seguito nel 1956 dal Guggenheim International Award, poi nel 1960 il premio per la pittura alla Biennale di Venezia. Direttore dell’Internationale Sommerakedemie a Salisburgo, tiene conferenze nei campus statunitensi, insegna all’Accademia di belle arti di Venezia. Conquista insomma un’autorevolezza in vita che pochi artisti italiani del secondo Novecento hanno potuto raggiungere.

La forza del naufragio

Se ne raccontano i passaggi cruciali nel docufilm di Tomaso Pessina, Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio, del 2019, con cui il regista ha cucito filmati originali dell’artista insieme a diverse testimonianze (toccante la presenza dell’amico e collega Georg Baselitz), e che è stato proiettato a Palazzo Maffei dopo un breve dibattito sulla figura del pittore.

Provocatorio, caratterialmente difficile e forte, Vedova ha lasciato nei suoi lavori un segno potente, capace di premere lo spazio e gli occhi di chi guarda anche a distanza di decenni. Rivoluzione, ribellione, ma con in mente il passato da indagare si trovano nel lavoro intorno al cerchio, figura da lui definita “sacrale”. Una ricerca per vederne la tenuta a contatto con la lacerazione umana: “Io affrontavo adesso la figura forse più proibitiva. Perché il tondo è il tondo sempre dell’ideologia. E il tondo della cristianità. È il tondo dell’umanesimo. E il tondo del mandala.”

La rivoluzione di Vedova, quindi, è a disposizione anche a Verona, in una Casa Museo che, come ha ricordato la direttrice Vanessa Carlon, «accoglierà altre nuove opere, che presenteremo a breve, e dove ogni sabato alle 16 terremo degli incontri all’insegna dell’arte, dei libri, di film, e con incontri con gli artisti».

Un invito alla città che inizia sotto buoni auspici.

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