In un recente articolo di Heraldo, a firma di Alberto Battaggia, si afferma: «Il nuovo direttore Filippo Manfredi ha confermato che Castel San Pietro e Palazzo del Capitanio conserveranno la destinazione museologica, anche se spostata di diversi anni nel tempo (tra il 2028 e il 2030)». Una dichiarazione che, pur spostando ancora in là il giorno della libera fruizione da parte della cittadinanza, rincuora sulla sua destinazione d’uso. Perché quella di Castel San Pietro è una storia tormentata e proveremo a ripercorrerla a tappe.

L’area di Castel San Pietro nella storia antica

L’area che nel corso dei secoli precedenti, almeno fino a Teodorico – il re degli Ostrogoti che nel VI secolo aveva cercato di risolvere l’antagonismo tra Romani e Ostrogoti puntando su una differenziazione di funzioni – era sempre stata dedicata alla cultura, al sacro, alla convivialità, sembra ora persa in una nebbia che impedisce di comprendere con certezza quale sarà la sua possibile destinazione d’uso.

Dai tempi della Repubblica Romana, sulla sommità del colle, sostenuto e valorizzato dalla scenografica costruzione del Teatro Romano, dominava la città un tempio pagano, su una struttura architettonica, se non usuale, di certo comparabile ai teatri-templi di Ercole Vincitore a Tivoli, al tempio sannita di Pietrabbondante e al santuario di Giunone Lacinia a Gabii[1].

Ignota la divinità a cui era dedicato il tempio veronese anche se, per la posizione elevata del sito, era sicuramente intitolato a una divinità celeste, aerea, elemento comune a tutte le religioni orientali e occidentali di ogni epoca. Un’ipotesi è che si trattasse di Saturno mentre altri dicono Giano, divinità che comincia a sbiadire ai tempi di Augusto con l’ingresso in città dei culti orientali. Un dio antichissimo e prettamente italico, custode dei passaggi e dell’inizio, per alcuni addirittura elemento unificante del cosmo stesso e padre degli dèi come e più di Giove. Intorno, un bosco sacro.

Un altro tempio, che copriva le pendici nord-est del monte, era dedicato a Feronia, antica divinità guaritrice attestata nel centro Italia già nel III a.C.; la ritroviamo, ancora oggi, nel toponimo corrotto di Fontana di Ferro.

Acquerello raffigurante l’interno della chiesa di San Pietro

Da tempio a chiesa e poi fortilizio

L’edificio, in ogni caso, nei primi secoli dopo Cristo venne trasformato nella chiesa paleocristiana dedicata a San Pietro, santo che – guarda caso, esattamente come Giano – era connesso ai passaggi e alle porte, come le chiavi che lo caratterizzano nella sua iconografia ci confermano. Il trapasso a una nuova fede, ufficiale con l’editto di Teodosio del 380 d.C., e il cadere del paganesimo e della romanità è un evento che per l’Occidente va ben oltre il semplice passaggio di consegna tra religioni.

Il luogo stesso pare quasi percepire lo smarrimento dei popoli e delle culture, l’arrivo di tempi tormentati, di una nuova età di ferro. Quindi, nonostante rimanesse viva la connotazione sacrale del colle – che vede per esempio papa Urbano III ancora nel 1186[2] cantarvi messa con tutto il collegio cardinalizio -, così come accade per San Martino in Aquaro a Castelvecchio, anche questa struttura religiosa viene lentamente inghiottita da una struttura fortificata. Prima con finalità difensive, con le mura di Teodorico e i prolungamenti e i rafforzamenti dei Della Scala, poi con funzione di controllo e minaccia con l’ampliamento dei Visconti[3], conquistatori nel 1388 della città, che fortificarono definitivamente la sommità della collina.

I resti ancora resistono all’abbandono, faticosamente, alle spalle dell’odierno forte austriaco. Impositori di un duro giogo che prostrò economicamente la città, i milanesi dovettero cedere una Verona sfiancata prima ai Carraresi e poi, definitivamente, a Venezia, con la spontanea dedizione cittadina del 1404 che venne firmata nel castello di Montorio.

Gli austriaci fanno del colle una piazzaforte

Fu con l’ascesa di Napoleone che il colle vide definitivamente stravolta la sua natura: quando i francesi abbandonarono il rilievo dopo gli accordi di Luneville (1801) con l’imperatore d’Austria, minarono il castello visconteo e lo fecero saltare. Gli austriaci, sordi alle richieste di recupero dell’edificio da parte della città, colsero invece l’occasione per spianare la sommità del colle e radere al suolo la chiesa che, per la verità, non era affatto irrecuperabile, e costruirvi una piazzaforte sul modello del progetto presentato nel 1853 da Conrad Petrasch e Joseph Glaesser. Curiosamente, la Storia, che aveva lentamente ma inesorabilmente trasformato un colle sacro in una piazzaforte, rese il castello militarmente inutile nemmeno 10[4] anni dopo il completamento dei lavori (nel 1856), ritenuti essenziali per rendere Verona ‘la città più fortificata dell’impero asburgico’[5] e perno del Quadrilatero di Radetzky

Le rovine della rocca prima della distruzione

Le ipotesi novecentesche di riutilizzo

Con il contrastato e sofferto riaffiorare dei monumentali resti del Teatro Romano e le scoperte di Andrea Monga, il fervore archeologico spinge la cittadinanza a ripensare la funzione del Forte di San Pietro, non più come piazzaforte ma come struttura museale.

Già Antonio Avena aveva cominciato, durante il suo periodo come direttore dei musei veronesi, a costruire un percorso archeologico nei giardini inaugurando il museo archeologico nell’ex convento di San Girolamo, nel 1924, per il quale il Forte di San Pietro sarebbe stato il naturale completamento.

È una questione complessa: l’edificio, infatti, è in possesso dell’esercito. Così, solo nel 1934, temendo l’opinione pubblica nuovi ampliamenti della caserma per il prossimo trasferimento della Scuola degli Allievi Ufficiali, tutto passa per permuta al demanio e, quindi, al Comune.

Il recupero auspicato, tuttavia, non avviene. Castel San Pietro è trasformato in Casa dell’Assistenza Fascista, dove sono ospitati anche gli indigenti, vittime di esproprio per la demolizione del vicino quartiere di riva Sant’Alessio del 1935. Dal 1939 al 1949 diventa sede dell’Accademia Cignaroli: il colle, in un certo senso, recupera un contatto con la cultura e con l’arte, e pure con il turismo anche grazie alla funicolare, attiva però solo dal 1941 al 1944[6].

I progetti dopo la seconda guerra mondiale

Nel 1948, mentre Verona cerca lentamente di ricostruirsi dopo i dolorosi bombardamenti americani sulla città (l’ultimo, il 6 aprile 1945, a guerra ampiamente vinta), s’infiamma per il colle un conflitto politico tra la Democrazia Cristiana, che appoggia la richiesta dei Padri Stimmatini di ottenere l’area per costruirvi il Santuario alla Madonna di Lourdes, e PCI e liberali, che denunciano il rischio di veder sottratta alla cittadinanza, e al turismo, una grande risorsa paesaggistica[7].

Il Comune decide, saggiamente, di non decidere, e la polemica si consuma rapidamente: sarà il Forte austriaco di San Leonardo a dare spazio al santuario sul quale ciascuno, data la posizione dominante sulla città, può dare la propria valutazione artistica. Fino al 1978, dunque, Castel San Pietro rimase sede dell’orfanotrofio dell’Istituto Ettore Calderara, denominato “Istituto Fanciulli Abbandonati“, anche se non per questo l’idea dell’importanza storica del luogo venne dimenticata. Carlo Anti, ancora nel 1951, proponeva senza seguito di esplorare archeologicamente l’area rimasta del mastio visconteo. Gli scavi parzialmente eseguiti, con molta buona volontà ma ridotti mezzi, avvennero molto più tardi, nel 1970.

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[1] L. Pellini, Nascita di una città…, pagg. 180-181

[2] G. M. Varanini, Lucio III, la curia…, pag. 196

[3] Discordanti le opinioni sul momento effettivo di trasformazione in roccaforte dell’area: secondo M. Patuzzo, ad esempio, il castello di s. Pietro è opera viscontea (M. Patuzzo, Verona romana, medioevale…, pag. 240); secondo altri, tra cui L. Pellini, che cita anche a sostegno A. Solinas, non è irragionevole ritenere che già Cangrande della Scala avesse valutato l’importanza di una rocca sulla città e l’avesse valorizzata fortificandola (L. Pellini, Nascita di una città…, pag.123)

[4] Con l’unità d’Italia, il 16 ottobre 1866 la conquista del Veneto da parte dei Savoia a seguito della terza guerra d’indipendenza porta Verona a votare il plebiscito.

[5] G. Solinas, Storia di Verona, pag. 70

[6] La funicolare, iniziata negli anni ’20, venne smantellata nei primi anni ’60 e solo recentemente si è provveduto al suo ripristino.

[7] L. Pellini, Nascita di una città…, pagg. 118-119; l’autore cita anche un estratto dell’articolo di Emanuele Luciani, I Democristiani” e i “Rossi” assediano Castel s. Pietro, tratto da “L’Arena” del 2 dicembre 1998.

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