Dopo aver fatto un primo excursus storico del complesso edificato sul colle San Pietro, continuiamo a ripercorrere le scelte fatte negli anni più recenti per il recupero e la valorizzazione dell’edificio.

A seguito di qualche anno di oblio, il Comune decide di trovare una destinazione per l’area. Scartata, fortunatamente, l’idea di farne un casinò, nel 1983 tra l’opzione alberghiera e quella museale si scelse la seconda, nonostante la prima fosse sostenuta dalla commissione consiliare bilancio e, incredibile dictu, dall’assessorato all’urbanistica. Il primo studio di fattibilità, che prende in esame tutta l’area, compreso il Teatro romano, a firma A. Bruno, G. Perbellini e A. Rudi, è del 1988.

Il potenziale espositivo di Castel San Pietro

Ma un vero progetto di sistemazione complessiva della zona del castello, che riproponesse la natura non militare del luogo e che recuperasse il senso culturale e paesaggistico viene elaborato e pubblicato nel 2000. La prima domanda da porsi è: la struttura, che non può naturalmente essere stravolta o abbattuta, dispone dei requisiti? Le misure, con una lunghezza 84 metri, larghezza di 18, testate di 22, che permettono al Forte di Castel San Pietro di disporre di spazi per circa 2760 metri quadri (anche se nel 2014 Giuseppe Minciotti, Dirigente settore Museo di Storia Naturale, parlava di 4000) ci orienterebbero a una risposta affermativa, in quanto in linea con i maggiori musei italiani.

L’ingresso del Mart di Rovereto, progetto di riqualificazione dell’architetto Mario Botta. Foto di Michele Mazzoli, CC BY-NC 2.0.

Il Mart di Rovereto certo propone 4300 metri quadri di spazio espositivo, gestito in modo moderno e dinamico, ma di contro il Museo di Palazzo Reale di Milano si aggira su una superficie dimezzata rispetto al Mart, che viene però sfruttata, spesso, anche con mostre temporanee. Nessuno dei due, tuttavia, può proporre un contesto storico-paesaggistico minimamente comparabile.

Non sono, ovviamente, le sole strutture con cui il forte si può confrontare: Palazzo Ducale può contare su 12.600 metri quadri, la Galleria dell’Accademia 6059, il Museo Nazionale del Cinema di Torino 3200, similmente il Palazzo Vecchio di Firenze con i suoi 3284 metri quadri.

Molto più piccolo risulta il Museo di San Marco di Venezia con soli mille metri quadri[1]. La struttura modulare del Forte di Castel San Pietro, inoltre, parrebbe adattabile alle moderne concezioni degli spazi espositivi.

I limiti del progetto austriaco

Il progetto veronese, però, per essere competitivo, deve forzatamente essere molto ampio, ben oltre una superficiale rimodulazione degli spazi interni del forte austriaco. Oggi, il modello attuale di riferimento, il Muse di Trento, può contare su un personale numericamente adeguato e preparato, spazi moderni e accattivanti, percorsi didattici e multimediali, promozione sul territorio e offerta mirata alle scuole.

La relazione di fattibilità prevedeva, infatti, un ampio progetto qualificante dentro e fuori l’edificio, con un adeguamento interno e, soprattutto, con un’installazione architettonica esterna che, pur non intaccando l’edificio (difficile pensare che la soprintendenza possa accettare uno stravolgimento dell’aspetto attuale dell’edificio, invero pesante e torvo) rendesse la struttura turisticamente accattivante.

Uno scorcio della fortezza austriaca che sorge sul colle San Pietro. Foto Flickr CC BY-NC-ND 2.0.

E dire che i costruttori austriaci s’erano posti il problema. Disse, infatti, il colonnello Conrad Petrasch, progettista e ingegnere della fortezza:

“[…] tanto maggiore applicazione deve avere nella caserma di Castel San Pietro, in quanto per la sua eccellente posizione, elevata e visibile da qualsiasi luogo della città, si renda necessaria una facciata diversa dalle usuali, e con un aspetto più piacevole”[2].

Nel progetto del 1853, invero, per alleggerire la monotonia della facciata, si era pensato di movimentarne l’aspetto che tre anni dopo, invece, a lavori conclusi, si giocava solamente sul contrasto di due toni, il bianco e il rosa. Il pragmatismo militare austriaco aveva dunque prevalso e il frutto ne era – ed è – un edificio compatto, pratico, costruito sullo stesso piano del castello e dell’antico complesso religioso romano, ma avulso dal contesto, in contrasto con un panorama cittadino stratificato nel corso dei secoli. La fortezza, ora parzialmente coperta dai cipressi, architettonicamente è un corpo estraneo.

Un turismo oltre l’ansa dell’Adige

Lo studio di fattibilità dell’anno 2000 non si riduce, però, a un progetto puramente estetico: riprendendo le teorie di Umberto Grancelli sugli assi fondanti di Verona, l’idea è di far uscire il turismo cittadino dal centro storico ristretto (Piazza Brà e Piazza delle Erbe, sostanzialmente) e di ampliarlo su una linea che possa dar respiro e spazio alle attività commerciali più periferiche verso il Teatro Romano. Un’idea complessa dal punto di vista organizzativo, in quanto richiederebbe una visione dell’offerta per il turismo che abbia una prospettiva oltre Sheakespeare e gli spettacoli areniani.

Il Ponte Pietra congiunge il centro storico di Verona con la sponda che conduce al colle San Pietro e connette i percorsi turistici sulle orme della città romana. Foto di Marco Zanferrari, CC BY-SA 2.0.

E costringerebbe a un ripensamento delle strutture museali di Verona, con il potenziamento degli spazi dell’ex convento del Teatro Romano e lo sfruttamento dell’Arsenale. Permetterebbe, infine, l’esposizione di reperti ora sepolti nei magazzini.

Per Castel San Pietro, secondo questa logica, si immaginerebbe un ritorno alle origini, ovvero di sacralità e cultura, e si caldeggerebbe una proposta culturale focalizzata su Verona Romana.

Nel progetto, veniva prevista per l’area una mobilità che penalizzasse l’automobile a favore sia di percorsi pedonali per chi proviene dal centro (con il recupero della funicolare, da tempo in abbandono) sia per chi, invece, decidesse di giungere dalle pendici del monte.

Il sogno di una terrazza anche per i veronesi

In tal senso, ne avrebbero giovato i giardini e i percorsi nella zona dell’attuale Don Calabria, limitando l’abbandono di quelle zone che sporadicamente appaiono sui quotidiani come teatro di vandalismo. La struttura, con la creazione di una terrazza attrezzata con un ristorante e un bar, così come accade in tempi recenti per la Basilica Palladiana e per tutti i musei di una certa levatura, sarebbe stata adatta sia per il turismo culturale “mordi e fuggi” sia per i veronesi che, finalmente, avrebbero avuto uno spazio di aggregazione sociale in una zona privilegiata della città.

La vista da Castel San Pietro sulla città antica, foto di Michelle Wagner, CC BY-NC 2.0.

Un progetto non da poco che, se da un lato avrebbe elevato la zona a salotto cittadino, dall’altro avrebbe sicuramente incontrato l’ostilità dei selezionati residenti della zona che, per la quiete e l’esclusività, hanno scelto quella parte della città tradizionalmente residenza dei potenti.

Lo scoglio maggiore, ieri come oggi, era il costo: 32 miliardi di lire, ovvero 16,5 milioni di euro circa di oggi, che gli ideatori del progetto puntavano a racimolare traendoli da fondi strutturali dell’Unione Europea, dai fondi della Regione Veneto e dai fondi del gioco del Lotto.


[1] Dati estratti da Anna Marcato, Castel s. Pietro

[2] Anna Marcato, Castel s. Pietro…,pag. 179 da L. V. Bozzetto, Verona e Vienna. Gli arsenali dell’imperatore, Verona, Cierre edizioni, 1996, pag. 73-74.

©RIPRODUZIONE RISERVATA