Francesco Sandroni, socio e direttore della galleria Marco Rossi arte contemporanea, studi in giurisprudenza, ha raccolto una lunga esperienza presso la Galleria dello Scudo di Verona, e ora è alla direzione della galleria con sede al piano terra di Palazzo Gaioni in Via Garibaldi.

Del suo lavoro ama il contatto con gli artisti, visitarne gli studi («per me, è una grande emozione, è come scoprire ogni volta un mondo nuovo»). Ma anche parlare con chi entra in galleria, che spesso «di fronte alle opere esposte mi dice più di mille pagine di critica».

Marco Rossi arte contemporanea è presente, oltre che a Verona, a Milano, Torino e Pietrasanta. Ci sono delle analogie di pubblico tra queste città?

«In realtà si tratta di un’unica galleria presente in quattro sedi, che rivestono un ruolo significativo nel panorama italiano dell’arte contemporanea e in cui abbiamo voluto essere presenti. 

A Milano storicamente arte, design, innovazione, ricerca coinvolgono molteplici attori e turismo interessato, sia nazionale che internazionale. Inoltre la città ospita Miart, una delle principali fiere italiane sull’arte.

Torino insieme a Napoli ha la maggiore tradizione artistica contemporanea, con una vivacità culturale particolare, in cui convivono la storia dei Savoia con la modernità, in cui esistono istituzioni molto attive – per citarne una la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo – e in cui, dopo le Olimpiadi Invernali del 2006, si è registrato un incremento del turismo. Pietrasanta, invece, è un fenomeno a sé, è un simbolo per l’arte contemporanea in Italia, come lo era una volta Cortina d’Ampezzo, con una stagionalità concentrata in particolare nel periodo estivo e un pubblico numeroso e curioso».

Sono città molto diverse da Verona…

«Oggi le modalità di fruizione dell’arte sono veloci e serve continuità di presenza sul territorio con offerte culturali di significato per riuscire a mantenere alta l’attenzione, come succede a Milano e a Torino.

Verona, in questo non regge il confronto con le nostre altre sedi perché, pur essendo una città ricca, segue una parabola discendente nei confronti dell’arte contemporanea per una serie di fattori contingenti dovuti anche alla latitanza delle istituzioni pubbliche, che in questi anni non sono riuscite a mantenere attiva l’attenzione sull’arte contemporanea».

Però c’è anche Artverona…

«È l’unico momento in città capace di portare un considerevole movimento di artisti, operatori e collezionisti, e che vede il moltiplicarsi in città di iniziative e eventi collaterali, ai quali però nel tempo non viene dato seguito. Un esempio per tutti: l’evento collaterale organizzato in occasione di ArtVerona 2018 nel Palazzo della Dogana di terra nel quartiere Filippini, che avrebbe potuto essere l’occasione per dare inizio ad una serie di iniziative sul contemporaneo, nei fatti non ha poi avuto seguito alcuno.

A fronte di questo, però, va riconosciuto che a Verona sono presenti soggetti privati che offrono alla cittadinanza proposte di arte contemporanea di altissima qualità. Per prima, mi piace ricordare Hélène De Franchis con la sua galleria Studio la Città cui dobbiamo riconoscenza per aver portato il contemporaneo a Verona e averlo sostenuto con determinazione e professionalità negli anni, anche con interventi di arte pubblica riuscendo con costanza a coinvolgere le istituzioni in progetti di rilevanza internazionale».

Francesco Sandroni davanti a un’opera di Franco Guerzoni, parte di Ritrovamenti 2000-2017, in mostra fino al 28 maggio foto di Cristina Cuttica.

Ci sono altri spazi secondo lei importanti per la promozione del contemporaneo?

«Sì e alcuni sono anche recenti, come Spazio Cordis di Alberto Geremia, Collezione Mauro De Iorio, la collezione di Giorgio e Anna Fasol, la Casa Museo Palazzo Maffei, Urbs Picta, Habitat 83 di Zeno Massignan, che propongono alla città differenti punti di vista sull’arte contemporanea».

Cosa ricercano i collezionisti nelle gallerie e in che modo si relazionano ad esse? 

«Penso sia indispensabile stabilire un rapporto onesto e di fiducia reciproca tra galleria e collezionista. Certamente la galleria è garante della fattibilità dell’acquisto dal punto di vista economico, seleziona le opere e gli artisti per i suoi collezionisti ma, per quanto mi riguarda, con l’obiettivo che il cliente sia soddisfatto di avere acquistato un’opera giusta per lui, che risponda ai suoi bisogni.

Così facendo, succede che l’opera non appartenga più all’artista ma alla sensibilità, alla cultura e al vissuto di chi la osserva, che la fa pertanto sua. 

È, come dicevo, creare una relazione di fiducia reciproca con onestà intellettuale».

Bisogna anche conoscere bene chi colleziona…

«Il mercato dell’arte non contempla la valutazione del piacere della relazione con l’opera. Io cerco di occuparmi di collezionisti che hanno sensibilità per acquistare un‘opera da godere personalmente e quotidianamente. Le gallerie, secondo me, devono essere un argine in difesa della bellezza, valore che tendiamo a dare per scontato ma che dobbiamo invece preservare».

Paolo Ventura, La città nuova, foto Galleria Marco Rossi arte contemporanea, Verona.

Quali generi di arte contemporanea proponete nella vostra galleria? 

«La nostra è una proposta culturale unica per le 4 sedi: per esempio, la mostra di Francesco Guerzoni attualmente presente a Verona (Ritrovamenti 2000-2017 dall’8 febbraio al 28 maggio 2022) è contemporaneamente presente anche a Milano e a Torino.

Nelle nostre sedi presentiamo una proposta contemporanea che possiamo definire classica. Ci siamo avvicinati recentemente alla fotografia con Paolo Ventura e con Rune Guneriussen, fotografo norvegese che abbiamo presentato lo scorso anno.

Gli artisti della nostra galleria per prima cosa ci devono piacere, devono saperci coinvolgere con la loro arte e la loro ricerca, a prescindere dalla nazionalità, dal genere o dal paese di origine».

Per una galleria quanto è importante oggi lo scounting di nuovi artisti?

«Ci sono gallerie specializzate sui giovani, che hanno loro canali specifici in cui operare. In pandemia hanno chiuso molte realtà e, aspetto più grave, non se ne sono aperte di nuove. Oggi seguire i giovani richiede più energia, ci sono città e contesti in Italia dove risulta più facile. A Verona non è semplice».

Se dovessimo definire un artista ideale per una galleria di arte contemporanea, quali caratteristiche dovrebbe avere?

«La qualità del lavoro è il primo aspetto, come anche il curriculum, ma non sono le uniche caratteristiche. L’artista ideale è per noi una persona con cui fare assieme un percorso, costruire un rapporto professionale e umano, fatto di stima reciproca e condivisione».

L’inaugurazione della mostra di Rune Guneriussen. L’artista posa al centro della foto. Foto Galleria Marco Rossi arte contemporanea.

E un collezionista ideale?

«Per me deve essere una persona curiosa e entusiasta, libera dai condizionamenti delle mode e del marketing. È chi acquista un’opera seguendo un suo progetto, attento alla qualità di ciò che colleziona, secondo una sua ricerca intima personale o perché conosce l’artista e la sua ricerca. Mi sembra, comunque, che oggi a volte l’attenzione dei collezionisti sia guidata dal marketing o dal mercato, perseguita per finalità speculative e che non ci si prenda il tempo necessario per vagliare con ponderazione le scelte».

Il vostro network ha sezioni dedicate agli architetti, all’interior design e alle aziende. Che tendenze state notando nella fruizione dell’arte contemporanea in questi contesti e con quali prospettive?

«Il nostro interesse è creare collaborazioni per diffondere l’arte contemporanea nei molteplici aspetti della quotidianità. Non esiste più la committenza pubblica, per come storicamente l’abbiamo conosciuta, e neppure il collezionismo capace di sostenere nel tempo gli artisti. Oggi esistono nuovi committenti che, per noi, sono le aziende che acquistano opere d’arte per le loro sedi e per comunicare tramite queste i valori aziendali. 

Esistono gli architetti e gli interior designer che si occupano del bello delle nostre case con una specifica sensibilità per l’arte e che rappresentano un segmento di diffusione dell’arte contemporanea da continuare a sostenere. 

Gli artisti che oggi lavorano su un progetto commissionato sono da apprezzare, secondo me, perché l’artista percepisce in anticipo il mutamento della società e quando si presta a descriverlo, anche per il privato, diventa un arricchimento per tutti».

Cosa rappresentano le fiere per le gallerie di arte contemporanea e quali evoluzioni future potranno avere?

«Le fiere rappresentano un’opportunità di grande visibilità per le opere, concentrata in un breve periodo. È sicuramente un momento di confronto sul mercato dell’arte e sulle tendenze in corso.

In Italia ci sono tante fiere sull’arte, forse un po’ troppe, Artverona è di buon profilo, inserita in maniera decisa nel panorama italiano per l’alta qualità dell’organizzazione.

La fruizione dal vivo delle opere si affianca in questi tempi sempre di più con il mondo digitale. Foto di Galleria Marco Rossi arte contemporanea.

Sono momenti sicuramente importanti, anche se per me nelle fiere c’è meno tempo per costruire relazioni con i visitatori».

La pandemia ha visto nascere molte iniziative online…

«La tendenza delle fiere di indirizzarsi verso il digitale è aumentata nell’ultimo periodo, così come anche la tendenza all’acquisto su canali digitali. Anche noi abbiamo attivato sul nostro sito una sezione dedicata, chiamata Private Gallery, in cui gli iscritti trovano servizi specifici, come biglietti ingresso per le fiere, cataloghi omaggio, visite agli studi dei nostri artisti, e un’area commerciale riservata. Nel digitale le evoluzioni sono continue e rapide, alcune anche complicate da decodificare.

Sicuramente il digitale in tutte le sue forme prenderà sempre più spazio anche in considerazione dei giovani collezionisti, nativi digitali».

Tornando a Verona, la città come reagisce alla vostra offerta culturale e all’arte contemporanea in generale?

«Siamo a Verona dal 2000 e siamo felici di esserci, Verona è un terreno fertile, se si lavora con impegno. Per noi è importante accogliere chiunque entri nella nostra galleria con attenzione e disponibilità.

Con il nostro lavoro cerchiamo di accorciare le distanze tra opera e osservatore, per avvicinare chiunque sia interessato all’arte contemporanea, per comprenderne i codici e il linguaggio non sempre immediato. Le persone tornano da noi, e questo conferma quanto stiamo facendo».

Secondo lei, c’è spazio per ampliare la presenza dell’arte contemporanea in città? 

«Verona potenzialmente dispone di unicità, posizione geografica e ricchezza economica tali da poter fare un salto di qualità, ma se non arrivano nuove forme di pensiero e nuove energie, la risposta drammaticamente è no. Secondo me serve un ricambio. Verona ha bisogno della partecipazione e della presenza dei giovani a tutti i livelli e la politica deve farsi carico di questo aspetto.

Il futuro culturale della città va costruito con la politica, l’Università e una nuova classe dirigente, perché in città diminuiscano i banchetti e ci sia più spazio per la cultura, per le arti visive ma anche per teatro e la musica, con sempre più spazio per la sperimentazione. Oggi non ci sono le premesse perché questo possa accadere».

Leggi anche >> Mauro De Iorio, il gioco serio del collezionare

© RIPRODUZIONE RISERVATA