Una collezione di seicento opere d’arte contemporanea, tre centri culturali dedicati all’arte contemporanea aperti al pubblico. Mauro De Iorio, imprenditore e collezionista dal riconoscimento internazionale, ha da qualche mese inaugurato un nuovo centro culturale a Verona in Zai, in un’ex segheria risalente agli anni Trenta attigua al sesto centro diagnostico del gruppo Tecnomed, di cui è fondatore e presidente.

Vi sono esposte una settantina di opere di artisti internazionali, tra cui troviamo le installazioni di Petrit Halilaj, Sam Falls, Nairy Baghramian, Neil Beloufa e Lena Henke, le opere pittoriche di Miriam Cahn, Florian Krewer, Jutta Koether, Louis Fratino, Helen Marten, Jill Mulleady, le videoinstallazioni di Mark Leckey, Nathalie Djurberg & Hans Berg, Bunny Rogers, Cecile B Evans e Lili Reynaud-Dewar. E le opere degli artisti italiani Enzo Cucchi, Alessandro Pessoli, Giorgio Andreotta Calò, Francesco Gennari, Francesco Vezzoli, Andrea Salvino, Patrizio Di Massimo. 


Dottor De Iorio, lei è medico radiologo, imprenditore e collezionista nel contemporaneo: c’è un legame tra la sua professione e l’interesse per l’arte?

«Nella mia vita ho seguito il mio sentire. Da ragazzo mi sono interessato di politica e sociologia. Poi ho sentito il bisogno di intervenire nella società con azioni più pratiche per aiutare le persone, ho quindi scelto gli studi di medicina. Mi attraeva la diagnostica e mi incuriosiva l’immagine radiologica: guardare, scoprire il corpo, studiarlo attraverso le immagini. Mi sono poi interessato alla psicoanalisi e sono stato affascinato da Jung, da Hillman e dalla loro interpretazione e decodificazione della realtà attraverso i sogni e le immagini, anche quelle artistiche». 

Petrit Halilaj, Ru, 2017, Collezione De Iorio, foto di Marco Toté.

«Tutto questo ha appagato la mia passione per le immagini e anche oggi mi serve per comprendere il presente. Le immagini sono immediate nel raccontare la realtà, non servono tante parole. Come imprenditore sanitario poi ho voluto realizzare qualcosa di più complesso partendo da un mio sogno, quello cioè di unire le mie due grandi passioni, la medicina e l’arte».


Come si muove nelle sue scelte di acquisizione, cosa la influenza di più?
 

«Il mio è un collezionismo di passione, di impeto, un vagabondare nel mondo dell’arte con il gusto della ricerca personale, libera da mode o tendenze. Le opere che acquisisco rispondono al mio bisogno di collezionare immagini che mi emozionino. Ho sempre sentito il bisogno di circondarmi di opere d’arte nelle case in cui abitavo. Ho portato dapprima le opere nei centri diagnostici di cui sono proprietario, esponendole negli ambulatori e nelle aree comuni e poi allestendole in spazi espositivi dedicati. Collezionare serve anche per conoscere se stessi. Nella mia collezione ricorrono temi come la morte, la malattia, la sofferenza, l’abbandono, problematiche che sono sempre esistite e che peraltro fanno parte della storia dell’arte e che si ritrovano anche nella pittura religiosa e classica. Per me l’arte è consolazione: la mia collezione è il mio spazio intimo, come una caverna magica in cui sono presenti immagini, un rifugio psicologico dove trovo una sensazione di grande benessere».

Uno scatto dall’inaugurazione a Verona della terza sede espositiva della Collezione De Iorio

Che ruolo riveste il collezionista nel mercato dell’arte contemporanea e nelle quotazioni degli artisti?

«Il collezionista è uno degli attori del mercato dell’arte e il suo agire inevitabilmente può influenzare altri collezionisti. Il mercato dell’arte è orientato dalle grosse gallerie internazionali e da alcune fiere importanti che possono spostare l’attenzione verso un artista o verso la produzione artistica di un determinato Paese. Il collezionista, a fronte di questo, deve cercare di avere una sua onestà intellettuale, essere sincero, in particolare con sé stesso, senza lasciarsi condizionare dai trend del mercato».

Chi sono i collezionisti oggi e come possono intervenire nel percorso artistico degli artisti che collezionano?

Oggi il collezionismo è spesso visto come una forma di investimento, e questo a mio avviso è il suo aspetto deteriore, che incide in particolare sui giovani artisti, i quali si trovano più in difficoltà ad emergere e a vivere della loro arte. Un collezionismo speculativo corrompe il mercato; alcuni collezionisti a volte trascendono il loro ruolo agendo anche come venditori, advisor o consulenti finanziari». 

E nel contemporaneo?

«Collezionare arte contemporanea è più emozionante: il collezionista deve sforzarsi di interpretare il presente attraverso le opere degli artisti che sono più sensibili ai cambiamenti e alle crisi che stiamo attraversando. È interessante vedere le cose nuove che emergono, esserne stupiti, restare turbati anche, lasciarsi attrarre. L’arte contemporanea è lo specchio del tempo, può avere intuizioni affascinanti. Nel collezionare, viene voglia di entrare in questa dinamica e di aiutare artisti meno noti, con i quali si è in sintonia, ad emergere. Al momento sto ospitando un artista in residenza a Verona, per sostenere la sua ricerca e la sua produzione artistica. Una sfida nel percorso del collezionista potrebbe essere questa: farsi coinvolgere maggiormente attraverso lo stretto rapporto con gli artisti, esprimendo così la propria sensibilità, a volte repressa». 

Qual è l’aspetto ludico del suo collezionare?

«Lo stare a contatto con me stesso, in continua ricerca».

Enzo Cucchi, Tramonto, 2003-2004.

In che termini il collezionismo dà un apporto culturale alla collettività? C’è differenza tra l’Italia e l’estero?

«Penso che in generale il collezionismo privato sia una buona pratica per l’Italia. Includo sia quello pensato per una fruizione personale, sia quello che ha una maggiore propensione per una condivisione con il pubblico, attraverso mostre, centri culturali ed eventi. Quest’ultima ha il senso di una restituzione alla collettività che arricchisce l’esperienza culturale del Paese. 

I musei americani ed europei hanno un rapporto stretto con i collezionisti che sono peraltro presenti anche nei loro board, e questo consente alle istituzioni di avere a disposizione fondi significativi per le acquisizioni. In Italia la situazione è decisamente diversa per la burocrazia e i tanti problemi che rendono più difficile questo tipo di collaborazione».

Le fiere, da sempre, rappresentano il punto di incontro dei collezionisti e delle gallerie. La pandemia le ha però indirizzate verso eventi digitali dai risvolti principalmente commerciali. Che opinione ha del comparto oggi?

«Le fiere sono certamente importanti per il mercato dell’arte. Sono un’istituzione commerciale orientata al profitto che spesso crea una rete culturale di eventi e mostre sul territorio per essere più attrattiva per il pubblico e per le gallerie». 

Miriam Cahn, o.t. 17.8.13, 2013

«Per il collezionista, le fiere sono importanti in particolare nelle prime fasi del suo percorso per accreditarsi presso le gallerie, vedere le tendenze, farsi un’idea di che cosa collezionare, e quali artisti seguire. Penso sia importante visitare le fiere internazionali, come quella di Basilea, per esempio, per vedere che cosa succede fuori dall’Italia e immaginare come far crescere la propria collezione». 

«Per quanto riguarda gli eventi digitali, una volta che conosco l’artista, che so come lavora, per me non importa se la fiera è digitale o fisica, so cosa sto ricercando e mi basta anche solo un’immagine digitale per decidere l’acquisto. Ho acquisito alcune opere vedendole su Instagram o durante le preview online».

Siamo in una fase storica difficile, con un Pnnr che indirizza gli investimenti verso asset strategici che non includono la cultura. In questo scenario, che ruolo possono avere le imprese per incidere nel sistema dell’arte, specie in quella contemporanea?

«Se gli imprenditori investono in arte va sempre bene, soprattutto se seguono le orme di altri collezionisti che hanno sentito il bisogno della restituzione alla società con le loro collezioni. Penso ad esempio alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia e alla Collezione Pinault di Punta della Dogana a Venezia, per restare in Italia. Una collezione d’arte può conferire un’immagine migliore ad un’impresa orientata al profitto, che raramente prevede un ritorno alla società».

Come ha accolto Verona il suo spazio espositivo e come si inserisce nella proposta veronese sul contemporaneo?

«Il rapporto con le istituzioni cittadine è stato buono da subito, dal momento in cui ho deciso di costruire il mio nuovo spazio espositivo in un quartiere in fase di riqualificazione. Il mio progetto in questa parte della città ha suscitato l’interesse degli amministratori locali, in particolare del sindaco e degli assessori alla cultura e all’urbanistica, con i quali ho avuto molteplici contatti. Abbiamo aperto lo spazio espositivo lo scorso ottobre in coincidenza con la fiera ArtVerona, e saremo pronti con l’allestimento completo in primavera». 

«A Verona ci sono altre collezioni private con impostazioni differenti e complementari alla mia, ciascuna con la propria specificità. Penso alla collezione della Famiglia Carlon che nella Casa Museo Maffei presenta una collezione di oggetti vari, mobili, design e opere d’arte di epoche differenti collezionati seguendo scelte personali. O anche alla collezione di Giorgio e Anna Fasol, focalizzata sull’arte contemporanea concettuale.

La nuova sede di Tecnomed, foto di Marco Toté.

Inoltre, nell’ex-ghiacciaia in Zai sarà prossimamente inaugurato Eataly che accoglierà al suo interno spazi dedicati all’arte contemporanea. Auspico che ci sia la possibilità di creare una sinergia tra noi collezionisti del territorio, che potrebbe coinvolgere anche le gallerie e le istituzioni d’arte della città di Verona».  


Se proviamo a fare un salto nel futuro, cosa potrebbe essere la sua collezione tra dieci anni?

«Al momento posso immaginare che verterà sulle stesse tematiche di oggi. Sarà comunque sempre improntata alla contemporaneità e alla comprensione della realtà che ci circonda, senza pregiudizi o condizionamenti, cercando di essere coerente con i principi della mia vita. Sono una persona curiosa di natura, vedremo dove la mia ricerca mi porterà».

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