L’ultima notte di amore: un titolo affascinante, oscuro, che come un noir che si rispetti presuppone una doppia faccia. La parola amore, infatti, oltre a rimandare al significato che tutti conosciamo – sebbene verrebbe da chiedersi se abbia un senso universale – si riferisce al cognome del protagonista, interpretato dal camaleontico Pier Francesco Favino.

Franco Amore è un poliziotto che dopo 35 anni di onorato servizio “senza aver mai sparato un colpo” è prossimo alla pensione, ma un ultimo incarico procurato dal cugino della moglie Viviana cambierà per sempre la sua vita.

La premessa, dunque, è molto semplice: un uomo tranquillo che per arrotondare lo stipendio fa qualche lavoretto in nero, viene coinvolto in una faccenda più grande di lui. Ciò che è interessante nel film diretto da Andrea Di Stefano e che lo rende un unicum nel cinema italiano, perlomeno degli ultimi anni, è il rapporto tra lo spazio e i personaggi.

Milano protagonista

L’ultima notte di amore inizia con una ripresa aerea da elicottero di Milano, che parte dalla zona del City Life per chiudersi nell’appartamento modesto del protagonista. La musica incalzante di Santi Pulvirenti accompagna i titoli di testa con la sensazione di rivivere le atmosfere della Trilogia del Milieu di Fernando Di Leo.

Ma la Milano degli anni ‘70 è diametralmente opposta a quella dei giorni nostri e a dettare le regole della criminalità ci sono anche gli italiani di seconda generazione, in questo caso i figli dei migranti cinesi che parlano l’italiano più fluentemente degli stessi milanesi. L’architettura urbana in perenne evoluzione diventa lo specchio dei suoi cittadini, mostrando un contrasto sociale e di benessere che inevitabilmente crea dei paragoni, dove un poliziotto è costretto a fare due lavori per mantenere il proprio figlio perché il costo della vita è in continua ascesa.

Una città che ricorda – con tutte le dovute proporzioni – la Los Angeles di Collateral ripresa da Michael Mann e che come il film con protagonisti Tom Cruise e Jamie Foxx mostra la sua seconda faccia di notte, nell’oscurità che risucchia sentimenti, persone, amicizie.

Spettacolo urbano al servizio di chi guarda

Perché ne L’ultima notte di amore c’è poco spazio per le digressioni felici, essendo un film orchestrato per mantenere costante la tensione del pubblico come nella lunga sequenza in autostrada, che finisce con una sparatoria allo svincolo di Carugate girata con la maestria di chi non vuole lesinare su nessun aspetto filmico.

Così come la costruzione narrativa – sebbene si poggi sui canoni del genere – porta alla luce un personaggio femminile sfaccettato, non più vittima degli eventi ma al contrario vero e proprio deus ex machina. Viviana (Linda Caridi eccezionale), diventa parte fondamentale del racconto, mostrando una facciata machiavellica che abbraccia con lucidità la propria natura, ergendosi come unica figura in grado di gestire la situazione, guidando lo stesso marito.

L’intento quindi di Andrea Di Stefano non è quello di creare un noir intricato, pieno di colpi di scena, bensì di realizzare un prodotto che abbracci la contemporaneità italiana – senza perciò cercare il respiro internazionale a tutti i costi – e che trascini lo spettatore nel vortice di Milano, che in una sola notte mette un punto d’inizio al nostro cinema di genere.

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