Girovagando per Venezia è facile incontrare numerosi negozi di souvenir in vetro, in ogni calle e dietro ogni angolo. Molti di essi hanno una storia breve e una clientela distratta, di passaggio. Altri sono fermi allo stesso civico da decenni e sopravvivono grazie alla bravura e meticolosità di chi li ha creati e visti fiorire.

Le migliori botteghe artigiane sono nascoste agli occhi di chi non vuole prestare attenzione, sono relegate in spazi di città, talvolta angusti, che conservano un fascino e un mistero tipici di un’altra epoca.

La bellezza di Venezia è anche questa: cela ai più le sue migliori perle e si lascia scoprire solo da chi, davvero, lo desidera.

La grande storia di una piccola perla

Una delle più antiche realtà artigianali di questo territorio lavora proprio con le perle: piccole briciole di vetro colorato, da tempo maneggiate da sapienti mani di donna che, calme e disinvolte, infilano con lunghi aghi e maestosa pazienza centinaia di frammenti vitrei in una combinazione e composizione tale che, nel dicembre scorso, è stata iscritta alla Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.

La candidatura era stata proposta dalla comunità veneziana, rappresentata dal Comitato per la Salvaguardia delle Perle di Venezia, e dall’Association des Perliers d’art de France. Una collaborazione internazionale, quindi, avente come fine ultimo una missione culturale di educazione, salvaguardia e valorizzazione di un’arte che non narra esclusivamente dell’oggetto in sé, ma dei gesti, dei luoghi, delle memorie, delle mani che portano da secoli alla realizzazione delle perle di vetro.

Le perle di vetro veneziane affondano le loro radici in secoli e culture ormai lontane da noi: i primi manufatti sono datati intorno al XV secolo e la loro massima espansione risale all’epoca della Serenissima.

Questo oggetto colorato di piccole dimensioni tondeggianti spesso era usato nel ricamo di collane o nelle decorazioni floreali e tessili, ma fu addirittura impiegato come moneta di scambio, in particolar modo nel XVII secolo.

Durante la Repubblica di Venezia, infatti, infilata in lunghe matasse di lino, era usata come valuta negli scambi commerciali della fiorente città lagunare, la quale aveva rapporti con i poli più importanti del mondo conosciuto all’epoca, come l’Oriente ed alcune parti dell’Africa. Proprio in queste zone così lontane da Venezia e i suoi canali, sono state rinvenute alcune perle di vetro, lavorate e ricamate su tessuti tipici di quei luoghi (una recente missione archeologica in Alaska ne ha rinvenute alcune negli insediamenti Inuit. Una scoperta che proverebbe l’esistenza di possibili rotte commerciali attraverso lo stretto di Bering in epoca precolombiana, ndr).

Nell’Ottocento le prime industrie

A partire dal XIX secolo, tali creazioni in pasta vitrea presero forma nelle conterie, delle vetrerie industriali che realizzavano le perle e le distribuivano tra le più di duemila artigiane, sparse sul territorio di Venezia. Ad oggi, l’Arte delle Perle non è più un mestiere squisitamente femminile, anche se la presenza di artigiani uomini è meno marcata, e si stima che siano presenti almeno trecento artigiani, operanti nei diversi settori dell’arte vitrea veneziana.

In una foto d’epoca, le impiraresse al lavoro

Questo lavoro antico e prezioso era la realtà quotidiana delle donne dei sestieri di Castello e di Cannaregio e dell’isola di Murano. Le Impiraresse a partire dall’Ottocento fino alla prima metà del secolo scorso animavano le corti e gli usci delle proprie abitazioni, infilando le perle di vetro al ritmo del loro vociferare e della litania di qualche canzone, ormai perduta.

Chiudendo per un attimo gli occhi, è possibile immaginarle ancora chine, con in grembo grandi scatole di legno, dette sessole, ricolme di perle da infilare ed in bocca parole in dialetto che avrebbero potuto recitare, citando un verso della canzone del 1978 di Luisa Ronchino, più o meno, così: “Semo tutte impiraresse / semo qua de vita piene / tuto fogo ne le vene / tuto sangue venessian.

Spesso sedute all’ombra dei panni stesi ad asciugare sui fili tra le case, queste donne crearono una forma di artigianato tutta al femminile, che resistette nei secoli e che, ai giorni nostri, si palesa in nuove forme di conservazione e diffusione di una delle tradizioni più sentite a Venezia.

Impiraresse anche nel XXI secolo

Le Impiraresse di oggi sono donne di bottega, che ancora cuciono e infilano perline, con l’abilità di chi ha ereditato quest’arte attraverso gli echi di quelle canzoni e di quelle chiacchiere al sole, che soltanto un orecchio attento riuscirebbe ancora a sentire, nelle giornate di vento.

Marisa Convento, vice presidente del Comitato per la salvaguardia delle pietre di Venezia, è una di queste moderne impiraresse, custode dell’arte delle perle di vetro. Nel suo laboratorio in Fondamenta Venier Sebastiano, non lontano dalle Gallerie dell’Accademia, Marisa lavora sapientemente le perle di Venezia, realizzando collane, borsette, ricami tradizionali, rami di corallo e piccoli capolavori artistici. Le sue mani scorrono veloci i grani di vetro e li infilano con maestria, consapevoli della storia e dell’importanza culturale di quei gesti: antica liturgia artistica, che si ripete attraverso il tempo.

«Oggi questo artigianato è ancora vivo ed attivo grazie alla trasmissione costante dei saperi tra antiche e nuove generazioni – afferma Marisa -. Se è vero che un’arte non più praticata non può essere tramandata ed è destinata all’oblio, è altrettanto vero che più tale arte è tutelata e produttiva, più sarà forte la sua rilevanza culturale ed economica all’interno della comunità».

«Grazie all’attenzione di molti questa forma di artigianato è viva e va oltre i confini territoriali e nazionali. Il pubblico è maggiormente femminile, data la natura degli oggetti creati come gioielli, accessori di moda e applicazioni tessili – continua Convento -. Grazie anche a una campagna di sensibilizzazione, promossa da Confartigianato nel dicembre 2020, le perle vitree stanno riscuotendo un maggior interesse nella clientela nazionale e locale. Anche se rimane comunque un commercio meno diffuso rispetto a quello delle perle antiche».

L’emergenza sanitaria ha inciso sul mercato estero «in particolare quello statunitense, di rilievo nel panorama economico di questo artigianato e da sempre attratto dalla sensibilità artistica italiana», conclude Convento.

Questa cultura artigianale e artistica continua quindi a vivere, celebrando Venezia e la storia delle sue antiche voci che, anche se a tratti soffocate dal consumismo e dall’indifferenza, popolano ancora le calli della laguna.

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