Da ormai due settimane infuria la guerra in Ucraina e il presidente Putin non sembra vacillare nella sua determinazione di portare a conclusione il suo proposito di riannessione del Paese alla grande madre Russia. Fino all’ultimo si sperava che prevalesse il buonsenso, la ragione; ma è apparso evidente come le logiche per l’invasione sfuggano o si facciano beffe della logica, quella al singolare.

Putin sta portando avanti una guerra economica, giocando con i rubinetti di gasdotti e oleodotti, ma senza rendersi conto che ne sta anche sostenendo gli enormi costi, a pesare su un bilancio statale non certo brillante per oculatezza e distribuzione della spesa. È anche una guerra politica, ma cosa ne avrebbe a guadagnare è ancora nebuloso, a meno che Vladimir voglia autoproclamarsi imperatore.

Non che cambierebbe poi qualcosa di concreto: Putin ora può fare tutto quel che vuole, da zar potrebbe fare tutto quel che vuole con una corona in testa.

Le sanzioni come arma di moral suasion

L’Occidente si infiamma, indignato per l’affronto ricevuto e prepara le sue mosse: una serie di sanzioni che colpiscono l’oligarchia russa in ogni continente, isolano le banche da Swift (il circuito dei pagamenti internazionali) e congelano le riserve della Banca Centrale russa ovunque esse siano depositate. Funziona poco, per ora. Soprattutto sono rimaste deluse le speranze di un possibile aiutino da parte degli oligarchi russi per far entrare un po’ di sale in zucca all’imperatore.

Vladimir Putin

L’errore sta nel pensare che l’élite russa sia simile a quella europea, che i multimiliardari russi si comportino come quelli americani. Si sperava che fossero attaccati ai loro soldini, alle ville e agli yacht come un Briatore qualunque, che avrebbero tentato una persuasione morbida con il presidente.

E invece no. Salvo un paio di eccezioni, nessuno degli oltre duecento nominativi colpiti dalle sanzioni ha detto niente.

I politici occidentali hanno ragionato da quel che sono, con il loro vissuto e un ambiente istituzionale ben diverso. Hanno pensato a come reagirebbero loro, senza provare a calarsi nel contesto reale in cui opera l’oligarchia russa. Per prima cosa, non si tratta di un corpo unico e omogeneo; ne esistono sicuramente almeno due grandi tipologie.

Gli oligarchi economici

I primi hanno un carattere in un certo senso transitorio. Occupano posizioni importanti, ai vertici delle principali aziende produttive del Paese ma non hanno alcuna influenza reale. O meglio, hanno influenza personale, non politica.

Che però è legata a doppio filo a Putin, non si tratta di nulla che possa sopravvivere con un (eventuale) successore, che sicuramente sceglierebbe i suoi emissari tra altre cerchie di amici e parenti.

Gli aziendalisti non piangono per le sanzioni perché sanno bene qual è il loro asset più importante, cioè Putin stesso. Il supporto al presidente è il prezzo concordato e accettato per poter scorrazzare in tutta Europa a spendere soldi in isole e squadre di calcio. La garanzia della loro ricchezza risiede nel sostegno a Putin e al suo restare sul trono. Quindi, zitti e buoni.

I consiglieri politici

L’altro gruppo è composto dagli uomini forti di San Pietroburgo, gli agganci politici del Presidente piazzati nelle posizioni di maggior potere, dentro e fuori dal Governo. Sono tutti ex qualcosa: amministratori pubblici, imprenditori, delinquenti, servizi segreti, perfino sportivi. E sono leali al capo perché impersona un’ideologia.

Impossibile spostarne le convinzioni di un millimetro, fossero anche costretti a rinunciare alla tenuta di caccia in Provenza.

Per assurdo, a questa bella gente le sanzioni provocano un sorrisino beota: in fondo, isolamento e autarchia – creati dal nemico occidentale – rendono più semplice la repressione e li rendono più forti. Le sanzioni li avvicinano all’ideale di uno stato di polizia e buonanotte alle fastidiose democrazie.

L’isolamento del sistema finanziario

La disconnessione di un buon numero di istituti finanziari russi dal circuito di pagamenti internazionale Swift ha di fatto isolato il Paese dal resto del mondo. Non esistono alternative equiparabili, neanche quel circuito cinese Cips di cui si è parlato sui giornali. Che però processa solo una valuta nata disgraziata, il renbimbi cinese appunto, e per tutte le altre si appoggia indovinate a chi? A Swift.

Quindi è vero. La Russia è davvero isolata finanziariamente, se non per un paio di banchette che si occupano delle vendite di gas e petrolio. Eh già, mica possiamo bloccare le banche a cui effettuare i pagamenti delle materie prime necessarie alla nostra sopravvivenza.

Per dare un taglio dimensionale, le due (Sberbank e Gazprombank) superano per totale attivo il doppio del valore aggregato degli asset delle banche effettivamente sanzionate. Sono dettagli che al Presidente non saranno certo sfuggiti.

Non ci sono più i beni rifugio di una volta

Altro tema riguarda il congelamento delle riserve internazionali, un vanto per la Russia che in tempi non sospetti ne ha accumulate più di ogni altro Paese al mondo. Lo scopo di tale manovra è sia economico che monetario.

Il primo è facilmente intuibile: se un russo vuole acquistare una borsa di Gucci o l’ultimo modello di iPhone, non può certo utilizzare i bellissimi rubli e dovrà ricorrere a valute estere accettabili dal venditore. Che sono poi sempre quelle: euro per gli europei e dollari per il resto del mondo.

Ma le riserve sono utili alla banca centrale anche per tenere sotto controllo il cambio del rublo, vendendo o acquistando sui mercati internazionali per stabilizzarne il corso e ridurre di conseguenza l’impatto sull’inflazione. Sono importanti insomma. E ora devono farne a meno.

Il salvadanaio russo

Il valore delle riserve della Central Bank of Russia in giro per il mondo è stimato tra 650 e 700 miliardi di dollari. Sulla base dei dati forniti dalla stessa CBR, incrociati con quelli di Refinitiv Datastream, si può conoscerne anche la composizione: 32% in euro, 16% in dollari, 13% in yuan (altra moneta cinese, non volete sapere altro), 7% in sterline, 10% in valute varie e 22% in oro.

In questo momento, alla luce delle sanzioni vigenti, la CBR può disporre probabilmente soltanto di quel 13% depositato in Cina, Paese che non si è allineato con Putin ma che si è anche astenuto nella votazione di condanna dell’invasione all’assemblea generale dell’ONU. Forse può arrivare anche a una piccola parte di quel 10% misto, ma è evidente che il gruzzoletto di cui il Presidente andava tanto fiero si assottiglia molto.

Anche perché le riserve auree, bene rifugio per eccellenza e di cui la Russia ha qualche lingotto da parte, ha un mercato che “gira” tutto e soltanto in dollari.

KO tecnico?

L’aggressione delle riserve valutarie, senza precedenti storici, ha inferto un duro colpo, specie se si considera l’enorme costo della guerra, di una guerra a quanto pare più lunga e complicata del previsto. Per recuperare valuta estera, Putin ha emesso un ordine di prelievo forzoso dell’80% delle giacenze sui conti non in rubli e richiamato i suoi sodali a riportare in patria le ricchezze detenute nei paradisi fiscali, promettendo trasparenza e una ricompensa per aver salvato la patria. È un colpo che fa male, se si arriva a rastrellare monetine dai salvadanai.

Altra dimostrazione è data dal declassamento dei rating del Paese a livello BB+, poco sopra la soglia di “spazzatura”, nel dubbio che la Russia non sia più in grado di ripagare il debito estero alla luce di una prima rata ufficialmente solo in ritardo. Inoltre, è stato alzato il tasso di riferimento (quello a cui la CBR presta alle banche domestiche) dal 9,75% al 20% e il famigerato spread con il Bund tedesco è schizzato a 1260 punti base, circa 8 volte quello italiano, per dire.

Il Cremlino non è ancora alle strette ma per evitare il default dovrà davvero squarciare il materasso, ricorrendo al fondo sovrano (su cui entrano le rendite energetiche) da cui è stato annunciato un intervento a sostegno delle imprese per oltre USD 10 mld. È però evidente che la situazione stia degenerando e che anche le enormi risorse accumulate non potranno durare per sempre.

Futuro incerto

Non è dato sapere se basterà a convincere il Presidente che è ora di finirla, che è tempo di negoziato e di conciliazione. O se, come accaduto finora, prevarranno logiche irrazionali, la smania di una sempre più grande grandezza e la necessità psicologica (o psichiatrica) di tornare ad avere un ruolo da protagonista al tavolo globale.

Nei giochini delle banche centrali, tra un panfilo sequestrato e un resort alle Maldive che diventa irraggiungibile, ci sono milioni di sfollati, di persone vere che hanno perso ogni cosa, talvolta anche la vita.

Ma Putin la gente reale non la vede, non l’ha vista mai.

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