Entro il 2100 la popolazione mondiale andrà incontro ad un calo storico e dopo un’impennata che la porterà a circa 9,7 miliardi di individui nel 2064, si ridurrà a 8,8 miliardi entro la fine del secolo.

Stando allo studio realizzato da un team di ricercatori dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università di Washington-Seattle e pubblicato in luglio dalla rivista The Lancet ), entro la fine del secolo si prospetta una vera e propria rivoluzione demografica, con 23 Paesi fra cui Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Giappone e Thailandia che vedranno ridursi le loro popolazioni di oltre il 50%. Per contro, i Paesi arabi del nord Africa e del Medio Oriente e l’Africa sub-sahariana arriveranno a triplicare la loro popolazione, passando dagli 1,03 miliardi del 2017 a 3,07 miliardi nel 2100.

A livello globale si tratterebbe dunque di una vera e propria implosione demografica, pur fortemente disomogenea, e non un boom come comunemente si crede.

A fine secolo il boom di popolazione sarà africano

Nel 2100 la classifica dei paesi più popolosi vedrà in testa l’India con 1,1 miliardi di abitanti, seguita dalla Nigeria con 800 milioni. La Cina sarà soltanto terza con 732 milioni, gli Stati Uniti quarti con 336, seguiti dal Pakistan con 248. Il sorpasso dell’India sulla Cina è previsto già intorno al 2035, ma sarà una situazione transitoria perché a fine secolo la Nigeria supererà la Cina.

E l’Italia? Oggi il paese conta circa 60 milioni di abitanti. Nel 2100 le previsioni oscillano fra 31 e 28 milioni di abitanti, cifre che comporterebbero un inevitabile collasso dell’economia e che preludono ad una futura irrilevanza demografica ed economica.

Secondo il professor Stein Emil Vollset che ha coordinato la ricerca, assieme ad altre condizioni che variano da Paese a Paese ci sarebbero due fattori principali che possono spiegare questo crollo della popolazione mondiale: i miglioramenti nell’accesso ai contraccettivi e l’educazione scolastica delle ragazze e delle donne.

«Questi fattori – ha spiegato lo scienziato – guidano il tasso di fertilità, cioè il numero medio di bambini che una donna genera durante la sua vita, che è il principale fattore determinante della popolazione. Si prevede che il tasso di fertilità totale globale diminuirà costantemente da 2,37 nel 2017 a 1,66 nel 2100, ben al di sotto del tasso minimo (2,1 nati vivi per donna) ritenuto necessario per mantenere il numero della popolazione.»

Un mercato ad Arusha, in Tanzania, foto Blue Ox Studio, Pexels

Questo significa che quando in Paesi come ad esempio il Niger, una donna non sarà più costretta a partorire in media 7 figli, per mancanza di metodi contraccettivi e di educazione, ma in base alle stime ne partorirà 1,8 entro il 2100, il mondo dovrà fare i conti con un riassetto socio-economico le cui basi devono necessariamente essere preparate fin da ora.

Christopher Murray, direttore dell’IHME, fa notare che le nuove previsioni demografiche globali contrastano con le proiezioni di una continua crescita globale fatte dalla Population Division del Department of Economic and Social Affairs dell’ONU, e sostiene che «quelle proiezioni non rappresentano più la traiettoria più probabile per la popolazione mondiale. Se da un lato il declino della popolazione può essere positivo per la riduzione delle emissioni di carbonio e il minore stress sul sistema alimentare, lo scenario tratteggiato mette in luce le enormi sfide poste da una forza lavoro in calo, dall’elevato carico per i sistemi sanitari e di sostegno sociale rappresentato da una popolazione che invecchia, e l’impatto sul potere globale legato ai cambiamenti nella popolazione mondiale».

Insomma, crisi drammatiche come quella del 1929 o quella del 2008, potrebbero sembrare un trascurabile incidente di percorso rispetto al mondo demograficamente squilibrato che ci aspetta.

Fondamentale una politica migratoria

I ricercatori concludono il loro studio abbozzando alcune possibili soluzioni, che ovviamente non compete a loro implementare, bensì ai governi dei singoli Paesi. Una su tutte, le «politiche di immigrazione liberale – si legge sempre nella ricerca -, che potrebbero aiutare a mantenere la dimensione della popolazione e la crescita economica, anche se diminuisce la fertilità».

Secondo il professor Douglas Nelson, economista dell’Università di Nottingham, l’implementazione di politiche di immigrazione liberale prevede alcune caratteristiche fondamentali: la libertà individuale di fare scelte migratorie; la tutela dei diritti di proprietà sul lavoro e l’applicazione di contratti legittimi; la tutela dei diritti della persona. Nelson sostiene che un regime di migrazione globale ben strutturato rappresenterebbe un fondamentale supporto allo sviluppo nazionale dei singoli Stati.

Un centro di accoglienza migranti in Grecia, foto di Julie Ricard, Unsplash

Stando alle previsioni, l’Italia sarà tra i Paesi che soffriranno maggiormente sia il drastico calo demografico previsto, sia il progressivo invecchiamento della popolazione già in atto da tempo. E l’unico modo per conciliare una pressione migratoria sempre più forte proveniente da un’Africa giovane e popolosa con la necessità di avere in Italia e in Europa un mercato del lavoro attivo è di predisporre prima possibile, in sinergia con i Paesi di origine, politiche migratorie razionali e lungimiranti, che prevedano una formazione e delle tutele per i nuovi arrivati. Oppure addio pensioni e sanità pubblica gratuita.

Commentando lo studio, anche il professor Ibrahim Abubakar della University College di Londra evidenzia che «in fin dei conti, se le previsioni fossero esatte anche solo per metà, la migrazione diventerà una necessità per tutte le nazioni e non un’opzione. La distribuzione delle popolazioni in età lavorativa sarà cruciale nel determinare se l’umanità prospererà o appassirà».

Il team di Seattle sottolinea infine che la risposta al declino della popolazione «non deve compromettere i progressi sulla libertà e sui diritti riproduttivi delle donne. Questo studio offre ai governi di tutti i Paesi l’opportunità di iniziare a ripensare le loro politiche in materia di migrazione, forza lavoro e sviluppo economico per affrontare le sfide poste dal cambiamento demografico.»

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