L’Italia olimpica dell’atletica, fino a ieri, ha sempre vissuto sui ricordi. La curva di Livio Berrutti a Roma 1960 nei 200 metri è rimasta nell’immaginario di tutti, così come il volo su Mosca di Sara Simeoni. Singole e immortali prestazioni sportive di pochi atleti che hanno saputo tenere alto l’onore dei colori azzurri nelle discipline disputate dentro allo stadio. Fuori, in un modo o nell’altro, siamo stati competitivi con continuità e le soddisfazioni sono arrivate, spesso e volentieri, più dalla marcia che dalla maratona.
Fino a ieri. Perché lo sport è così. Sorprende. Per anni ti fa vivere frustrazioni cocenti, decadi in cui, da giovane praticante o da tifoso occasionale, puoi solo decidere a quale grande campione internazionale riservare affetto e tifo, ben cosciente che per i colori azzurri possa essere solo notte fonda. Poi ti ripaga di ogni dolore, quando meno te lo aspetti, proprio quando pensi che sia quasi contro natura credere ancora ad un alloro nell’atletica. E d’altra parte, con approccio razionale, come si può pensare di primeggiare contro le nazioni che investono di più, contro chi fa sport in età scolare, contro chi imposta programmi di formazione decennali, contro chi da tempo immemore si avvale degli immigrati di seconda generazione, contro chi poco controlla in termini di doping? Impossibile.
Poi, arriva un giorno, per la precisione domenica 1 agosto 2021, e la storia dell’atletica italiana cambia decisamente rotta. Improvvisamente, si mette fine a un digiuno di successi secolare, per di più in due tra le più importanti e rappresentative gare: i 100 metri piani e il salto in alto. Una serata olimpica storica, impossibile da riassumere – in mezzo un record del mondo nel triplo femminile -, ma che proviamo a rivivere così come l’abbiamo vissuta.


– Entrano in pedana gli atleti del salto in alto. Osserviamo Gianmarco Tamberi. Linguaggio del corpo positivo, sorridente, non tirato. Comincia con un 2 metri e 19 arioso che sa di forza e leggerezza. Molto alto, bello. I primi salti non servono a fare classifica, ma dicono molto. Peccato che l’asticella non sia già a 2 metri e 30.
– Prima semifinale dei 100 metri piani. Andre De Grasse, uno dei favoriti della vigilia, fa gli ultimi venti metri contratto. Vince Fred Kerley con 9 secondi e 97 centesimi. Buoni tempi, ma nessuno che desti l’impressione di avere margine. L’oro non uscirà, non può uscire, da questi. Speranze, con un tocco di razionalità.
– Torniamo all’alto. L’avversario principale di “Gimbo” è Mutaz Essa Barshim, per l’occhiale indossato appare come una versione 4.0 di uno dei personaggi di Star Trek, ma più alto e magro. Qatariota da 2,43, ha già prenotato l’oro. Il suo stare in pedana olimpica appare un rituale quotidiano, movenze da campionissimo. Infatti, entra in gara a 2,24 con la semplicità con cui un altro si allaccia le scarpe. Maksim Nedasekau, fresco campione mondiale indoor, è un’altra cosa, rischia l’errore. Però appare tignoso, da subito.
– L’intermittenza televisiva del programma dell’atletica obbliga il tifoso ad un allenamento di interval training. Pulsazioni alte per Luminosa Bogliolo al record italiano dei 100 hs. La sua prestazione finirà in un ingiusto anonimato.
– Seconda semifinale dei 100 metri. Filippo Tortu, la nostra carta migliore si fosse gareggiato un anno fa. Viene da un periodo difficile, ma ha spianato la strada al rinascimento dell’atletica italiana. In partenza, sensazioni visive così così. Ci crede poco pure lui, ma parte bene. Forse vuole strafare e pasticcia un po’ gli appoggi successivi all’uscita dai blocchi disunendosi. L’azione ne risente e l’accelerazione pure. 10 secondi e 16 non eccelso, non basta per la finale. Dieci anni fa avremmo festeggiato una semifinale olimpica. Oggi porta in faccia al ragazzo e, prima o poi, gli negheremo pure la pubblicità della Fastweb. Ingiustizia, rimane un ottimo atleta.
– Terza semifinale dei 100. C’è Lamont Marcell Jacobs, campione europeo dei 60 indoor. Vuole la finale, si vede. Su Bintiang azzecca la partenza della vita e stacca tutti facendo sembrare l’avvio di Jacobs deludente. L’atleta italiano però non si scompone e nel lanciato si mette a caccia del cinese arrivandogli a un soffio. Record italiano a 9,84. Scusate? La prima reazione è di schiaffeggiarmi per verificare la lucidità del momento, la seconda di dare un occhio all’anemometro, la terza è cercare il dispositivo del turbo in coda al cinese. Tutto vero, è un tempo che vale ampiamente il 19 e 72 di Pietro Mennea sui 200 metri. Al netto della partenza, Jacobs è il più in palla di tutti. Si sarà rivisto, se ne sarà reso conto. Un lanciato da paura.
– Momento razionalità, ce n’è bisogno. Con 10 netti non si va in finale. Tortu, se puoi, consolati.


– News dalla pedana dell’alto. Tamberi è il più bello ai 2,27, Barshim ai 2,30, Nedasekau in nessuna misura, ma progredisce.
– Rotazione a 2,33. Barshim perde gli occhiali nel salto. Se non è crisi questa! Da casa avviato il concorso “trova un difetto al 2,33 di Tamberi”. Un iscritto: il padre. Brandon Starc, senza dubbio il sesto dei Beach Boys, vola. Anche lui. Che finale!
– 800 maschili, semifinali. Le pulsazioni tornano sotto ai 120 battiti, per chi sta al televisore.
– Salto in alto. Di solito, a 2 e 35 si prende una medaglia. Barshim salta una volta, ma a queste quote potrebbe farlo tutto il giorno. Woo Sanghyeok è invece al proprio personale. Tamberi tocca l’asticella, ma supera la misura al primo tentativo. “Questo era bello”, commenta. Per noi, bellissimo. È un momento chiave. “Gimbo” capisce di essere tornato quello di Montecarlo, quello del 2016. Sensazioni nuove, ma forse così uguali a quelle che lo portarono al record italiano. Ci crede. 5 atleti ancora in gara, solo lui e Barshim senza errori. L’ho già detto. Che finale!
– Nel frattempo, i 400 hs di Alessandro Sibilio sono pura poesia e valgono una finale che pesa un macigno, data la competitività della disciplina. Bravo!
– A 2 e 37 si comprende la leggerezza di Barshim. Da quando è a Tokio ha commesso un unico grande errore. Dimenticare l’elastico per gli occhiali. Altra certezza: i giudici evidentemente non comunicano a Nedasekau il progredire dell’asticella. Lui salta sempre uguale ogni misura, impiccato. Così però va a medaglia. Tocca a Gimbo. I battiti dell’appassionato raggiungono quelli di Sibilio nel rettilineo finale. Il pubblico, incalzato dall’italiano senza troppi atteggiamenti istrionici, risponde e scandisce. Parte. Rincorsa decisa, fluida, stacco buono, lontano così come necessario per la misura. Il valicamento è perfetto. Tamberi è tornato nell’elite mondiale. Se non sarà medaglia con 2 e 37, sarà evidente il complotto internazionale.
– A 2 e 39 mi rendo conto che Barshim salta con l’orologio. Deve pesare il 20% dell’atleta come minimo. Tra chi viaggi fuori misura e chi non ne ha più, nemmeno Barshim, si susseguono gli errori nei salti. Tamberi porta il gesso di Montecarlo in pedana.
– Dalla pedana del triplo femminile distrazioni inopportune. Cade il record del mondo di Inessa Kravets. Record dei miei tempi, e questo la dice lunga sulla longevità del primato. Proprio ora doveva arrivare?
– Sibilio mi presta il suo fuori soglia per lo sprint finale, anche perché inquadrano Jacobs, in anticamera, che indossa il numero 3. Tutto pronto per la finale dei 100. L’Italia dell’atletica leggera deve aver ingaggiato Steven Spielberg per il prossimo quarto d’ora.  

Let’s make the history, man.

– Dall’alto, nel frattempo, arrivano solo errori a 2 e 39. Dai miei conti è oro ex-aequo Qatar/Italia, ma il regolamento parla anche di spareggio facoltativo. Opzione da considerare solo se ci fossero state in pedana Errigo e Di Francisca, non due amici rivali come Tamberi e Barshim, entrambi caduti e risorti dopo infortuni che potevano pregiudicarne la carriera. “Gimbo” capisce che è oro e fa un ultimo grande salto per abbracciare il rivale. Barshim capisce che è oro, ma sembra ne abbia altri 27 in bacheca. L’italiano abbraccia tutti, anche la portoghese Mamona, argento nel triplo. Impossibile biasimarlo.
– Entrano i protagonisti della finale dei 100 metri per la presentazione. Dura meno l’attesa del vincitore di Sanremo, ma è la finale regina delle olimpiadi. Diciamolo: manca un Bolt, un Lewis, un Christie qualunque, un personaggio in grado di scaldare gli animi. Ma c’è Jacobs a infiammare gli italiani. Entrando in pista, vede Tamberi saltare e rotolarsi per terra dalla gioia. Immagini positive, di ispirazione. Per l’atletica italiana, sembra caduto il muro di Berlino. Nemmeno Fiona May ci era riuscita.
– Atleti ai blocchi, partenza falsa vicino a uno Jacobs imperturbabile e immobile. La storia si legge anche da questi piccoli dettagli. Nuovo sparo, il cinese Su parte male, Jacobs meglio. 30 metri di equilibrio, poi esce il lanciato dell’azzurro che dai 40 ai 70 metri impressiona e negli ultimi metri non può far altro che riscrivere i libri dell’atletica italiana e olimpica. 9 e 80. Mostruoso!
– Razionalizzo che Usain Bolt è vivo e vegeto, altrimenti penserei in una reincarnazione, con stili e colori differenti.
– Jacobs è successore di Bolt. Lo diciamo sommessamente, guardandoci intorno, che non ci senta qualcuno. Eretici, bestemmiatori. Poi lo ripetiamo. Suona anche piuttosto bene. Ma sì! Urliamolo pure, che è diventata una verità sportiva!
– Sotto al tricolore si abbracciano Tamberi e Jacobs. Spielberg appare decisamente soddisfatto, non avrebbe potuto fare di meglio.
– Ragazzi, non è un film, è storia.

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