C’è una distrazione che l’area dell’antifascismo militante continua a commettere, ed è quello di personalizzare la contrapposizione politica senza approfondire le cause della netta svolta a destra dell’Italia. Ha probabilmente ragione il professor Luciano Canfora a parlare di nazismo nell’anima, riferendosi a Giorgia Meloni, ma la sua dotta citazione non serve molto a capire le ragioni che l’hanno portata a governare il nostro Paese.

Allo stesso modo, il monologo di Antonio Scurati, senz’altro da incorniciare, potrebbe far sembrare sufficiente pronunciare la parola antifascista per esserlo veramente, e scongiurare lo spettro del fascismo in Italia.

Come Berlusconi, anche Giorgia Meloni è la punta di un iceberg che, come ben noto, pur limandone la punta emergente, si risolleva. Meloni non è la causa del risveglio di una destra postfascista in Italia, ma l’effetto di tre decenni in cui le conquiste dei lavoratori degli anni ’70 e ’80 sono state progressivamente ridotte.

Le cause della crescita delle destre

Può sembrare paradossale, ma il taglio dei diritti sociali, la precarizzazione del lavoro, la perdita di potere d’acquisto del salario, la riduzione del welfare, anziché risvegliare la sinistra ha portato più volte al governo la destra. Il variegato mondo progressista della sinistra, ne porta una pesante responsabilità, perché non solo non ha saputo individuarne le cause prime, ma non ha nemmeno saputo recepire il disagio sociale crescente.

Negli anni ’20 del Novecento il fascismo era stato finanziato, protetto e vezzeggiato dal capitale industriale e dal latifondo per reprimere le aspettative di libertà e benessere dei lavoratori, che attraverso l’idea socialista prendevano coscienza dei propri diritti sociali. Oggi il neoliberismo realizza gli stessi obiettivi di allora senza camicie nere e manganelli, ma lusingando ed occupando le istituzioni e la politica, che si sono sottomesse al potere economico e finanziario.

Il risultato è che oggi gli Stati europei hanno perso il controllo della moneta, poiché la Banca Centrale ha il divieto di finanziare gli investimenti pubblici e di garantirne il debito, e sono pertanto perennemente sotto ricatto dei mercati. Oggi non esiste più una politica economica dello Stato, perché lo Stato non ha più risorse, drenate dal costo del debito, e le politiche economiche sono decise dalla finanza internazionale e della globalizzazione.

Come è successo tutto questo? In nome dell’Europa, della moneta unica, della produttività, della competitività, sono stati gradualmente svenduti beni pubblici, liberalizzati e privatizzati servizi pubblici, ed imposti sacrifici che hanno precarizzato il lavoro ed aumentato le disuguaglianze. Senza peraltro raggiungere gli obiettivi prefissati, anzi aumentando le povertà.

Il nuovo ruolo dell’antifascismo

È ingenuo pensare che il pericolo fascista in Italia sia quello di pochi nostalgici fanatici con la camicia nera e il braccio teso, che comunque vanno perseguiti. Oggi l’antifascismo dovrebbe guardarsi da chi con la camicia bianca, giacca e cravatta, e a volte la felpa, occupa i consigli di amministrazione delle più grandi multinazionali, gestisce miliardi di euro e dollari, spesso superiori ai bilanci di interi Stati. Controlla intere filiere di materie prime e i loro prezzi. Controlla i mercati finanziari e condiziona l’opinione pubblica attraverso giornali, televisioni e social.

Il 25 aprile si celebra la liberazione dell’Italia dal fascismo storico, ma oggi l’antifascismo si dovrebbe attualizzare e concretizzare di più nella difesa e riconquista dei diritti sociali del lavoro. La Costituzione italiana che è il frutto più alto e luminoso della liberazione del 25 aprile non a caso all’art.1 afferma: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Il 1° maggio, festa dei lavoratori, è l’altra faccia del 25 aprile, lo integra e lo completa come liberazione da tutti i fascismi. Il 1° maggio dovrebbe rappresentare la liberazione dalla violenza dei mercati e delle politiche neoliberiste, disponibili a concedere diritti civili, salvo demolire quelli sociali, a cominciare dal lavoro e da redditi dignitosi, che sono il sale della libertà e della democrazia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA