Il cambiamento climatico bussa alle porte: si sta concretizzando nel silenzio la più grande estinzione di massa da 200 milioni di anni; le risorse si riducono e l’inquinamento – e chi abita a Verona e nella Pianura Padana lo sa – avvelena persone, animali e terreni.

Ci vuole una svolta “verde” nelle risorse che utilizziamo ma, soprattutto, negli stili di vita che influenzano lo sfruttamento delle risorse. Ovvero: i diamanti sono spesso sporchi di sangue (il controllo dei giacimenti comporta guerre di controllo sul territorio con stragi di civili) perché sono ricercati. Se nessuno li volesse, varrebbero come i “capperi” che ci troviamo nel naso mentre aspettiamo che scatti il verde.

Viva il green, ma non toccatemi l’auto

Ma questa svolta “verde”, di cui ci riempiamo la bocca anche qui a Verona con progetti come il Central Park, ha davvero un futuro? La verità è che, sic rebus stantibus, ogni tendenza green che passi a un onesto vaglio del voto popolare è destinata miseramente a fallire.

Partiamo dalle auto: sia nella versione a benzina o diesel, sia nella versione elettrica, ogni automobile ha un costo sempre più pesante in termini di materiali (ferro, acciaio, metalli nobili e terre rare per le componenti elettroniche) e in termini di energia per muoverla. Il tanto decantato elettrico non inquina con i gas di scarico, ma sposta il problema sullo smaltimento delle batterie, sull’inquinamento provocato da pneumatici e freni e sulla necessità di una maggiore produzione di energia elettrica. La soluzione è, quindi, da ricercare nel mezzo pubblico collettivo, così da ripartire il costo ecologico ed energetico tra più utenti; questo, però, comporta necessariamente una penalizzazione dell’automobile ad uso privato.

Ma siamo davvero disposti a rinunciare alla sudata auto di famiglia per la bicicletta o per il bus? Tralasciando l’indotto, cioè meccanici, carrozzieri e benzinai, i meno giovani certamente no e non sono una quota minoritaria: nel 2017 i dati raccolti sul portale del Ministero rivelano che il 58,23%, cioè oltre 22,5 milioni di patenti, appartiene a conducenti con un’età compresa tra i 45 anni fino a oltre 65 anni; lo stesso vale per coloro che ritengono l’auto uno status symbol e guardano con orrore lo “spostapoveri”.

Di certo non i genitori che devono portare i figli piccoli a scuola, visto che comunque i minori di 18 anni sono considerati minus habentes non in grado di tornare a casa da soli. E i giovani? Nemmeno: il “92% dei ragazzi del nostro Paese di età compresa fra i 18 e i 24 anni è convinto che possiederà un’auto entro i prossimi 10-15 anni”. Ergo, un tassello importante del cambiamento non è ambito da nessuna classe di età.

Edilizia, trasporti e consumo di suolo: quello che sappiamo (e che non vogliamo cambiare)

Un quarto del territorio italiano è in sofferenza per il degrado del suolo, Veneto e Sicilia in testa. L’urbanizzazione, ovvero lo sviluppo edilizio, è fino ad anni recenti una parte essenziale dell’economia sia in termini assoluti che occupazionali, a cui aggiungere un ramificato indotto, come testimoniano di dati dell’ANCE. Il problema, perciò, è accettare che un settore che sostituisce suolo fertile con l’urbanizzazione, prediligendo la costruzione del nuovo piuttosto che il rinnovo del parco edilizio vecchio, non sia più basilare per la nostra economia: meno posti di lavoro, aumento del costo della casa. Persino far pagare le tasse sulle case al grezzo, cioè oramai finite, se da una parte permetterebbe di acquisire risorse e di immettere sul mercato edifici vuoti e di fatto pronti, in realtà farebbe collassare il sistema. Il PIL a crescita indefinita ha bisogno di costruire a tempo indefinito.

Il trasporto su gomma costa 12.000 vite l’anno e 1 miliardo l’anno in salute. Si potrebbe, dopo anni di abbandono, tornare a privilegiare ove possibile il trasporto su rotaia, visto che i binari li abbiamo e poi che disponiamo di una cattedrale nel deserto, la TAV, in costruzione. Ma non si può. Un po’ perché bisognerebbe trovare un nuovo lavoro a buona parte dei guidatori dei 4.600.000 veicoli ad uso trasporto merci (e provate a pensare, oggi, in tempo di Coronavirus, un mondo senza corrieri e padroncini); un po’ perché bisogna tener conto dei profitti legati ai pedaggi autostradali, delle accise sul carburante oltre ai mancati guadagni per le aziende automobilistiche (che in Italia, a dir il vero, non ci sono più: rimangono però le fabbriche).

Tempi di scelte, che non si vogliono davvero fare

Veniamo al dunque: chiunque può verificare come le cose stiano cambiando in fretta dal punto di vista ambientale. Nei campi stanno sparendo gli insetti, base della piramide alimentare; i campi vengono sostituiti da nuove lottizzazioni (si veda cosa succede a Verona est, Valpantena e Montorio) o capannoni spesso poi vuoti o abbandonati. Sparisce il confine tra città e campagna, persino le allergie aumentano a causa dello smog.

Potrebbe un partito qualsiasi affermarsi con un programma che preveda la progressiva eliminazione dell’automobile a uso privato, una pesante limitazione del settore edilizio in cambio di parchi e giardini e della promessa di un futuro migliore?

Ci hanno provato per anni i Verdi con risultati, testimoniati in un’intervista con Mao Valpiana su questo giornale, tra l’1/2%, perché non si può ragionevolmente credere che un cittadino desideri rinunciare sua sponte a tutte le comodità della società moderna, dai cellulari alla seconda macchina, dalla casa al mare ai beni che distinguono socialmente i “magnaschei” dai poveracci.

Così, anche il tanto decantato – e apprezzabile, va detto – progetto di Central Park a Verona diventa paradigmatico. Il consigliere comunale Michele Bertucco segnala che, sulla carta, la quota minima di verde sarà del 50%: ecco, il concetto di green passa solo se visto nel contesto di risorsa economica e non di necessità esistenziale, in questo caso addirittura possibile solo con la cessione ai privati di parte dell’area progetto.

In conclusione: si può davvero sperare che chi è occupato a sopravvivere al presente, vivendo la metafora della rana bollita, possa scegliere col proprio voto di mettere a rischio quanto possiede, in funzione di un futuro lontano per dei giovani che, in Italia, neanche ci sono?