Le notizie di cronaca sul caso di Giulio Regeni si susseguono e mentre la Procura Generale del Cairo ritiene infondate le accuse della magistratura italiana ai suoi 007, la famiglia Regeni passa al contrattacco e intende denunciare l’Italia per vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani. Al centro dello scandalo, proprio le fregate cedute all’Egitto e la politica estera e di difesa attuata dal nostro Paese. Parliamo di questo e molto altro con Mao Valpiana, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, in passato consigliere regionale del Veneto e consigliere comunale di Verona, ora attivo in Reti pacifiste.

Mao Valpiana

Valpiana, sul caso Regeni ci si aspetterebbe che l’Italia prenda una posizione netta, chiara e forte. Invece, nel più assoluto silenzio, il 23 dicembre la fregata Spartaco Schergat, che sarà ribattezzata al-Galal, è stata ceduta da Fincantieri alla Marina Militare dell’Egitto. È cambiato davvero qualcosa?

«Come prima e più di prima, nonostante gli impegni presi sul caso Regeni. La partita economica con l’Egitto procede come da piani prestabiliti; nessuno stop, nessuna revisione né soprattutto il rispetto della Legge 185/90, che vieta l’esportazione nei paesi che non rispetto diritti umani [art. 1, 6B; N.d.A] e l’Egitto, con Regeni e Zaki (ma non solo), è in palese violazione. L’unico cambiamento, ma in negativo, è che accade tutto in sordina. Sanno di avere la coda di paglia, visto che l’opinione pubblica è contraria.»

Un pò come aveva fatto il presidente francese Macron, quando alla chetichella aveva conferito la Legion d’Onore al presidente egiziano Al-Sisi…

«Qui è anche peggio. Dal punto di vista politico posso capire l’imbarazzo del Presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri; in Parlamento, però, erano stati presi impegni chiari e precisi e quindi questa commessa andava come minimo sospesa.»

Forse i soldi dell’affare sono stati ritenuti più importanti. In ballo c’è materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro…

«Su queste questioni il peso della politica di per sé è nullo, quale che sia il colore dei governi: in questi affari siamo di fronte a una sostanziale “dittatura militare” dell’industria bellica pesante, che in Italia si chiama Leonardo (azienda che dal suo sito si definisce “protagonista globale nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza”, nda). Nel caso delle fregate ci sono più livelli di interesse: l’industria bellica italiana certo, ma pure tutto il sistema delle partecipazioni (nello specifico, la NATO).

Poi guardi, l’Egitto non ha messo un euro: li abbiamo anticipati noi con le cosiddette “banche armate”, che anticipano le spese con coperture bancarie italiane sperando che l’Egitto poi saldi il debito. Ma la verità è che sta acquistando tutto a spese nostre ed è già successo che, con altri Stati, l’Egitto non abbia onorato i suoi impegni e il rischio di ritrovarci “cornuti e mazziati” resta concreto.»

Quale dunque il senso?

«È il tentativo che l’Italia sta facendo di reinserirsi politicamente nel Mediterraneo ora che la Libia, nostro solido partner fino alla morte di Gheddafi, è nelle mani francesi. Ripeto: capiamo la logica di geopolitica internazionale, però questo moralmente rimane inaccettabile e come minimo il Governo avrebbe dovuto sospendere la consegna che non avrebbe avuto alcun contraccolpo economico, visto che tanto i soldi per l’acquisto li abbiamo anticipati noi.»

Davvero uno spostamento di qualche mese avrebbe modificato le cose?

«Sarebbe sicuramente stato un passo politico rispetto al nulla che sta accadendo.»

Le spese militari aumentano su scala planetaria. Lo scenario mondiale mostra una Cina con il caccia Chengdu J-20 pronta al sorpasso militare oltre che al primato economico. In Italia, l’esercito chiede di stanziare 6 miliardi in più nel bilancio 2021 e nel frattempo aereonautica e marina si contendono una manciata di costosi e contestati F35 che cominciano pure ad essere già non competitivi. Non sono richieste accettabili in questo contesto?

«Il discorso è ampio. Da dieci anni diciamo che il progetto F35 è nato per certi aspetti già obsoleto e con tutta una serie di problemi; in corso d’opera, infatti, molti paesi si sono sganciati (chi ha politicamente ha potuto, come il Canada) perché aveva un sacco di difetti tecnici, a partire dal casco, di estrema complessità. La leva per convincere l’opinione pubblica fu la promessa della ricaduta occupazionale di almeno diecimila addetti nel nostro paese per la loro costruzione che, in realtà, non sono più di mille [duecento a marzo di quest’anno, nda] nell’industria di Cameri (Novara). L’Italia, certo, ha ridotto in corso d’opera l’ordinativo (da 90 a 28, nda) ma è rimasta nel progetto pagando regolarmente le sue quote e ora ci ritroviamo con 4 aerei.»

Un po’ poco, non le pare?

«Non solo. L’unico volo sperimentale fatto finora è stato per testare la capacità di trasporto di bombe nucleari. Bombe, le B61-12, che sono nelle basi di Aviano e Ghedi. Insomma, la strategia rimane ancora quella nucleare.»

Tutte le potenze mondiali si muovono in questa direzione però…

«Ma perché l’industria vuole che si vada lì: ci sono 22mila testate che vanno ammodernate e questo è economicamente interessante. Ma è l’industria o lo Stato che decide la nostra politica militare? Davvero è quello che ci serve? Prendiamo il fenomeno immigrazione che si cita sempre come pericolo concreto: i barconi li fermiamo con le armi tattiche nucleari? Una vera risposta, invece, sarebbe una politica estera europea e una difesa comune europea che, ad oggi, sono questioni accantonate e, prima ancora di investire sull’esercito europeo, metterei in campo il progetto dei corpi civili di difesa europea (già approvato), perché il tema vero è questo: l’Europa che posizione ha rispetto alla Russia, al Medio Oriente, al Mediterraneo? Che immagine ha di sé? Non dimentichiamoci che il progetto europeo è stato fondato sui valori del mondo Occidentale che sono la nostra vera forza, visto che non possiamo competere economicamente e militarmente con la Cina e gli USA: rinunciare a ribadire questi principi per presunti vantaggi economici, come nel caso Regeni, significa smarrire il senso stesso dell’UE. Certo, la cronaca recente ci mostra un’Europa sempre più sfilacciata ed egoista, ma non per questo il progetto va abbandonato, anzi.»

Perciò i sei miliardi chiesti dall’esercito per il 2021 non la convincono.

Il sondaggio europeo di Pew Reserch riportato da IlSole24ore

«Il punto è come spendere queste risorse: invece di puntare sulla strategia nucleare, investirei sul controllo del territorio anche dal punto di vista informatico, cibernetico. Qualche giorno fa su ilSole24ore è uscito un sondaggio sulle paure percepite dagli europei: la prima è il cambiamento climatico (!), la terza, dopo la pandemia, il terrorismo. Investiamo allora sulle vere esigenze della popolazione, con il potenziamento dell’intelligence e del lavoro di prevenzione, magari rendendo più efficace il coordinamento europeo che dopo gli attentati in Francia si è un po’ raffreddato. Insomma, le vere due questioni che ci riguardano da vicino sono oggi come oggi l’immigrazione e la sanità, che richiedono strategie e risorse, non certo il nucleare; e invece finanziamo Leonardo e l’industria bellica pesante e lasciamo la nostra polizia territoriale senza benzina.»

Una bella questione quella del terrorismo. L’Italia sembra vivere in una sorta di bolla rispetto a Francia, Inghilterra e Germania, quasi che il cosiddetto “lodo Moro”, patto segreto di non belligeranza tra Stato italiano e Olp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) di Arafat (1973) in qualche modo sia ancora attivo. Paradossale visto che siamo il paese col Vaticano.

 «Non so se il patto sia ancora operativo, onestamente: si constata che è così. E paradossalmente proprio perché c’è il Vaticano l’Italia subisce molto meno il terrorismo: ha una politica estera molto efficace e, anche se in sordina, si rapporta con tutte le parti del mondo, specie quelle più problematiche. Si capisce che ha ottimi rapporti e moltissime informazioni dalle zone più a rischio. Papa Francesco poi si sta muovendo egregiamente nella strategia di “aprire ponti”, Cina compresa.»

Torniamo al sondaggio europeo e alla salvaguardia dell’ambiente. Col M5S e il PD pareva che fosse finito il tempo del cemento selvaggio: ma la questione trivelle, le proposte di condono che ogni tanto in Parlamento ricompaiono spesso anonimamente dimostrano che questa sensibilità ambientalista non è radicata.

Alessia Rotta

«Sembrava inizialmente che ci fosse un’inversione di tendenza quando invece i casi da te citati, la dimenticanza del blocco delle trivelle, il tentato condono edilizio in Emilia-Romagna (con inevitabili ricadute sul Governo nazionale) dimostrano che bisogna vigilare attentamente per impedire che certi provvedimenti passino. Il fatto è che il Governo va avanti con le ruspe e va tirato per le orecchie perché il M5S non ha una vera cultura ambientale il PD ha due anime e a prevalere è quella sempre “cementifera” perché è più furba e scafata. Per carità, ci sono figure sensibili sulla questione, come la veronese Alessia Rotta, presidente dell’VIII Commissione (Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici) ma mancano di competenza, esperienza e dei consiglieri giusti per scoprire i trucchi nascosti nei provvedimenti. In Germania, di contro, i Verdi funzionano (20,5% alle europee 2019, nda) perché sono un partito vero; negli anni sono cresciuti politicamente e riusciranno ora ad avere incarichi di rilievo nel Governo perché, nel tempo, hanno fatto le alleanze necessarie con le categorie di controllo e gestione dell’economia e con l’imprenditoria “green” così da essere presenti sul territorio. Invece il M5S è un partito tutto ideologico, senza ramificazioni territoriali: non sa nulla, per esempio, di Amia o dello spargimento di liquami in Lessinia. In Italia, i Verdi hanno la giusta impostazione ma politicamente irrilevanti, sull’1/2%. Troppo poco per incidere.»

Beh, dovreste prendere lezione da Renzi che con il 2% di Italia Viva di Renzi riesce a farci un sacco di cose…

«Ah beh, ma lui ha i consigli giusti di Dennis Verdini, che tra l’altro ora, stando in carcere, ha un sacco di tempo a disposizione.»

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