Manca ancora l’insediamento del nuovo governo guidato da Mario Draghi, il cui voto da parte del Senato inizierà questa sera. E intanto il Paese reale ha molte attese e continua a portare avanti l’economia, in uno stato di crisi mai vista dal dopoguerra. L’agricoltura, in particolare, non può attendere. Così, tra aspettative e necessità, facciamo il punto sul sistema produttivo primario insieme a Daniele Salvagno, presidente di Coldiretti Verona e di Coldiretti Veneto. Per capire a che punto siamo e da cosa ripartire.

Presidente, facciamo un bilancio di questo anno di pandemia sul sistema agricolo veneto e veronese: chi sta pagando di più?

«L’agricoltura veronese non si è mai fermata perché il suo compito primario è quello di garantire la disponibilità di cibo ai cittadini. Anche – e soprattutto – nei mesi più difficili del lockdown, gli agricoltori hanno fornito sostentamento in modo continuativo, attraverso metodi innovativi come le consegne a domicilio. Ciò non significa però che il settore primario non abbia risentito delle conseguenze, anche pesanti.

A causa dell’emergenza sanitaria non c’è un settore produttivo in ambito agricolo che non sia in sofferenza. Il periodo estivo ha consentito una lieve ripresa dei comparti, specie di quello agrituristico, ma l’autunno e l’inverno hanno fatto riemergere una serie di problematiche legate alla difficile situazione e alle limitazioni nella circolazione. Il settore degli agriturismi ha subito perdite di oltre il 50%, specie per chi propone solo alloggio.

Si è rilevato, per la chiusura del canale horeca, un drastico crollo dell’attività che pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari: dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità, che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

Volendo entrare nel dettaglio, per quanto riguarda la frutta veronese, Coldiretti Verona nel 2020 ha rilevato un’ottima qualità con quantità superiori al 2019, anno devastato dai danni da cimice asiatica, ma inferiore agli anni passati. Per le produzioni di kiwi, calano gli ettari coltivati e la produzione per la moria, che dal 2012 a oggi ha diminuito del 60% la superficie coltivata a kiwi, pari a 1700 ettari. Ne è derivata una perdita di 42.500 tonnellate di prodotto per un valore di circa 34milioni di euro, senza contare l’indotto per cui si arriva a un danno di circa 85milioni di euro a carico del sistema produttivo e commerciale veronese.

Si registra un calo nei prezzi di alcune orticole come asparagi, insalate, zucchine, cetrioli e patate. Buona la qualità del riso ma in calo la produzione di circa -15%. Bene l’olivicoltura dopo un 2019 disastroso e andamento positivo anche per il vigneto veronese. La filiera lattiero-casearia e quella dei suini stanno attraversando un momento di gravi difficoltà. Trend altalenante per il latte crudo spot e i cereali.»

Che giudizio si può dare al governo Conte e al ministero Bellanova per la tutela del comparto, anche alla luce di quanto gli altri Paesi e produttori europei stanno facendo per affrontare la crisi causata dal Covid-19? C’è un punto fondamentale che lei chiede sia seguito con urgenza al futuro esecutivo?

«Coldiretti, attraverso il presidente nazionale Ettore Prandini ha espresso i migliori auguri di buon lavoro al neoministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli che ha già dimostrato capacità ed impegno nella battaglia a difesa del vero Made in Italy agroalimentare. Il presidente Prandini ha anche ringraziato Teresa Bellanova per l’importante lavoro fatto insieme. Noi siamo fiduciosi che l’intero nuovo esecutivo guidato da Draghi saprà valorizzare l’agroalimentare nazionale, che è diventato nell’emergenza Covid la prima ricchezza del Paese con un valore che a livello nazionale supera i 538 miliardi e garantisce dai campi agli scaffali 3,6 milioni di posti di lavoro. Non dimentichiamoci inoltre che l’Italia è anche leader in Europa grazie ad un’agricoltura da primato per qualità, sicurezza e sostenibilità ambientale.

Digitalizzazione delle campagne, foreste urbane per mitigare l’inquinamento e smog in città, invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua, chimica verde e bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici ed interventi specifici nei settori deficitari e in difficoltà –  dai cereali all’allevamento fino all’olio di oliva – sono alcuni dei progetti strategici elaborati da Coldiretti per la crescita sostenibile del Paese. Direi che per ripartire occorre investire sui punti di forza del Paese e l’agroalimentare è senz’altro uno di questi.»

L’aumento dei prezzi agricoli nel 2020 ha raggiunto un livello che è stato definito storico. Dobbiamo aspettarci un andamento in crescita anche per il 2021? E che impatto può avere sul sistema agricolo italiano e veneto, non solo per i prezzi al dettaglio, ma anche per i produttori?

«L’allarme globale provocato dal Coronavirus con i prezzi dei prodotti alimentari di base, che secondo la Fao hanno raggiunto il massimo livello degli ultimi sette anni, ha portato a una maggior consapevolezza sul valore strategico del cibo di qualità e sicuro. Allo stesso tempo, però, ha fatto emergere anche la necessità di intervenire per difendere la sovranità alimentare, di ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali e di creare posti di lavoro green entro i prossimi dieci anni, con una decisa svolta dell’agricoltura verso la rivoluzione verde.

Permangono il problema dei prezzi e delle pratiche sleali dell’intero settore agroalimentare per cui è necessario un serio intervento normativo del Parlamento contro le pratiche commerciali sleali ad integrazione della Direttiva UE 2019/633.

Il massiccio ricorso attuale alle offerte promozionali da parte della distribuzione non può essere scaricato sulle imprese agricole, che rappresentano l’ultimo anello della catena e sono già costrette a subire l’aumento di costi dovuti alle difficili condizioni di mercato.

In questo difficile contesto assume rilevanza il fenomeno del km zero. Rileviamo infatti un cambiamento virtuoso da parte dei consumatori veronesi: notiamo infatti una maggiore attenzione verso le produzioni locali e un aumento di cittadini che si recano nei mercati degli agricoltori e nei punti vendita aziendali.

Su questo filone, va aggiunto che per dare ai cittadini consumatori la possibilità di scegliere prodotti del territorio garantiti dalle certificazioni, Coldiretti Verona si è attivata con la richiesta del riconoscimento di nuove denominazioni e con l’aggiornamento di disciplinari di altre produzioni, come ad esempio la pesca. La Federazione scaligera ha, infatti, predisposto i disciplinari di produzione per la Mela del Veneto DOP con la sottozona Mela di Verona DOP, l’Asparago di Verona IGP, le Ciliegie delle Colline Veronesi IGP con la sotto-zona Ciliegia della Val d’Alpone, attraverso gruppi di lavoro composti da imprenditori agricoli e operatori della filiera commerciale. La documentazione per l’iter delle certificazioni è stata inviata alla regione Veneto e al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali attraverso l’Associazione Ortofrutta Veneta.»

L’export è stato difficile per il florovivaismo, le carni, i prodotti dolciari e il vino, in parte compensati da pasta, olio di oliva e conserve. Qual è la situazione attuale per l’export agroalimentare veneto?

«L’agroalimentare veneto non è sfuggito alla crisi della pandemia, ma va detto che ha sofferto meno di alcuni settori come industria e turismo. In controtendenza con l’andamento negativo dei conti economici nazionali, infatti, nel 2020 le esportazioni di prodotti agroalimentari hanno addirittura fatto segnare un aumento dell’1,4% a fronte del crollo generale del 10,8% nelle spedizioni all’estero. Dalle analisi di Coldiretti in riferimento ai dati Istat, emerge che il made in Italy enogastronomico ha fatto segnare il record storico sulle tavole di tutto il mondo. Sembra proprio che con il lockdown i consumatori stranieri non abbiano fatto mancare la presenza dei prodotti più tradizionali dell’alimentare made in Italy, che dimostra quindi una grande capacità di resilienza nonostante le difficoltà degli operatori e dell’economia.»

Il Veneto è stata la prima regione a dotarsi di una legge sul Km Zero, che però è parzialmente realtà. Quali passi necessari deve fare la giunta regionale per rendere la legge operativa a tutti gli effetti?

«La crisi del Covid 19 ha sancito il valore del cibo: locale, sano ed espressione del territorio. Per questo la Regione deve cogliere l’opportunità di avviare un’azione importante con interventi che portino, in particolare, le nuove generazioni a cogliere la qualità dell’agroalimentare regionale. Lo ha fatto da amministrazione pubblica pioniera approvando una legge cosiddetta del “KmZero” (L.R.7/2008), che ora ha bisogno di una revisione. Per comprendere il valore identitario serve un forte sistema di tracciabilità all’origine dei prodotti utilizzati nella ristorazione pubblica, affiancandolo a severi controlli volti a verificare la corretta esecuzione degli appalti.

Fondamentale è intervenire in ambito scolastico con un programma di educazione alimentare sostenendo concretamente la dieta mediterranea e le tipicità stagionali. Proprio per il senso etico e sociale che il cibo ha, è necessario attivare iniziative che favoriscano il recupero delle eccedenze alimentari anche, ma non solo, nella ristorazione collettiva, a favore della popolazione a rischio di esclusione e povertà.

Uno spaccato che Coldiretti Veneto ha evidenziato nel documento programmatico sottoposto ai candidati alle ultime elezioni, chiedendo la sottoscrizione di un documento che prevedeva anche l’adeguamento della legge regionale n.11 del 2011 per arginare la povertà e il disagio sociale, attuando un’equa distribuzione delle eccedenze alimentari. Sono utili in questo senso le campagne di comunicazione sui temi della riduzione degli sprechi, favorendo gli aiuti economici e i sostegni umanitari e facilitando le donazioni anche sul piano amministrativo.»

Stando agli orientamenti comunitari e del Recovery Plan, uno dei punti per il rilancio del Paese riguarda la svolta green, specie in ambito energetico, ma l’agricoltura italiana sta pagando pegno per il diffondersi negli anni di aree ad uso agricolo occupate da impianti fotovoltaici. Un caso ultimo è quello del Parco di Loro, nella provincia di Rovigo, per il quale la Sovrintendenza ha posto un veto. Ci può essere una conciliazione tra sviluppo energetico sostenibile e tutela del suolo?

«I dati Istat ci dicono che con la svolta green l’agroalimentare italiano può offrire un milione di posti di lavoro entro i prossimi dieci anni. Prendendo atto della transizione ecologica con l’impulso digitale da sostenere con il Recovery plan, anche il Veneto può giocare la sua partita, forte di una rivoluzione verde che rappresenta un salto culturale imprenditoriale non indifferente. La proposta di piantare in Italia 50milioni di alberi nell’arco dei prossimi cinque anni nelle aree rurali e metropolitane non può che non trovare accoglienza in una regione che conta già la presenza di 10mila ettari di bosco ornamentale in pianura. Una foresta urbana che garantisce l’assorbimento di 20 tonnellate di polveri sottili all’anno prodotte dalla circolazione di 3500 automobili. Coldiretti punta alla creazione di invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua. Il Veneto recupera solo il 5% della pioggia rispetto ad una media nazionale dell’11%, un dato preoccupante che dimostra quanto bisogno ci sia di investimenti in questo campo.

In ambito energetico ci sono degli esempi virtuosi molto recenti, come quello del Comune di Nogarole Rocca che per l’approvazione del regolamento edilizio ha detto “no” agli impianti fotovoltaici a terra. Il provvedimento contrasta ogni possibile impatto negativo al paesaggio agrario e preserva il suolo agricolo dalle coltivazioni di pannelli solari di ampie dimensioni. Si tratta di un importante atto amministrativo che va nella direzione auspicata nella proposta di legge presentata da Coldiretti alla Regione del Veneto, in cui si fissano i paletti per disciplinare in modo restrittivo le installazioni a terra, escludendo in ogni caso tutte le aree agricole e limitando la realizzazione a piccoli impianti in terreni residuali o zone già compromesse.

La superficie agricola regionale ha già “consegnato” circa 230mila ettari a favore di poli logistici, insediamenti commerciali e infrastrutture e ben 671 ettari ai parchi fotovoltaici. Un sacrificio in termini di sottrazione di terra che classifica il Veneto ai primi posti per il consumo di fondo agricolo.

Il provvedimento di Nogarole Rocca prende atto che il modello da perseguire non è l’abbandono dell’attività dell’impresa agricola, per fare posto ad un impianto energetico a terra, bensì la valorizzazione della funzione del produttore agricolo con quella di produttore di energia, nella logica della multifunzionalità, permettendo alla stessa azienda di essere ancor più competitiva e qualitativa nell’obiettivo primario (come già avviene con particolare successo attraverso la produzione del biogas).

Va ricordato, tra l’altro, che il legislatore ha già stabilito il principio secondo cui, entro certi limiti, la produzione di energia rinnovabile elettrica e termica svolta dall’imprenditore agricolo sia riconosciuta come attività agricola connessa, tanto che i redditi conseguiti sono soggetti ad una tassazione di vantaggio. In attesa della discussione del progetto di legge in consiglio regionale, ci aspettiamo che anche altri sindaci imitino il Comune di Nogarole Rocca.»

Si registra in Italia un incremento del 14%, rispetto a cinque anni fa, degli under 35 nell’imprenditoria agricola e dell’allevamento, tanto che l’Italia è leader in Europa per numero di imprese a conduzione giovanile. Sono numeri che non derivano solo dal passaggio generazionale, ma anche descrivono una scelta vera e propria di giovani che si sono orientati all’agricoltura. Dai recenti dati Avepa, però, su un totale di 113.591 aziende agricole venete, il 90% sono comunque ancora gestite da over 40. Le imprese agricole venete stanno ringiovanendo o il turn over è ancora tutto da fare?

«Gli under 35 sono la forza dell’agricoltura veneta e rincuora il +20% registrato da Unioncamere Veneto nell’arco degli ultimi anni, soprattutto tenendo presente che negli altri settori produttivi il calo nello stesso periodo è addirittura del 14%. Da tener presente anche che la realtà giovanile agricola regionale supera l’andamento nazionale che attesta una crescita del 14%. Le imprese agricole venete e veronesi sono soprattutto di tipo familiare e il ricambio generazionale è un tema che Coldiretti affronta con molto interesse: in tal senso ha sviluppato per i propri associati una serie di servizi e di consulenze specifiche per il business family.

Ma questi giovani hanno bisogno di aiuto e il primo insediamento rappresenta lo strumento principale per il ricambio generazionale in campagna, per dare l’opportunità ai giovani di essere titolari di un’impresa agricola.

Le esperienze imprenditoriali avviate dai giovani agricoltori in questi anni si sono realizzate attraverso l’approvazione del 68% delle istanze finanziate, oppure utilizzando risorse proprie. Tale percentuale dimostra che non sono più sufficienti gli stanziamenti europei del Psr e che occorre incrementare con ulteriori risorse la crescente voglia di imprenditoria tra i giovani agricoltori.

Il rischio è che a causa delle risorse insufficienti, un giovane su tre sia obbligato a rinunciare al sostegno per l’insediamento e tale rinuncia può sacrificare un potenziale di progetti innovativi. E’ necessario quindi investire sull’agricoltura, che è un settore strategico per far ripartire l’Italia grazie anche a un esercito di giovani attenti all’innovazione e alla sostenibilità.»

A questa intervista ha collaborato Annachiara Rossi

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