Qualche giorno fa è stato nuovamente prolungata la prigionia egiziana per Patrick Zaky. Nelle stesse carceri rimane pure Ramy Shaath, attivista palestinese; è andata molto, molto peggio al giornalista Ruhollah Zam, impiccato in Iran. Per i pescatori di Mazara del Vallo in mano ai libici, nel frattempo, nulla si muove, anche se in questo caso siamo in un contesto di guerra civile. La domanda che ci poniamo, allora, è: perché azioni di questo tipo non indignano i cittadini egiziani, iraniani, libici? Perché è solo l’Occidente a indignarsi per i diritti umani, patrimonio di tutta l’umanità e frutto di un comune sentire? 

Proviamo a contestualizzare a livello mondiale un discorso sull’identità che, paradossalmente, è al centro della progettualità di paesi come Cina o Russia, ovvero di Stati che puntano senza nemmeno nascondersi all’egemonia mondiale. Per farlo ci viene in aiuto il recentissimo testo di Christopher Coker, “Lo scontro degli Stati-civiltà” (Fazi editore 2020), il quale sottolinea come, in questo particolare momento storico, a sfidare il consolidato modello dello Stato-nazione sia oggi quello degli Stati-civiltà, con proposte profondamente diverse da quella occidentale in tema di rapporto Stato-cittadino e cittadino-diritti. Stati che rivendicano una forte autonomia valoriale, anche in tono polemico, dall’Occidente. E quali sono questi Stati? Alcuni li abbiamo già citati.

La Cina, in primis, rivendica il proprio essere Stato-civiltà perché è una tra le più antiche del pianeta e oltretutto culturalmente autosufficiente; si pone in un’ottica alternativa rispetto all’Occidente, percepito come al tramonto. La via cinese, infatti, non avrebbe intenzione di convertire il mondo alla sua cultura, anzi: in quanto civiltà politica, sarebbe “intrinsecamente pacifica, non espansionistica e non imperialista” e anche il suo sviluppo economico, sociale e culturale sarebbe diverso perché non destinato all’esportazione. Il che solo in parte può apparire rassicurante. A cementare l’idea di una linea ininterrotta di civiltà, che ne giustificherebbe oggi la dignità e l’alterità rispetto alle altre, è il recupero del confucianesimo in una forma rivista e corretta che, ad esempio, demonizza l’individualismo, giustifica la stratificazione gerarchica della società nella logica dell’armonia. Grazie a questo corredo di idee e valori la Cina punta a consolidarsi come “una «civiltà spirituale» unica, fondata sulla tradizione confuciana, che ha sempre dovuto combattere contro le «barbariche forze straniere»”.

Putin nel 2013 ha adottato per la prima volta l’idea della Russia come Stato-civiltà, civiltà in cui la Chiesa ortodossa è un pilastro fondamentale e parte di quella “linea ininterrotta” di civiltà che giustifica le aspirazioni dello stato russo. È una prospettiva ovviamente condivisa dalla Chiesa ortodossa visto che il patriarca Cirillo I ha dichiarato che Putin è “un miracolo di Dio”; incredibilmente, il patriarca ha pure diffidato dal rimuovere il corpo di Lenin dal suo mausoleo. Perché opporsi alla rimozione del simbolo stesso del Comunismo ateo? Perché il nemico non è né l’illiberalismo né il Comunismo quanto piuttosto la “de-russificazione” sottilmente attuata dall’Occidente, che sarebbe il vero e ultimo responsabile delle sofferenze del popolo russo.

Si delinea così uno Stato-civiltà con valori morali, storici e religiosi antitetici a quelli dell’Occidente e che, quindi, non riconosce valore alcuno alla democrazia, alla libertà individuale, persino ai diritti umani che, per la Chiesa russa, sarebbero nulla più che “un’invenzione ebraico protestante”.

E arriviamo ai paesi arabi di cultura islamica. A un pregiudizio antioccidentale, ovvero che “lo spirito crociato corre nel sangue di tutti gli occidentali” come disse il politico egiziano Sayyd Qutb – a ben 576 anni dalla battaglia della Varna – si aggiunge un panorama valoriale fondato sul Corano e distante anni luce dall’Europa. Ad esempio, come sottolinea Coker, la parola “libertà” qui significa semplicemente “non schiavo” e nient’altro: non è diffusa una cultura dei diritti universali. Si pensi per esempio, alle dichiarazioni di Mohamed Abdallah, l’ambulante che consegnò Giulio Regeni ai suoi carnefici: “È illogico che un ricercatore straniero si occupi dei problemi degli ambulanti se non lo fa il ministero degli Interni”.

Che conclusione possiamo trarne da tutto questo? Che si sta diffondendo l’idea di un mondo per il quale non esistono principi umani universalmente riconosciuti. I diritti individuali, la democrazia, l’uguaglianza, la libertà di informazione, il liberismo economico, la globalizzazione di cose, idee e persone sarebbero dunque specifiche culturali della civiltà occidentale e gli altri Stati-civiltà non si sentirebbero in alcun modo vincolati a riconoscerli, anzi: farlo sarebbe un po’ tradire il proprio “spirito nazionale” e subire ancora una volta una sorta di sudditanza culturale dell’Occidente, quasi uno strascico del periodo coloniale. Occidente che, dall’alto della sua storia e del suo passato dominio sul mondo (perché, prima di questo incerto predominio statunitense, per secoli l’Inghilterra ha imposto la cultura europea come modello fin nel profondo Oriente) vuole porsi ancora, se non come primo motore economico, come faro di un insieme di valori civili che pretendono di essere universali, non legati alla storia nazionale ma all’essere semplicemente uomini.

Patrick Zaky

Questo almeno in teoria, perché la realtà ci racconta tutt’altra storia. L’Italia, nel caso Zaky, ha fatto poco o nulla, perché irrilevante sul piano internazionale (e anche per fare qualche soldo con l’Egitto con una commessa militare da 9 miliardi). Però c’è la Francia che il 10 dicembre ha insignito Al Sisi, Presidente della Repubblica egiziana e fondamentale ostacolo alla liberazione di Patrick Zaki, di Ramy Shaath e alla giustizia per Giulio Regeni, della Legion d’Onore (la più alta onorificenza francese) in ragione pure lei di una cospicua fornitura di armi. Proprio la Francia, patria della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e baluardo della laicità. Il che dimostra che, chiacchiere a parte e nobili gesti individuali (si veda la scelta di Corrado Augias, presto seguita da altri intellettuali insigniti della stessa onorificenza, ndr), la tensione universalistica e la superiorità morale dell’Europa si scontrano con una realtà fatta di tribù chiuse nei propri confini nazionali che badano principalmente a farsi gli affari propri, letteralmente.

Che davvero, viene da chiedersi, abbiano in fondo ragione Russia, Cina e paesi arabi nel ritenere che questa sete di giustizia basata sulla superiorità morale dell’homo europeus altro non sia che una forma più sottile di ingerenza politica camuffata da bontà d’animo?

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