I due poli normativi regolatori della vita sociale, civile e politica del mondo greco sono la “norma tradizionale” ovvero il νόμος, (leggi nómos) e la “regola di comportamento individuale” ovvero l’ἦθος, (leggi èthos). La trascrizione di quest’ultima forma però non è immediatamente perspicua e va spiegata. Due infatti sono i termini che hanno un valore affine e però una accezione specifica che corrisponde a due diverse vocali iniziali:● ἦθος che traslittereremo con l’accento grave, èthos, e che rinvia al modo d’essere individuale, persino al tratto personale di agire, quindi anche all’indole,● ed ἔθος, traslitterato con l’accento acuto éthos, che rinvia alla tendenza naturale comune, al comportamento di gruppo, ed esprime un concetto simile a quello del nostro termine usanza, affine anche al concetto che ritroviamo nell’espressione latina Mos Maiorum “lo stile di vita degli antenati”, anche se non ne ha la stessa portata culturale nel contesto greco.

Il più frequente dei due termini è il primo, ἦθος, èthos, che caratterizza la fisonomia personale, soggettiva del comportamento e si contrappone a νόμος, mos che indica invece una norma radicata nella comunità e tale da improntare di sé tutte le scelte politiche di una πόλις lis, la città-stato greca.

Nella tragedia intitolata Antigone, il poeta Sofocle fa dire all’eroina, protagonista che dà anche il titolo al dramma, che le leggi fondamentali della natura – in greco ἄγραπτα νόμιμα (ágrapta nómima), ma anche ἄγραφοι νόμοι (ágrafoi nómoi) “leggi non scritte” – non si sa quando siano state introdotte, perché non da oggi, non da ieri, ma da sempre regolano la vita dell’uomo e sono il cardine della convivenza civile. Esse sono: Venerare gli dei, Onorare i genitori, Obbedire alle leggi della tradizione, Amare gli amici. Antigone grida il suo sdegno in faccia allo zio Creonte autonominatosi reggente della città di Tebe dopo che i due fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice, in uno scontro all’ultimo sangue, si sono contesi il dominio della città, che avrebbero invece dovuto governare alternativamente un anno per ciascuno. Ebbene, Eteocle ha deciso di non dare a Polinice il turno del comando e questi ha armato un esercito che ha assediato Tebe. Alla fine i due fratelli si sono scontrati in duello e si sono uccisi “per propria vicendevole mano”. Lo zio Creonte ha decretato quindi che per Eteocle vi fossero funerali solenni, mentre ha lasciato marcire alle intemperie, preda di animali e uccelli rapaci, il corpo di Polinice, reo di aver attaccato militarmente la patria. 

Antigone si ribella a questa imposizione, decisa autocraticamente dallo zio, e si appella al principio in base al quale nessun fratello può accettare che il fratello sia privato degli onori funebri e che nessuna legge dello stato può andare contro i princìpi non scritti della natura umana

In questa tragedia per la prima volta vengono contrapposte le norme generali che fondano i valori dell’uomo, alla decisione politica, in greco ψήφισμα pséphisma “deliberazione, decreto” (spesso al plurale ψηφίσματα psephísmata), che può anche non rispettare le norme della tradizione e definire nuovi arditi principi regolatori della vita, appunto le leggi scritte o diritto positivo.

Jean-Joseph Benjamin-Constant,
Antigone presso il corpo di Polinice, 1868.
Photothèque Musée des Augustins

Antigone istituisce per la prima volta il confronto fra il νόμος come norma tradizionale e il νόμος come deliberazione laica, politicamente configurata, ovvero espressione della volontà del potere. L’èthos di Antigone, che è il tratto personale specifico dell’eroina, è quello del rispetto dei valori tradizionali e della esigenza di non piegarsi a decreti che violano gli ἄγραφοι νόμοι, le leggi non scritte. Questa iniziale, archetipica distinzione fra la coscienza individuale della persona e la norma generale che regola la vita comunitaria apre nella cultura occidentale un filone di confronti e dibattiti che arriva fino ai nostri giorni. Quali sono le leggi giuste alle quali si deve sempre obbedire: quelle non scritte o quelle scritte? Ma esistono davvero leggi non scritte o, a ben guardare, come avrebbero sostenuto dopo Antigone, alcuni esponenti del radicalismo sofistico greco, le leggi di natura sono solo quelle della forza e della sopraffazione, le leggi “del più forte”?. 

Un vero e proprio groviglio dialettico nel quale si oppongono le antinomie:

ἦθος/νόμος (èthos/nómos); ἄγραφοι νόμοι/νόμοι γεγραμμένοι  (ágrafoi nómoi/ nómoi gegramménoi ovvero “leggi scritte/leggi non scritte”) e su tutto lo spettro del νόμος τῆς φύσεως nómos tès physeos la “legge di natura”, intesa come la semplice e brutale supremazia del più forte. Fino a che punto il progresso tecnologico, economico, culturale e sociale incide sulla sensibilità etica comune, tanto da riconfigurare in nuovi νόμοι, “nuove leggi”, il νόμος primordiale della natura, quello che dovrebbe dare senso e legittimità a tutte le altre leggi? Quali sono dunque i confini fra ἦθος, èthos, e νόμος nómos? Fino a che punto un comportamento è naturale e quando comincia ad essere culturale? Se la natura dell’uomo è la sua cultura, tutto ciò che l’uomo pensa, progetta e decide è quindi da considerarsi naturale, o ci sono limiti che vanno rispettati? Fino a che punto poi è opportuno e corretto richiamarsi alla “legge di natura” se poi questa è più bestiale e ferina di qualsiasi legge “umana”; e che cosa è umano? Sono grandi questioni che oggi sembrano lontane dal dibattito che coinvolge il digitale, l’intelligenza artificiale e le sue applicazioni, la manipolazione biologica e genetica, il rispetto per la natura, l’uso delle energie fossili o rinnovabili, la cura per le foreste e per l’acqua, l’eutanasia e l’opposizione all’accanimento terapeutico, la ricerca medica e la sperimentazione dei farmaci sull’uomo e sugli animali. 

In realtà tutti questi grandi problemi si svolgono su un unico e fondamentale terreno di cultura: quello del rapporto fra comportamento individuale e norma generale, fra ἦθος, èthos, e νόμος, nómos, alla cui dialettica basilare, alla fine, tutto va ricondotto.

Non voglio entrare nel dettagli di alcune problematiche assai delicate, ci basti però rilevare la grande questione che abbiamo sotto i nostri occhi, ovvero la salvaguardia della salute pubblica. Fino a che punto la legge scritta, (il cosiddetto diritto positivo), può dare indicazioni che limitano quello che viene considerato uno dei cardini del diritto naturale ovvero la libertà personale, come, ad esempio, la libertà di ospitare nella propria casa le persone che siano a lui gradite? Se questa libertà mina la salute pubblica, quali sono i vincoli che possono indurre a rispettare il valore della libertà altrui, di cui la salute è uno degli elementi fondamentali? 

Ecco dunque che ancora oggi, nella vita di tutti i giorni sperimentiamo la delicatezza di questa dimensione dialettica, quella della regola individuale e quella della norma collettiva. In questo caso dobbiamo davvero riflettere insieme e capire come si collocano nel sistema dei nostri valori il νόμος nómos che impone la difesa della salute e della vita e l’ἦθος èthos che pretende il rispetto delle sue esigenze di ordinario esercizio di svincolata autonomia e libertà nelle relazioni personali. È evidente: dovremo assumere un èthos nuovo, per dare un senso condiviso alle leggi positive, ai νόμοι γεγραμμἐνοι, alle leggi scritte, ai decreti e alle deliberazioni dell’autorità. Ma siamo tutti d’accordo? E quanta fatica ci costa? Ma soprattutto, chi non si assoggetta alle restrizioni definite per decreto, è sanzionabile? È ammissibile la “tolleranza” in questi casi?

In sostanza tutta la nostra dimensione tecnologica, il nostro grande orgoglio scientifico e la sicumera di certe posizioni politiche e ideologiche dimostrano di essere un poco più che balbettante corredo di nozioni meccaniche ed esteriori, se non si nutrono di un pensiero dialettico e di una interiorità complessa, fondati sulla più grande tradizione della cultura umanistica classica. 

È infatti su questi principi che si regola la capacità di convivere, è su questi valori che l’accordo non viene vissuto come compromesso e la reciprocità non viene percepita come scambio utilitaristico di favori. Ma la strada è lunga e costellata di inquietudini e conflitti. Almeno averne chiara la percezione, forse può essere d’aiuto. La sola cosa da evitare è pensare che queste siano elucubrazioni da sapienti che vivono sganciati dalla realtà. Sono invece riflessioni che sono costate, nella storia, sangue e lacrime e sarebbe da sciocchi buttarle al vento. Dobbiamo in ogni caso stare molto attenti: la nostalgia archetipica del νόμος τῆς φύσεως, come semplificazione risolutiva “del più forte che decide”, è sempre in agguato e pericolosamente attiva.