Il tempo, quando si è grandi, corre più veloce. Quando si è ministri, poi, ancora di più: Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione, nel giro di qualche mese è passata dal sogno di una scuola rinnovata, a tempo pieno, con nuove strutture e nuove risorse – come segnalavamo stupiti il 28 luglio 2020 – al mesto attendere che il tempo risolva da sé la stortura delle classi pollaio.

Per carità, non si può certo pensare che un Governo già di suo traballante e ora alle prese con la pandemia possa rifondare e ridare slancio alla scuola pubblica e, quindi, lascia perplessi l’ottimismo della ministra che solo qualche giorno fa, il 19 novembre, annunciava su Facebook che, in virtù dei nuovi posti del sostegno e un organico invariato, «nel corso di pochi anni riusciremo a tornare ai parametri preGelmini». Detta così sembra logico, ma ci sono almeno quattro elementi da considerare.

L’effetto sul numero degli studenti della denatalità è innegabile: nel 2019, 67 nascite su 100 decessi con un numero medio di figlie dell’1,29 per donna (mentre, per garantire un saldo zero, dovrebbe essere di 2,1). Nell’anno precedente, il 2018, il calo nascite interessava il Centro con un -6,4%, il Sud con un -5,2%, il Nord Ovest con un -4,8%, le Isole con un -4,0% e il Nord Est con un -3%. Le conseguenze ovvie: per l’anno scolastico 2019/2020, ad esempio, le domande di iscrizione presentate nel primo anno delle primarie sono state poco più di 473mila, con una perdita di circa 23mila (-4,6% rispetto all’2018-19); -20mila studenti per il ciclo di scuola secondaria. Nel quinquennio 2014-2019 si è calcolato che al primo anno della primaria si sia registrata una perdita dell’8%, quasi uno su dieci. Quindi le previsioni di riequilibrio della ministra basate sul calo degli alunni sono giustificate? Parrebbe di sì.

Elaborazione tratta dal sito dell’Istat

Ma c’è un ma. L’età media dei docenti è di 49 anni; alle superiori raggiunge i 51. Nell’ultimo rapporto dell’Ocse sull’istruzione, Education at a glance 2019, appare evidente che l’Italia ha la quota più alta di docenti ultra 50enni tra i Paesi dell’Ocse e che dovremo rinnovare circa la metà del corpo docente nel prossimo decennio. Il che significa che, se pure progressivamente si alleggerirà la pressione per le scuole primarie e le medie (secondarie di I grado), l’ultimo grado dell’istruzione obbligatoria (le superiori, ovvero la secondaria di II grado) godrà del calo demografico per ultimo mentre per primo soffrirà per i vuoti lasciati dai pensionamenti. Una combo micidiale.

Senza contare poi che, oltre alla quantità (ovvero l’organico di diritto, che non si tocca oltre agli ultimi innesti sul sostegno, come ha esplicitamente dichiarato) c’è il problema della qualità, legato allo scemare dell’attrattività della professione per i giovani di talento, specie nell’aria scientifica: in una società che non vuole più maestri, che ritiene la categoria dei docenti una classe di privilegiati e fannulloni e che per questo meritano di essere pagati poco (16esimo posto in Europa), non si vede chi dovrebbe raccogliere il testimone di questo cambio generazionale. Facilmente si abbasserà l’asticella della selezione assumendo insegnanti non all’altezza o demotivati sull’onda dell’emergenza, con conseguenze facilmente immaginabili, come dicevamo tempo fa dalle colonne di questo giornale.

Ultimo punto, che sembra collaterale ma non lo è. La ministra sottolinea lo sforzo economico nella manovra finanziaria per l’edilizia scolastica: molto bene. Se però, proprio come Lucia Azzolina sognava, vogliamo edifici scolastici adatti alla modernità non basta più dare una mano di bianco o riparare un infisso: si tratta, invece, di demolire le strutture obsolete (quasi tutte) e di costruirne di nuove anche in sostituzione delle strutture storiche nei centri cittadini, pensate per una didattica adatta ai tempi di Giolitti. Scuole fatte come? Con quali spazi? Che tipo di didattica dovrebbero favorire? Come dice la ministra, scuole aperte alla cittadinanza, alla relazione e responsabilizzanti per gli alunni? Ma se fino a 18 anni non possono nemmeno uscire senza i genitori! Per i grandi progetti servono grandi sogni e qui mancano l’uno e l’altro (e non abbiamo neppure toccato la questione delle risorse). A meno che…

Raccontano di Guido Buffarini Guidi, ministro degli Interni della RSI, che una volta dichiarò apertamente che «per noi la partita è perduta e che si trattava solo di resistere il più possibile e senza modificare nulla e senza nulla tentare” (Silvio Bertoldi, Salò, Milano 2000).

Chissà se, tra i non detti della vita e della politica, tutto questo alla fine non giocherà a favore della DAD (didattica a distanza) travestita da DDI (didattica digitale integrata) perché, è evidente, un professore online può gestire uno, nessuno, centomila studenti, con risparmio di stipendi e strutture. Siamo rimasti sempre in attesa, governo dopo governo, di un orizzonte ideale condiviso e un progetto a lungo termine ricco di ambizioni ed ora, invece, l’attuale emergenza potrebbe rivelarsi solo una grande ed inattesa prova generale del nostro declino.

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