Tutto iniziò quarantacinque anni fa, il 24 marzo 1976, quando a Buenos Aires un consiglio di militari composto dal generale Jorge Rafael Videla, dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e dal brigadiere Orlando Ramón Agosti tolse con la forza il potere a Isabella Peròn. Le Forze armate avevano preso il controllo dello Stato e da quel momento in poi, con un’azione programmata, venne avviato lo sterminio di migliaia di argentini, con arresti clandestini e omicidi di massa. “Processo di riorganizzazione nazionale”: così venne chiamato il “progetto”.

Era, al contrario, terrorismo di Stato duro e puro, senza precedenti nella storia dell’Argentina, una nazione che pure era abituata ai golpe, avendone subiti ben sei dagli anni ’30 fino a metà degli anni ’70 del XX secolo.

Jorge Videla

La maggior parte delle sparizioni si verificò nei primi tre anni di dittatura, dal ’76 al ’79. Quasi trentamila, secondo le organizzazioni per i diritti umani, furono le persone che scomparvero all’improvviso e non fecero mai più ritorno a casa. Si tratta di lavoratori, studenti, intellettuali, professionisti, persone note per la loro militanza politica e sociale, ma anche semplicemente persone segnalate o citate nelle terribili sessioni di tortura. La maggior parte di loro fu prelevata nelle proprie case di notte, in operazioni che spesso includevano il saccheggio della stessa casa per simulare e depistare l’opinione pubblica. In seguito quelle stesse persone vennero a loro volta torturate e seviziate e coloro che non sono morti subito ha poi dovuto attendere il “trasferimento”, quello che poi di fatto risultava essere una mera esecuzione sommaria. Molti cadaveri – non tutti – sono poi stati trovati per le strade, sepolti in cimiteri senza alcun tipo di identificazione, bruciati in fosse comuni o gettati in mare dagli aerei. Non ci sono mai state esecuzioni ufficiali, perché erano tutte clandestine. Perché ufficialmente in Argentina, dal 1976 al 1983, non ci furono morti: soltanto persone scomparse. Desaparecidos.

Quella dittatura, come tante altre peraltro più o meno sanguinose, non mancò di appoggio esterno. In primis, ovviamente, quello degli Stati Uniti di Henry Kissinger che finanziò e pilotò il golpe attraverso la CIA. Ci fu, naturalmente, anche l’appoggio dello stesso Cile di Pinochet – a sua volta aiutato dagli USA soltanto tre anni prima per un analogo golpe – e, clamorosamente, della Francia di Giscard d’Estaing, che riconobbe quel regime. La Chiesa cattolica, salvo qualche eroica eccezione pagata con la vita, benedisse a suo modo la repressione, santificata e “attraversata dalla fede”. Lo stesso Jorge Mario Bergoglio, l’attuale Papa Francesco, ha avuto un rapporto diciamo poco “limpido” nei confronti della dittatura, anche se poi con la sua storia personale ha avuto modo di riscattare quel periodo decisamente oscuro della sua vita. Ma quell’episodio di barbarie e degrado politico non sarebbe stato possibile senza il sostegno di ampi settori della popolazione argentina. Un po’ come ai tempi del nazifascismo, il “non sapere” e il “girarsi dall’altra parte” la fecero da padrone in quel periodo, per paura e per convenienza. E quell’appoggio silenzioso degli argentini fu uno dei fattori vincenti di quel regime politico. E quei 30mila desaparecidos di quel periodo rappresentano una ferita che non si potrà mai rimarginare nella società del Paese sudamericano.

Le madri di Piazza de Mayo

Per fortuna di fronte al silenzio e all’occultamento dei delitti è sorta nel tempo una resistenza efficace, quella che si proponeva sostanzialmente di far conoscere a tutti l’entità di quella strage. Un gruppo di donne degli scomparsi – madri, mogli, sorelle, figlie, nonne – ha cominciato a incontrarsi ogni giovedì in Plaza de Mayo a Buenos Aires con l’intento di “reclamare” i propri congiunti. Hanno cominciato a ballare, silenziosamente, da sole, simboleggiando in quel modo il loro atroce dolore, causato dal silenzio involontario delle vittime, inghiottite letteralmente in un “buco nero” da cui non sono mai più tornati. Con coraggio quelle donne hanno occupato i posti lasciati vuoti da chi doveva effettivamente occuparsi di quel genocidio. A cominciare dalla Comunità Internazionale, che per lungo tempo si è girata dall’altra parte, pur sapendo perfettamente cosa stava succedendo a quelle latitudini. All’inizio quelle donne furono sole a combattere la propria battaglia. Poi la loro vicenda ha cominciato a far paradossalmente “rumore”, sempre di più, travalicando i confini nazionali.

L’Argentina vince i Mondiali giocati in casa nel 1978

Dai vergognosi Mondiali di Calcio del ’78, i cosiddetti Mondiali della Vergogna, dove il globo intero accorso alla corte di Videla, fece finta di nulla, a parte qualche sparuta delegazione di giocatori di Svezia e Olanda che cercarono di capire – recandosi a proprio rischio in Plaza de Mayo – cosa stava effettivamente succedendo in quel Paese fino ad arrivare alla clamorosa sconfitta nella guerra delle Falkland/Malvinas, il conflitto con la Gran Bretagna che dopo appena 74 giorni si concluse con la resa incondizionata il 14 giugno 1982. Tutti fattori che alla lunga minarono la solidità della dittatura, che cominciò finalmente a vacillare. Tanto che subito dopo si tornò a un governo liberamente scelto dal popolo argentino e qualche tempo dopo, il 10 dicembre 1983 – Giorno della restaurazione della democrazia – si celebrò finalmente il ritorno ufficiale in carica del presidente Raúl Alfonsín, del parlamento e delle amministrazioni locali democratiche. Ma la ferita rimase aperta e quei morti e quelle scomparse gridavano ancora vendetta.

La Junta militare protagonista del Golpe del 24 marzo 1976

Si arrivò così, fra pressioni internazionali e spinte interne, a un vero e proprio processo pubblico alla Junta, iniziato nell’aprile 1985. Il processo, durato fino alla fine di quello stesso anno, non chiuse i conti pendenti all’interno della società argentina e a distanza di molti anni si ritrovano nelle carceri del grande Paese sudamericano ancora centinaia di prigionieri militari con l’accusa infamante di aver perpetrato in quel periodo omicidi e torture. Dato che la massiccia violazione dei diritti umani ha avuto numerosi appoggi e dato che la democrazia aveva comunque bisogno di incorporare questi gruppi, a cominciare dalle Forze Armate, in Argentina hanno dovuto compiere uno sforzo enorme per bilanciare quella necessaria integrazione con la memoria, la memoria vivente di chi è stato testimone oculare di quei fatti e che non può o non riesce a perdonare. D’altronde, al di là della presenza in vita di chi ha vissuto sulla propria pelle quei drammatici eventi, gli storici hanno e avranno sempre questo fondamentale compito: quello di analizzare i fatti per comprenderli e trasmetterli alle generazioni future. Perché esattamente come è successo con l’Olocausto ebraico, prima o poi i testimoni saranno tutti defunti e sarà allora importante aver tramandato in modo corretto ciò che è successo all’epoca. Affinché non accada mai più.

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