Lockdown fatigue è il termine inglese coniato da solerti psichiatri per riassumere gli effetti dell’isolamento forzato sulle persone. Si tratta di stati d’ansia di vario grado, come la paura di incontrare altre persone per timore del contagio, ma anche sindromi ossessivo-compulsive che portano ad esempio a lavarsi continuamente. Ci sono poi caratteri minori, come l’accumulo di cibo, la pigrizia e l’abuso di social media, vera e propria dipendenza dei nostri tempi. Non sarebbe neanche troppo grave se sui social si potessero trovare soltanto fatti, numeri, certezze; in quel caso, l’uso e perfino l’abuso potrebbe essere visto positivamente. Se conosci il nemico, sei in grado di affrontarlo o evitarlo. E invece, social sono diventati la pattumiera dove finiscono le sgaùje (“immondizia” in dialetto veronese, ndr) del nostro e altrui cervello; sono invasi da disinformazione, mezze verità, addirittura mezze frasi e parti di discorsi estrapolate dal contesto e proposte come dogmi, stravolgendone però il senso originario. Fare un doppio controllo sul web è molto più faticoso di premere su “condividi” e così trovano molta più visibilità le bugie della verità, scomoda e punzecchiosa come un’orrenda poltrona di rattan.

Abbiamo tutti almeno un contatto che ha orgogliosamente copia-incollato sul suo profilo frasi ormai celebri: “dittatura sanitaria di un Governo non eletto” oppure “guarda in Germania se hanno lo stato di emergenza” o anche “un altro lockdown? questi incompetenti ci porteranno alla morte, altro che virus del raffreddore, ma pensa al cancro quanti in più ne ammazza ogni giorno”. E spesso, seppur notevoli e creative, le lacune grammaticali sono il problema minore e ci viene il dubbio che chi scrive o riporta con leggerezza queste boiate (scusate ma non trovo un termine più elegante e altrettanto efficace) ci sia rimasto sotto, a quell’affaticamento da lockdown di cui sopra.

Basta infatti aprirsi appena al mondo per comprendere come la situazione che viviamo noi italiani sia in tutto simile a quella di tanti altri stati, vicini e lontani. Noi facciamo resistenza eroica alla mascherina, mentre in quasi tutta l’Asia tale presidio è raccomandato/imposto da anni. Parliamo di Stato assassino per le ripercussioni sull’economia e il lavoro – la paura più comune, per tutti (sì, anche bancari e statali) – e le iniziative del nostro Governo rabberciato, zoppicante e, diciamolo, probabilmente lontano dal rappresentare il popolo, vengono prese ad esempio e copiate in tutto il mondo democratico. Scomodiamo la dittatura, senza pensare a quei Paesi dove davvero i carri armati presidiano le strade e la polizia fa rispettare il coprifuoco sparando proiettili veri, altro che carabiniere di quartiere. Sullo stato d’emergenza cascano proprio le braccia a pensare che l’Irpinia è ancora in stato d’emergenza dai tempi del terremoto, che in Italia, col suo bicameralismo lento e farraginoso, lo stato d’emergenza è in realtà lo stato normale, l’unico modo per veder introdotte norme urgenti. Al famoso detto “piuttosto che niente, meglio poco” vorremmo aggiungere che anche quel poco non serve a nulla, se arriva tardi.

La nostra idea di essere soli, gli unici a vivere certe situazioni negative, si scontra quindi con la semplice realtà. In Europa, sono molti i paesi dove il contagio viaggia molto più velocemente che da noi, dove sono già stati reintrodotte chiusure parziali delle attività economiche, o veri e propri lockdown per aree ristrette geograficamente ma enormi come peso specifico (pensiamo alla Ile-de-France, ad esempio). L’utente medio dei social legge che in Inghilterra i pub sono di nuovo chiusi, che l’Olanda ha fatto lo stesso con ristoranti e coffee shop; legge queste notizie e non pensa, guarda hanno scelto la stessa via dell’Italia ma in modo ancora più pesante. No, l’utente medio posta sarcastici messaggi sul virus che uccide solo di sera. Ragionare un momento, comprendere come la scelta dell’orario sia legata alle attività produttive, al mantenimento di posti di lavoro, alla rinuncia del solo superfluo, dedurre infine che sia per minimizzare ove possibile la crisi economica e quella umana; questo pare impossibile.

La mappa qui sopra mostra la circolazione del virus nei Paesi europei, sulla base dei dati che ogni singolo membro è ora tenuto a fornire ogni due settimane all’ECDC (il Centro Europeo per il Controllo Sanitario); un bel cambiamento rispetto al caos di inizio anno, sia per la quantità delle informazioni, che per la qualità, visto che sono state introdotte linee guida vincolanti, così da rendere i dati comparabili e analizzabili senza problemi di disomogeneità. Ogni Stato fornisce in tempi definiti il numero dei nuovi casi ogni 100mila abitanti dei 14 giorni precedenti, il numero di test per 100mila abitanti di ogni settimana e la percentuale dei positivi. Ogni area geografica viene quindi colorata in base alla concentrazione dei contagi e sarà possibile coordinare misure di contenimento integrate tra gli Stati e le regioni confinanti. Lo scopo ultimo della Commissione europea è evitare le chiusure dei confini che lo scorso marzo hanno complicato non poco il movimento dei presidi sanitari e delle merci in generale, preferendo rendere obbligatorio il tampone all’ingresso per chi arriva da zone rosse alla rinuncia a Schengen tout court. Praticamente, guarda un po’, la stessa idea applicata dall’Italia quest’estate per chi rientrava da vacanze nei paesi a rischio, ma in tutta l’Europa. L’idea di un approccio comunitario si dovrà confrontare con la realtà di una pandemia su cui esiste un’unica certezza, la sua imprevedibilità. Secondo il sito della Johns Hopkins University sono oltre 4 milioni i casi tra Europa e Regno Unito nel 2020 e oltre 700mila i nuovi contagi dell’ultima settimana, l’aumento più ripido dall’inizio della crisi. Se la situazione dovesse peggiorare è evidente che tornerebbe il rischio di individualismi, con i Paesi a procedere in ordine sparso.

Coprifuoco e chiusure parziali o totali sembrano essere gli strumenti scelti da tutti i colleghi europei, già operative in Francia, Regno Unito, Olanda (arrivata di gran corsa al podio per nuovi contagi, che vede Repubblica Ceca e Belgio ai primi due) e in finalizzazione nei Laender tedeschi, dove si sfiorano i 5000 casi giornalieri. Tutti Paesi che sono già in uno status giuridico simile a quello “d’emergenza” italiano, perfino la Spagna, dove la Corte Suprema l’aveva annullato viene reintegrato, insieme a limitazioni di spostamento e la regola delle 6 persone che vale anche da noi. Si prova davvero tutto per evitare un secondo lockdown economico, le cui conseguenze possiamo facilmente immaginare; specie perché la cosiddetta seconda ondata ha di fatto distolto l’attenzione del Parlamento europeo dalle votazioni sul bilancio pluriennale, su cui si insiste a non trovare una convergenza, con il rischio concreto che il pacchetto di aiuti e prestiti agli Stati membri non possa essere operativo prima del 2021. Insomma, volete fare i populisti negazionisti fancazzisti da social? Fatelo pure, ma allargate gli insulti e la demagogia a tutta Europa e buona parte del mondo: stanno (e stiamo) tutti andando nella stessa direzione, tranne voi.