Ed è arrivato il grande giorno dell’esame di Stato. Dopo mesi di tira e molla su esami online o in presenza, quanti commissari, quante prove, da ieri finalmente si è entrati nella parte che conclude l’ultimo ciclo della scuola dell’obbligo.

Un esame, come si sa, diverso da quelli vissuti dagli studenti degli anni precedenti: niente prove scritte, solo una prova orale. In effetti, al mondo della scuola è mancato il solito avvincente “toto-nomi” sulle tracce della prima prova di italiano. Per molti, però, lo spauracchio della seconda prova, più complessa, è stato scansato. Di fatto, consiste in un colloquio su tutte le materie a partire da un elaborato – prodotto dall’alunno – legato alla materia di indirizzo, sull’Alternanza Scuola-Lavoro (ora PCTO) e sulla materia che, secondo il Governo giallo-verde, dovrebbe impedire il degrado morale delle nuove generazioni, ovvero Cittadinanza e Costituzione.

Sicuramente una prova, per certi versi, alienante e rassicurante. Alienante per il contesto: protocolli di entrata ed uscita, distanza, professori non più a breve distanza con mascherine e, per i più ligi, visiere in plastica. D’altra parte, i commissari, tutti interni, sono una garanzia per (quasi) tutti i maturandi e certo il presidente esterno, data la situazione eccezionale del funesto anno scolastico 2019-2020, non sarà particolarmente puntiglioso. Forse anche per questo contesto più “famigliare” molti studenti sentono una certa preoccupazione riguardo la percezione del proprio titolo di studi nel mondo del lavoro. Preoccupazione che, nella realtà, non tiene conto del fatto che l’esame certifica un percorso quinquennale e non una singola performance.

Ascoltando i loro racconti, effettivamente si percepisce sì la tensione per la prova e poi per l’esito ma, confrontandola con le esperienze delle generazioni passate, pure che l’intensità, l’emozione vissuta non è proprio la stessa: la mancanza di commissari esterni diminuisce di molto la variabile rischio a meno che, con i docenti curricolari, non si abbiano rapporti tesi. E se l’intensità è minore, lo è pure la durata, mancando una settimana buona di prove scritte.

Insomma, un esame più semplice (per la nostra percezione, ovviamente) e psicologicamente più leggero, cosa buona per dei ragazzi che da febbraio non hanno più un contatto diretto con i docenti e, forse, ripreso da poco con i loro compagni. Per l’anno prossimo si vedrà: se, infatti, la proposta delle Regioni punta a cancellare l’odiatissima Didattica a distanza (DaD) ripristinando il rapporto umano e garantendo 2 metri quadrati ad alunno – in attesa delle linee guida del Ministero dell’Istruzione -, si dovrà certo ancora tener conto dell’evoluzione del virus e di eventuali recrudescenze.

Chissà che, per gli alunni dell’anno scolastico 2020-2021, non sarà di nuovo possibile cantare tutti assieme, allegri ma tremebondi, “Notte prima degli esami” (Venditti cordialmente ringrazia).