Nove anni fa, nel 2011, furono molti i Paesi del bacino del Mediterraneo ad essere travolti dal desiderio di libertà e di democrazia del loro popolo, tanto che in alcuni casi si arrivò – grazie a quella rivoluzione definita “dei telefonini” – addirittura a destituire (in Egitto, in Tunisia e in Libia) i presidenti-dittatori che avevano per anni vessato i propri cittadini. Gli effetti di quella che all’epoca venne definita “la Primavera Araba” non sono stati particolarmente positivi, visto che in alcuni casi hanno portato a vere e proprie guerre civili (come in Libia) o alla restaurazione di fatto di un potere centrale nuovamente autarchico e poco democratico (come in Egitto). L’avvento dell’ISIS e di Daesh, negli anni successivi a quel 2011, e la grave crisi economica mondiale che ha condizionato il resto del globo d’altronde non hanno di certo favorito le condizioni per un vero e proprio processo democratico che non appartiene nemmeno al DNA culturale di queste popolazioni del nord Africa o del Medio Oriente, che quindi tendono a faticare il doppio per riuscire a raggiungere quelli che per gli occidentali sono gli obiettivi minimi di buona convivenza. Gli interventi dell’Europa in questo senso, come l’aver favorito la destituzione di Gheddafi in Libia da parte della Francia di Sarkozy salvo poi dover affrontare una grave crisi interna libica che porterà, probabilmente, alla disgregazione di quello Stato, è l’esempio più lampante. Per alcuni anni si è parlato (e molto anche) della Siria e della grave crisi sociale in cui ha dovuto versare per anni la gente di Damasco e dintorni. Ricorderete, fra l’altro, la tragica morte avvenuta proprio in Siria del giornalista statunitense James Foley, la cui atroce esecuzione nell’agosto del 2014 venne filmata e usata per terrorizzare il mondo occidentale delle reali intenzioni del Califfato. Ma di Siria, in generale, se n’è parlato a lungo per la guerra civile in corso, per gli enormi interessi economici dell’area e, più recentemente, anche per le mire espansionistiche del Premier turco Erdogan e non solo.

Bashar Assad, il dittatore siriano

La dinastia degli Assad è al potere da cinquant’anni, prima con il padre Hafiz e poi con il figlio Bashar e nonostante anche in Siria la popolazione abbia tentato di sovvertire le sorti del proprio destino, Assad è ancora lì a tiranneggiare il proprio popolo, favorito dall’aiuto di Iran e Russia. Un destino triste per i siriani, che cercano di opporsi in tutti i modi a questa dittatura, anche a costo di rimetterci la vita. Non a caso nel Paese sono numerosi i casi di esecuzioni e rapimenti “di Stato”, atti che prendono di mira gli elementi più rivoluzionari della popolazione. Una metodologia usata da sempre dal dittatore Assad per “contrastare” i dissidi interni e scoraggiare ogni tipo di “opposizione”, ma che negli ultimi anni ha assunto, tristemente, proporzioni inimmaginabili. Si tratta di migliaia e migliaia di persone (fonti attendibili parlano di 100mila casi solo negli ultimi nove anni) che, esattamente come i “desaparecidos” argentini e cileni ai tempi – negli anni Settanta – delle dittature di Videla e di Pinochet scomparirono a migliaia, improvvisamente vengono inghiottiti in un silenzio fisico e psicologico da cui non riemergono più. Sono inutili le battaglie dei loro famigliari, che cercano invano di ottenere informazioni da un governo, quello di Assad, che è diventato nel tempo un muro di gomma. Un fenomeno gravissimo, che sta privando queste persone delle proprie vite e i loro affetti di mariti, mogli, padri, madri, figli, fratelli e sorelle che viene generalmente ignorato dalla comunità internazionale. Una comunità internazionale che evidentemente non riesce a trovare il modo per intervenire in maniera efficace su un territorio complesso, dal punto di vista politico e sociale, anche per gli interessi e le forze in gioco. Che hanno ben presto trasformato una rivoluzione civile interna in una guerra internazionale di posizione.

middle east map picture

Stiamo parlando della già accennata Russia o dell’Iran, ma anche degli Stati Uniti (che si sono inseriti nella questione appoggiando i ribelli contro il regime), di Israele, ma anche della lontana Cina o della vicina Turchia. Nazioni interessate, sia chiaro, non tanto al destino dei siriani, vera vittima sacrificale di questo gioco al massacro, ma delle ricchezze energetiche del Paese o della posizione strategica, visto che proprio attraverso il territorio siriano dovranno passare le forniture di gas e petrolio provenienti dal Caucaso e dintorni. E nel frattempo quel popolo, di circa 20 milioni di persone, ha visto l’immane tragedia di centinaia di migliaia di morti e di milioni (si parla di almeno sei, anche se sembra una cifra sottostimata) di profughi, accalcati ai confini con la Turchia o il Libano.

Padre Paolo Dall’Oglio

Per oltre trent’anni un gesuita romano, Padre Paolo Dall’Oglio, è stato al fianco della popolazione siriana con la sua opera di evangelizzazione e soprattutto sostegno alle comunità più povere del Paese. Ha fondato (nel 1982) e gestito per oltre trent’anni il monastero di Mar Musa, che promuove il dialogo fra cristianesimo e Islam e ha concretamente cercato – spendendosi in prima persona – di sensibilizzare la comunità internazionale (fra cui anche il nostro governo) nei confronti di quella sfortunata popolazione, incapace in questo momento di reagire alla presenza di tanti eserciti e milizie sul proprio territorio e incappata in un periodo – che dura da nove anni – di guerra senza fine. Purtroppo il 29 luglio del 2013 Padre Dall’Oglio, che nella sua opera di sensibilizzazione pochi mesi prima, nel febbraio dello stesso anno, era venuto anche a Verona a raccontare la sua esperienza e quella del popolo siriano, è stato rapito e da allora non si è saputo più nulla di lui. Pur sconsigliato aveva cercato un contatto con l’emiro Abdulrahman Al-Faysal, personaggio di spicco dell’Isis che Padre Dall’Oglio aveva cercato di avvicinare per convincerlo a non ostacolare la rivoluzione siriana per la libertà. Un tentativo per la sua gente, finito purtroppo nel peggiore dei modi. Una situazione drammatica, che lascia per certi aspetti ancora qualche flebile speranza di trovarlo in vita, anche se realisticamente è probabile che ci abbia già lasciati. Padre Dall’Oglio era al fianco del popolo siriano anche nella battaglia di Raqqa, conquistata in quel periodo da Daesh, e cercava di aiutare i giovani abitanti di quella città nella resistenza, spirituale e psicologica, di quella situazione di oppressione. Insieme a Padre Dall’Oglio, però, sono morte o scomparse migliaia di persone e nel documentario che inaugura ufficialmente la sesta edizione di Mediorizzonti, la rassegna di cinema mediorientale che cerca di raccontare attraverso il cinema e da un punto di vista diverso da quello dei soliti stereotipi quel mondo così lontano ma anche così vicino al nostro, saranno protagonisti. Stiamo parlando di “Ayouni” della regista Yasmin Fedda (l’immagine di copertina è un fotogramma del documentario).

Un frame del film “Ayouni”

Un documento importante, che racconta una vicenda fino ad ora semisconosciuta e che oltre a Padre Dall’Oglio, raccontato attraverso le parole della sorella, si focalizza su quella di un altro uomo, un giovane informatico strappato alla sua vita e alla moglie, i cui occhi grandi e pieni di dolore sanno raccontare più di mille parole. Tutti protagonisti di un film da cui emerge prepotentemente, però, il vero unico protagonista secondo le intenzioni dell’autrice, che è il silenzio: il silenzio di chi scompare, il silenzio del governo di Assad o di chi dovrebbe e potrebbe dare almeno le informazioni minime a chi rimane, il silenzio della stampa asservita al governo o di quella internazionale, distratta da altre notizie, il silenzio della comunità internazionale, che non riesce a trovare il modo per imporsi nei confronti di un regime assolutamente incurante del suo popolo. Il silenzio, infine, di chi rimane e spera, attaccato magari alla speranza più flebile ma pur sempre capace di smuovere coscienze. Un atto d’accusa importante, che sarà possibile ammirare al Cinema Teatro Nuovo, alle 20.30, questa sera, lunedì 12 ottobre.