Come ormai su tutti i giornali, Verona sarà la prima città ad accogliere il progetto del dottor Giovanni Serpelloni, Direttore del Servizio Dipendenze (SerD) della Ulss 9, e a effettuare test anti-droga a scuola. Alla base di questa decisione, la notizia allarmante riportata dal dottor Serpelloni, per cui il 30% dei ragazzi veronesi farebbe uso di droga, così come la dichiarata necessità di creare una base di dati statistici per meglio adeguare le politiche future. L’iniziativa ha trovato subito l’accordo con l’amministrazione scolastica e l’appoggio del Comune.

Dott. Serpelloni

Sembra a prima vista una buona idea, fatta da un medico di grande esperienza, che non è nuovo a collaborazioni con la politica. Il dottor Serpelloni fu infatti coinvolto direttamente nella “Legge Giovanardi-Fini” (che equiparava sullo stesso piano il consumo di droghe leggere a droghe pesanti), da molti contestata e poi dichiarata addirittura incostituzionale. È stato per anni membro di varie commissioni ministeriali per il contrasto all’AIDS e alle droghe, con incarichi di alto livello. Più recentemente, ha ottenuto un reintegro presso l’Unità Sanitaria Locale scaligera, nonostante le varie azioni giudiziarie nei suoi confronti, civili e penali, alcune ancora in corso. E proprio in queste ore, è giunta notizia della condanna in primo grado a 7 anni e 6 mesi di reclusione inflitta a Serpelloni dal giudice Sperandio per il caso “Ciditech”, relativo a comportamenti illegittimi sull’uso di un software al tempo di proprietà della stessa Ulss (al tempo Ulss 20).

Sembra poi inusuale che, a Verona, un tema di grande importanza sociale e fondamentale per le famiglie venga sostenuto invece dall’Assessorato alla Sicurezza Pubblica, traslando di fatto il problema dal potenziale aiuto ai consumatori, in favore di un presunto contrasto alla criminalità – a cui però il drug test nelle scuole non sembra poter dare alcun contributo concreto. Dichiarare nel Protocollo (di cui abbiamo ottenuto il testo) che “non vi è il minimo intento repressivo” sembra insomma in contrasto con l’appoggio dichiarato della polizia di Stato e municipale, con l’uso di cani antidroga e di una raccolta del campione a vista. Cerchiamo quindi di approfondire la questione e trovare risposte, oltre a quelle emerse nelle interviste al dottor Serpelloni e al dottor Lugoboni, Direttore di Medicina delle Dipendenze presso l’Azienda Ospedaliera di Verona.

Dott.ssa Molinaro

Se una decisione viene presa sulla base di una statistica, quel terribile 30%, e trattandosi di una scienza duttile a mostrare la parte di verità che più interessa, diviene basilare consultare fonti inattaccabili (che riportiamo a fine testo – NdA). Ci aiuta la dottoressa Sabrina Molinaro, Ph.D. in Epidemiologia e Ricerca presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CERN di Pisa, referente e coordinatrice di ESPAD®Italia, progetto che da oltre vent’anni analizza i consumi psicoattivi e altri comportamenti a rischio tra gli studenti di età tra 15 e 19 anni, inserito a sua volta nell’ESPAD europeo, che raccoglie i date provenienti da 35 Paesi, focalizzando la sua analisi sulla fascia d’età dimostratasi critica per la cosiddetta “prima volta”, i 15-16 anni.

L’età d’iniziazione alle sostanze tossiche

Anche nel protocollo Serpelloni viene indicata questa stessa età come la più efficace in cui fare educazione e prevenzione, dichiarando però insufficienti i metodi passivi, in cui si attende che il ragazzo si presenti ad un consultorio con il problema, con il rischio che ciò avvenga troppo tardi; meglio un approccio proattivo, che miri a individuare chi usa droga, informare le famiglie e ottenere la loro collaborazione fin da subito. Ecco perché il progetto si rivolge ai minorenni.

Della Relazione Annuale che viene presentata da ESPAD®Italia al Parlamento Italiano, cogliamo prima di tutto il dato generale sulla frequenza d’uso delle sostanze psicoattive.

La frequenza d’uso

Come evidente dal grafico, ci sono grandi differenze tra chi ammette di aver assunto droga una sola volta nella vita e coloro che ne fanno uso abituale. «Gli adolescenti sono residenti digitali – commenta la dottoressa Molinaro – crescono immersi nella rete, in contatto virtuale e indirizzati non più verso oggetti da possedere ma verso un’emozione da consumare. Ecco che assumere sostanze psicoattive o mettere in atto altri comportamenti rischiosi per la prima volta è visto come un “debutto in società”. Se vogliamo entrare nel dettaglio dei consumi più diffusi, troviamo che il 90% dei consumatori occasionali usa una sola sostanza e per quasi tutti la scelta cade sulla cannabis; il 7% ne consuma saltuariamente almeno tre; il restante 3% fa uso di più sostanze. Oltre ai rischi noti di un “classico” illegale, vanno considerati anche quelli legati alle sostanze nuove e sconosciute, cui si ricollegano le NPS o smart drugs, “droghe furbe” perché al confine tra legalità e illegalità, e al consumo contemporaneo di più sostanze».

È in un certo modo confortante notare la distanza tra quel 33% in alto e il 3,8% degli studenti italiani fa uso abituale di droghe, ancor di più notare il calo lento ma costante a partire dal 2014. Segno evidente che le iniziative di informazione e prevenzione fin qui condotte incontrano sempre maggior successo.

Le sostanze “consumate”

Nel rapporto dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e Tossicodipendenze (EMCDDA – ente nel cui CdA ha militato per anni il dottor Serpelloni), il confronto con gli altri Paesi vede l’Italia allineata con le medie europee per quanto riguarda le sostanze psicoattive, mentre esiste un distacco peggiorativo per quanto riguarda tabacco e alcolici. In una sua analisi sulla pubblicazione scientifica “Sestante”, la dottoressa Molinaro sottolinea come «Quando parliamo di poli-uso sarebbe corretto non prescindere da queste sostanze. Di fatto, le sigarette rappresentano il primo, pericoloso svezzamento ai comportamenti a rischio, mentre l’alcol è per molti adolescenti la prima esperienza di sballo, alla base delle cosiddette “abbuffate” psicoattive».

Esiste poi una componente di rischio aggiuntiva, di tipo sociale, se i ragazzi italiani bevono per la prima volta vino e birra mediamente sui 13-14 anni, nella gran parte dei casi in un ambiente sicuro come la famiglia; si avvicinano ai superalcolici verso i 15 anni e alla stessa età sperimentano la prima ubriacatura. Un terzo degli studenti dello studio italiano riferisce di essersi ubriacato almeno una volta nel corso dell’ultimo anno, mentre uno su dieci dice di farlo almeno una volta al mese. Fa piacere quindi leggere che i partecipanti al protocollo verranno sottoposti a un test delle urine su dieci sostanze (THC, eroina e suoi sintetici, cocaina, benzodiazepine, amfetamine, MDMA) ma anche all’alcol test. Certo, mentre le urine potranno risalire fino a diverse settimane prima del prelievo, un “palloncino” fatto di mattina potrebbe non rilevare nemmeno quanto bevuto una o due sere prima; ma è importante che questa sostanza, che per i minorenni è illegale tanto quanto l’eroina e il metadone, venga almeno portata alla loro attenzione come pericolosa.

Renzo Segala

L’esame degli studi ufficiali sembra confutare alcune delle tesi in premessa del dottor Serpelloni, sia per quanto riguarda l’entità del fenomeno (fortemente ridimensionata), che per la necessità di raccogliere dati, visto che esistono già, liberamente consultabili e certificati. Proviamo quindi ad analizzare gli altri due obiettivi cui tende il progetto: l’azione di educazione e prevenzione sui nostri ragazzi e “incrementare nei ragazzi la disapprovazione sociale verso l’uso di droghe, l’abuso alcolico e il tabagismo”. Lo facciamo con l’avvocato Renzo Segala, da anni impegnato con gli l’associazione “Avvocato di Strada” e quindi a contatto con il tessuto sociale più fragile di Verona.

«Tecnicamente, un prelievo fatto su base volontaria, con libertà di rifiutarsi e in totale anonimato, con la preventiva autorizzazione dei genitori per i minori, è legale. – commenta – Temo, però, che i genitori non siano sufficientemente preparati a comprendere l’importanza del tutelare la privacy dei propri figli, forse attratti dalla possibilità di sapere cosa combinano». Aggiungiamo che il protocollo in diversi punti cita la volontarietà, ma la stessa appare compromessa dalla norma per cui, in caso di rifiuto “non si procede con il test e si avvisano i genitori”, delegittimando di fatto il ragazzo a decidere con la sua testa. Vi sono, però, anche diversi rimandi al DPR 309/1990 che regolamenta le attività di prevenzione in ambito scolastico, i centri di ascolto e consulenza, e regolamentano, a tutela dell’interessato, la garanzia di anonimato e di oblio informatico, così come fissa i limiti di una segnalazione ai servizi sociali.

Resta da capire come tutto questo possa perseguire il citato scopo educativo. «Sinceramente, io non ne vedo – continua Segala – Credo che per gli insegnanti dovrebbe essere irrilevante conoscere quanti alunni si drogano per impostare un programma di informazione efficace, che deve invece raggiungere tutti, a prescindere dal bisogno attuale o potenziale. E gli alunni, beh loro non hanno certo bisogno di subire un controllo invasivo per sapere se si sono drogati negli ultimi 30 giorni, o di vedere l’ennesima distinzione tra i ‘bravi’ che fanno il test e i ‘cattivi’ che si rifiutano; alla faccia dell’anonimato, vediamo ogni giorno come le notizie tra ragazzi corrano veloci, perfino troppo. Quel che gli serve, semmai, è sentire quali sostanze creano dipendenza, quali sono gli effetti a medio lungo termine, che si può restare fregati e soprattutto come fare per uscirne».

prevenzione

Esiste una meta-analisi dell’Osservatorio Europeo che integra numerosi studi condotti nei college americani ed evidenzia come sia dimostrato che il test obbligatorio a scuola non ha alcun effetto sulla diminuzione dell’uso di droga tra gli studenti. Addirittura, le limitate informazioni reperibili (sia nel numero che nella qualità), l’invasività del processo e la reazione avversa che si scatena nei ragazzi hanno in effetti suggerito la totale inutilità di tali protocolli. Questo approccio trova d’accordo l’avvocato Segala: «Parliamo di minori, ragazzi in una fase delicatissima in cui formano la propria identità e si preparano a diventare cittadini di domani. Normalmente un minore viene costretto a fare il test, comunque in presenza di un garante, solo se si presume il reato. Qui niente, ragazzi normali vengono sottoposti a quella che è una procedura di polizia, senza tutele, equiparandoli di fatto ai delinquenti da cui diciamo di volerli proteggere. Per me è un progetto inutile ai fini dichiarati e pericoloso a tutto tondo. Vengono raccolti dati sanitari estremamente sensibili, di soggetti ancor più sensibili, per quella che sembra soltanto una sperimentazione scientifica in ambito scolastico fine a se stessa».

E i ragazzi cosa ne pensano? È sorto spontaneamente un gruppo dal nome dichiarativo di Collettivo De-Testateci, mentre il Blocco Studentesco esprime “totale contrarietà all’uso di qualsiasi droga. L’idea in questione sembra fine a stessa, prevede il consenso quindi chi veramente fa uso non si sottoporrà. Sarebbe meglio agire preventivamente sul problema, aumentando l’azione sui piccoli e grandi trafficanti”.

Parlando con alcuni ragazzi delle superiori all’uscita di scuola, l’intero progetto viene bollato come una grande manovra pubblicitaria, forse con scopi politici o per promesse elettorali. Sostengono che nessuno si proporrà volontario, non per paura del risultato ma proprio perché è un abuso. «Non capisco il senso – dice una ragazza – di raccogliere dati già disponibili e poi in questo modo. Secondo me, non otterranno niente: se il test è davvero volontario, chi si droga non lo fa e il risultato sarà assurdo, lontano dalla realtà». Al recriminare che i genitori potrebbero imporre il test, interviene un altro: «Eh ma allora il problema sono i genitori che non guardano o non ci vedono, non so; sicuramente non ascoltano e parlano con i loro figli. Se hai un figlio eroinomane e non te ne accorgi, forse è meglio che lo fai tu un test». Sono giovani e spensierati, hanno le cuffiette nelle orecchie ma, a quanto pare, anche le idee molto chiare.

Fonti:

  • Relazione Annuale al Parlamento sul Fenomeno delle Tossicodipendenze in Italia – Anno 2019 (dati 2018) a cura di ESPAD®Italia
  • Relazione Europea sulla Droga 2019 – a cura di EMCDDA (Osservatorio Europeo delle Droghe e Tossicodipendenze)
  • Drug Testing in Schools – EMCDDA Papers – a cura dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e Tossicodipendenze
  • Protocollo Drug Test 2020 e Modello Proattivo CIC 2019-20