Il centrosinistra a Verona è uscito con le ossa rotte dalle elezioni amministrative del 2017. Non ha saputo approfittare di una guerra “fratricida” in seno al centro destra tanto che, come tutti ricordano, la candidata Orietta Salemi non è riuscita neppure a raggiungere il ballottaggio finale, a cui hanno infine partecipato Patrizia Bisinella e Federico Sboarina, oggi Sindaco della città. Una situazione – che per chi conosce bene la realtà cittadina – può anche risultare non particolarmente sorprendente, visto l’orientamento generale degli elettori veronesi, ma che è per certi aspetti indicativa di un evidente problema di comunicazione fra i cittadini e quella parte politica che oggi si trova all’opposizione a Palazzo Barbieri. Diego Zardini, deputato veronese, da noi interpellato qualche settimana fa all’indomani delle elezioni regionali – che hanno visto la schiacciante vittoria di Luca Zaia – ha parlato di un cambiamento di mentalità e di un maggiore radicamento sul territorio, necessario per poter quantomeno mettere in difficoltà un centrodestra che, dal canto suo, nelle cosiddette regioni “rosse” (Emilia Romagna, Toscana) pur perdendo ha recentemente messo in difficoltà l’establishment locale. Ne parliamo con Tommaso Ferrari, consigliere di minoranza ed esponente di punta di quel movimento civico,  Traguardi, che in questi anni anche grazie ad una battagliera squadra di giovani, ha saputo ritagliarsi un ruolo importante nel territorio scaligero, con tante iniziative che l’hanno avvicinato ai cittadini.

Ferrari, partiamo dall’intervista di Federico Benini del PD Verona concessa alcuni giorni fa a “Verona In”. Benini si è un po’ lamentato della mancanza di stampa libera a Verona, che penalizzerebbe il centrosinistra. Un’accusa pesante. Che ne pensa?

«Io credo che il problema non sia la stampa libera o non libera. Attenzione a non avere la sindrome di quelli che perdono la partita e danno la colpa all’arbitro. Bisogna chiedersi anche perché una certa parte di Verona faccia fatica a finire sui giornali. Forse non c’è mai stato un progetto appetibile e allettante tale da interessare davvero la stampa. Sono d’accordo che, in certi frangenti e soprattutto su alcuni dossier importanti, sia mancato un vero dibattito cittadino, ma questo dibattito a dirla tutta non c’è mai stato nemmeno nelle aule consiliari.»

Benini in quella stessa occasione ha parlato di”ambiente” come possibile cavallo di battaglia del PD. Un’idea che voi portate avanti da tempo. 

«Io credo che sull’ambiente come su tante altre cose non si debba fare populismo. Non credo che un certo tipo di “ambientalismo”, tanto per cominciare, abbia fatto davvero bene all’ambiente, anzi… in molti casi ha creato addirittura contrasti fra ambientalisti e non ambientalisti, il che ha persino peggiorato le cose. In termini generali non bisogna pensare all’ambiente come sola tutela. Va pensato certamente anche come tutela, ma soprattutto come sviluppo. Occorre concepire una visione complessiva della città, che deve essere flessibile ai cambiamenti ambientali e attrattiva per vivibilità e fruibilità turistica, creando posti di lavoro e, in generale, ricchezza. In questi termini se ne può parlare.»

E cioè? 

«Quando noi parliamo di ambiente e di adattamenti climatici parliamo di condizioni di vita minime per i cittadini. L’esempio degli allagamenti a Verona è pregnante. Tramite l’accesso agli atti che ho richiesto, abbiamo verificato che in effetti non si è mai fatto negli ultimi quindici anni nessun tipo di intervento che potesse aumentare la capacità della nostra rete fognaria, così come non esistono studi sulle zone spesso allagate, come Veronetta, e su come eventualmente risolvere il problema. Non esiste, a dirla tutta, nemmeno uno studio sulle caditoie. E questo perché in generale si pensa che tutto ciò che ha a che fare con l’ambiente è argomento di serie C. Spesso sull’ambiente si fa un po’ di show, ma poi all’atto pratico…»

Cosa manca secondo lei a Verona? 

«La premessa è che Verona è immobile rispetto a un contesto europeo e mondiale che, al contrario, va molto veloce. Verona è una città che, dal dopoguerra in poi, si era abituata alle grandi decisioni. Parlo di grandi interventi strutturali, ristrutturazioni importanti (come quella di Castelvecchio, nda) o della realizzazione del palazzetto dello sport negli anni Ottanta e via dicendo. Tutte opere che dimostrano che chi governava all’epoca a Verona pensava in grande e aveva una visione forte, di chi voleva, appunto, andare veloce. Ecco, io credo che i patrimoni che ci sono stati consegnati, se la città si ferma, alla lunga li perderemo. Noi invece dobbiamo rimetterci in moto, rinnovare, ricominciare a correre. Ripensare a progetti infrastrutturali importanti e rimettere al centro la tematica di una città che produce ricchezza e che attiri insediamenti produttivi di qualità. Una città che, come detto, scommette sull’ambiente in termini di vivibilità e creazione di posti di lavoro e che certamente metta nel dialogo il terzo settore e le categorie produttive per creare insieme una visione unica di città. Verona tornerà a crescere se riuscirà a mettere insieme formazione, in primis Università ma pensiamo anche all’Accademia delle Belle Arti, e istituzioni e in questo senso il Comune di Verona deve avere un ruolo attivo. Bisogna fare sinergia per scommettere sul nostro futuro. Ci vogliono progetti ambiziosi, che però mancano da molto tempo.»

Il Sindaco Sboarina, nei giorni scorsi, ha presentato il progetto di ricollocazione del casello autostradale di Verona Sud. Un progetto ambizioso, che donerà un nuovo volto alla Zai. 

«È sicuramente un progetto importante, ma l’impressione, ancora una volta, è che manchi una visione organica della città, d’insieme. La città non si può cambiare a pezzi. L’amministrazione deve avere, secondo noi, una visione univoca e non cambiarla “step by step”. Dobbiamo ragionare a monte su quali interventi vanno fatti e come vanno fatti. Devono essere in ambito culturale? Nel centro storico? Nei quartieri periferici? Legati al turismo? Alle imprese? E con quali prospettive?»

A proposito di cultura, in queste settimane la Giunta sta presentando, in varie e spesso suggestive location della città, il progetto “Verona Capitale della Cultura 2022”. Sono molte, in questo senso, le novità in arrivo… 

«Alcuni progetti sono stati davvero interessanti, ma anche in questo caso la sensazione è che si sia di fronte a una serie di “pezzetti” fra loro scollegati. Noi di Traguardi, subito dopo l’insediamento dell’attuale amministrazione, abbiamo organizzato un importante evento – a cui aveva partecipato anche Paolo Verri, Direttore di Matera, Capitale Europea della Cultura 2019 – per spingere la candidatura di Verona per il 2021 (poi, a causa dello slittamento per il Covid-19, diventato “2022”, nda). Volevamo dare un messaggio chiaro e cioè che Verona può concorrere a Capitale della Cultura se investe soprattutto in quello che non è. Accanto a progetti legati al passato come quello a Castel San Pietro, si deve parlare di cantieri, di rinnovamento, di spazi. Cosa che viene anche fatta, per carità, ma non chiamerei quest’operazione – come ha fatto qualcuno – “rigenerazione urbana”, perché quel concetto racconta qualcosa di diverso e ha dietro un processo ben più complesso e partecipato di ciò che si è visto fino ad ora a Verona. Io credo ci sia un grande equivoco e cioè che tutto ciò che è nuovo viene definito “culturale”. Non c’è per niente, a Verona, questa forte identità. E invece secondo noi la Cultura è rappresentata, ad esempio, da una città che promuove i diritti, sperimentando frontiere che attualmente qui non vengono solcate.»

Cosa intende?

«Se vediamo il panorama culturale attuale, si può dire che Verona tende ad adagiarsi su ciò che c’è sempre stato. Non si esplorano nuove frontiere, per non parlare di esibizioni, di mostre. Si potrebbe investire molto di più in questo settore. Siamo con Traguardi fra i fautori della proposta di creare la Fondazione dei Musei Civici, con un netto distacco rispetto all’attuale situazione, dotandola di autonomia di budget e gestione, che oggi non c’è. Quando parliamo di Capitale di Cultura, poi, si deve parlare anche di turismo, che deve essere una parte del tema, anche se ovviamente non la totalità. Anche in questo le politiche turistiche a parole hanno sempre affermato l’idea di differenziare il turismo a Verona dalla valorizzazione delle solite quattro vie del centro storico, ma quello che poi è costantemente mancato fino ad ora è stato il coraggio di fare scelte diverse, più audaci.»

Ad esempio quali?

«Si sarebbe dovuto lavorare su idee nuove, coinvolgendo maggiormente il tessuto associativo della città, uscendo dai sentieri già tracciati e considerando questa occasione per integrare l’offerta culturale cittadina con ciò che attualmente manca. A ben guardare il ricco dossier stilato per la candidatura a Capitale 2022 ci si rende conto che quelli presentati oggi sono in realtà tutti progetti preesistenti, nella gran parte dei casi elaborati e gestiti da enti o istituzioni diversi dal Comune. Questo non è un male in sé, ma tradisce una generale mancanza di progettazione: sono stati raccolti, insomma, una manciata di progetti già approvati e in corso di realizzazione, spesso in ballo da anni, e si è messa loro addosso l’etichetta della Capitale della Cultura. In una competizione come questa, purtroppo, scorciatoie di questo tipo non pagano. A questa stortura è connesso anche l’approccio sbagliato con cui l’amministrazione si è avvicinata alla competizione. Ripetere in continuazione, come fa ad esempio il Sindaco, che Verona è già capitale della cultura per conto suo non soltanto è segno di un campanilismo un po’ trito, ma anche sintomo della consapevolezza da parte dell’amministrazione che si sta presentando un progetto debole. Una excusatio non petita, che servirà per dire, se alla fine Verona non vincerà, “che in fondo a noi va bene così”. Come se la città, che ha sicuramente molte potenzialità in ambito culturale, fosse già a posto così com’è, senza bisogno di integrazioni alla sua offerta.»

Ferrari in Consiglio comunale

Lei è da tre anni consigliere di opposizione. Che idea si è fatto, in base a quest’esperienza, della città? 

«Verona è città straordinaria. Il più grosso patrimonio che ha sono i veronesi. Ho accennato prima al terzo settore, che è il nostro fiore all’occhiello, così come lo è tutto il comparto produttivo del commercio, dell’artigianato, del settore agricolo, tutte realtà con enormi potenzialità. Pensiamo anche alle tante associazioni culturali che innervano il nostro territorio, che però ha tradizionalmente grossa pecca, e cioè quella di non riuscire a “fare rete”. Per rimettere in moto Verona serve mettere al centro i veronesi. Quella società civile che lavora per Verona. Non si può pensare di farla ripartire con logiche di parte, ma serve sforzo complessivo.»

Il centrosinistra può raccogliere consensi, soprattutto in un momento in cui la destra veronese pare ancora molto divisa al suo interno? 

«Io credo che in questa città serva un progetto credibile, concreto, basato su valori e programmi chiari. Bisogna, però, uscire dalla dalla logica degli steccati che ci ha accompagnato nella storia più o meno recente ed è questo il vero punto su ci siamo fortemente impegnati come Traguardi. Verona, per noi, è una città “contendibile” al centrodestra. Molti cittadini sono scontenti di questo immobilismo e non vogliono tornare indietro. C’è, peraltro, un’intera classe dirigente che era a Palazzo Barbieri già con Tosi, a cominciare dal Sindaco. Mettiamo al passato ciò che è passato, in maniera inequivocabile. Dobbiamo guardare al futuro.»

A proposito di Tosi, c’è stato chi, recentemente, ha ventilato l’ipotesi, per il centrosinistra, di un’alleanza, magari al ballottaggio, proprio con l’ex Sindaco. Cosa ne pensa? 

«Le interlocuzioni con il passato non possono esistere. Per noi Tosi non è un interlocutore. Lui ė il passato e noi guardiamo al futuro. La città ė cambiata e il mondo ė cambiato e le ricette che ha in mente, secondo noi, appartengono semplicemente al passato. Per moltissimi punti di vista non riteniamo soddisfacente la sua visione amministrativa a partire dall’idea urbanistica. Come facciamo, d’altronde, a mettere l’ambiente al centro con lui come alleato? Dobbiamo pensare in termini di valori chiari e stilare un programma concreto in cui ci si possa ritrovare con qualsiasi interlocutore. Non per forza, ripeto, nei soliti steccati storici, che hanno spesso reso programmazioni innovative alla fine molto velleitarie. Bisogna avere l’ambizione che si possa da una parte creare qualcosa di nuovo e dall’altra conservare e valorizzare i patrimoni già esistenti della città. Mettendo al centro la società civile.» 

In conclusione…

«Per rimettere in moto la città di Verona bisogna uscire dalla “politica del giorno dopo”. Dobbiamo abbandonare la logica dell’incasso (dei voti) e programmare gli interventi che servono veramente a questa città, con coraggio e puro senso del dovere.»