Nizza, Avignone e Vienna sono i teatri dei recenti attacchi terroristici. Consumati nel giro di qualche settimana, hanno riportato a galla una paura che in realtà non è mai stata spenta. Più che paura si direbbe panico dilagante e sospetto senza remore: nessuno si fida più di nessuno, nemmeno del prete. Il terrorismo può essere in agguato ovunque. È, infatti, un povero sacerdote che, all’inizio del mese, viene indicato come martire dei fedeli di Allah: all’uscita della chiesa greco-ortodossa di Lione viene giustiziato a colpi di fucile. In realtà aveva “solo” tradito la propria consorte con la moglie dell’assassino e il delitto si rivela un cliché databile alla scoperta del fuoco, di cui sono piene le cronache giudiziarie e i romanzi rosa: matrice passionale. Nessun atto terroristico. 

Evento sintomatico, una sovrapposizione degna di un’opera di Camilleri in cui niente è come sembra. L’allarmismo si rivela sproporzionato ma cela un fondo di verità, un fenomeno da non sottovalutare perché in crescita. L’allerta per una possibile serie di attentati è molto forte e Emmanuel Macron lo ha capito perfettamente. C’è di più: è quello maggiormente spaventato perché la sua Francia è minacciata mentre l’Europa guarda a braccia conserte. Tre giorni fa, in visita alla frontiera franco-spagnola, chiede di rivedere lo spazio Schengen e annuncia il raddoppio delle forze ai confini dello Stato per arginare la minaccia terroristica, i traffici e l’immigrazione illegale (da 2.400 a 4.800 agenti). L’obiettivo è cambiare le regole del gioco e sottrarre alla Francia il ruolo di capolista come primo Paese di immigrazione secondaria. A lungo termine, si guarda a una nuova disciplina che regoli la libera circolazione nello spazio comune europeo battezzata dalla presidenza francese all’Ue fissata per il 2022. Nelle terre transalpine sono giorni di polemica che finiscono per infiammare anche l’opinione pubblica italiana perché il terrorista che alla fine di ottobre ha accoltellato tre persone nella basilica Notre-Dame di Nizza è un tunisino sbarcato a Lampedusa. Ha poi raggiunto la Francia per commettere l’attentato. Bruxelles allora si è convinta e, in risposta all’invito di Macron, ha fissato per dicembre la riunione della Commissione Europea per rivedere le coordinate che disegnano il trattato di Schengen. Di concerto con il Patto sulla migrazione, sarà discusso il rafforzamento dei controlli e delle frontiere esterne. 

Così come per i “Decreti sicurezza” approvati dal nostro Consiglio dei Ministri (ultimo quello del 6 ottobre) si sta perdendo di vista un elemento chiave che rischia di far naufragare il planning europeo: l’immigrazione è uno dei veicoli di diffusione di terroristi, non è il flusso primario con cui si insinua il terrorismo. Immigrato non equivale a terrorista. Infatti, secondo uno studio recente condotto dal professor Claudio Bertolotti per l’ISPI (Istituto di Studi Politici Internazionali), solo una minoranza marginale di migranti provenienti da Stati a prevalenza musulmana può essere associata all’aumento del terrorismo nei Paesi ospitanti. Contro ogni previsione, sono i giovani di seconda e terza generazione – quindi nati in Europa come figli e/o nipoti di immigrati – ad aderire alla chiamata di al-Qa’ida. In percentuale sono maschi giovani e non sposati. Secondo un sondaggio condotto da Europol dal 2014 al 2019, solo 44 rifugiati o richiedenti asilo giunti irregolarmente in Europa sono risultati coinvolti in 32 complotti jihadisti. La radicalizzazione estremista di questi soggetti è avvenuta prima dell’ingresso nello spazio di Schengen. Il vero nodo critico è la complessa rete di organizzazioni criminali e terroristiche che gestiscono i traffici di esseri umani, armi, petrolio e droga. In particolare in relazione a Libia e Tunisia. Questa criminalità organizzata ha uno snodo internazionale e finanzia il terrorismo: terreno fertile negli ultimi anni è la confusione istituzionale del nord Africa. Il terrorismo è un’attività economica strutturale legata a fattori culturali e, solo in seconda battuta, alla migrazione. La cattiva gestione dei flussi da parte dell’Ue ha contribuito a peggiorare la situazione. L’incapacità di gestire soggetti irregolari ha reso vulnerabili i Paesi del mediterraneo e ha acuito le tensioni sociali creando terreno fertile per atti di estrema violenza. Nella lotta al terrorismo, quindi, è centrale un atteggiamento preventivo basato su strumenti culturali e di inclusività razziale. L’immigrazione è il fenomeno più travolgente di questo secolo ma occhio a non sovrapporlo con la criminalità terroristica: questioni complesse date da molteplici fattori di cui solo alcuni in posizione di causa-effetto. Bloccare l’immigrazione non vuol dire debellare il terrorismo.