Adesso c’è una porta alla quale i familiari di vittime della strada possono bussare per trovare ascolto. Le chiavi sono state consegnate martedì scorso a Patrizia Pisi, responsabile per Verona dell’Avisl onlus, l’associazione vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità. Lo spazio di ascolto si trova invece al pianoterra di Palazzo Barbieri, che oggi ha aperto per la prima volta e resterà a disposizione ogni giovedì dalle 16 alle 19, su appuntamento, chiamando al 349.7023699.

Un obiettivo raggiunto e perseguito per più di due anni, sulla scia di un’esperienza che Patrizia ha attivato per il bisogno di condividere la propria vicenda con altre donne e mamme, che come lei avevano perso un figlio in un incidente.

«Ci sono voluti 12 anni da quando il mio Alberto ha perso la vita per capire che sono una donna forte. Ma lo sono diventata perché ho cominciato ad aiutare le altre. Volevo con tutte le mie forze uscire da quel vortice in cui continuavo a stare male.»

Alberto insieme alla mamma Patrizia
in una foto di famiglia

La tragedia di suo figlio, un ragazzo di 17 anni, è stata una completa rivoluzione personale, costellata di eventi negativi come la perdita del lavoro e la sensazione di essersi completamente persa. «Il mio capo mi chiedeva quando sarei tornata in ufficio, ma io non sapevo nemmeno come mi chiamavo – racconta Patrizia -. In ogni passo del mio cammino verso una qualche rinascita, però, mi sono sentita guidata. Ho deciso di intraprendere con uno psicologo un percorso difficile, doloroso ma necessario, e ho continuato a sperare che la luce in fondo al tunnel un giorno sarebbe comparsa.»

Quella sensazione di assenza di appigli, di essere una spettatrice della propria vita, che ogni cosa non andasse bene per lei, «nemmeno andare in cimitero», e poi la difficoltà a essere compresa e accolta totalmente anche da parte di alcuni familiari, dagli amici, l’ha accompagnata per tanto tempo.

«Così un giorno ho cominciato a telefonare alle mamme, come me iscritte all’Avisl. Non è stato immediato, però poi mi hanno aperto simbolicamente la porta proprio perché ero come loro. Dal telefono siamo passate con alcune agli incontri di persona, prima con due donne al bar, poi al centro commerciale perché il gruppo si allargava. Quindi ho chiesto alla circoscrizione se potevo avere una sala civica dove riunire più persone, e in poco tempo ho fatto incontri periodici in tutte le circoscrizioni perché c’è tanto bisogno di condividere. C’erano serate in cui partecipava anche un centinaio di persone».

Al centro, Patrizia Pisi tra il sindaco Federico Sboarina e l’assessora
al patrimonio Edi Maria Neri

L’approdo al Comune di Verona è quindi un risultato importante: primo sportello in Italia dedicato all’ascolto dei familiari che hanno perso un proprio caro sulla strada, o come vittima di malasanità e per incidente sul lavoro, sarà l’occasione per Patrizia Pisi di costruire una rete anche con le altre città.

«Questo progetto nasce in modo autonomo rispetto all’Avisl, un’associazione che ha lottato tanto per ottenere il riconoscimento del reato di omicidio stradale e con cui mi spendo come referente per Verona, affinché le vittime della strada non siano banali numeri da leggere sul giornale – specifica Patrizia Pisi -. Dietro quelle notizie c’è una tragedia enorme, che continua nel tempo e può diventare causa anche di suicidi, di morti dal dolore. Saremo familiari di vittime per tutta la vita, una realtà da cui non si guarisce. I lutti stradali sono violenti, improvvisi, a elevato impatto traumatico. È uno tsunami che ti getta dentro a un tunnel e devi solo pregare per riuscire a venirne fuori. Per questo credo che l’ascolto sia indispensabile e mi impegnerò perché l’esempio di Verona si diffonda in altre città».

Dal silenzio in cui si cerca di nascondere il dolore, lentamente si sono alzate anche le voci dei padri, dei mariti. «Inizialmente la complicità con le altre donne ha favorito il dialogo, comunque difficile, però queste mamme, queste mogli erano da sole – continua Patrizia -. Un giorno chiesi a mio marito Stefano di venire con me, perché sarei tornata tardi da un incontro e non mi andava di essere da sola. Da quel momento iniziarono ad arrivare anche gli uomini, che oggi trovano in lui una persona che li può capire e ascoltare.

I padri spesso non parlano, altri soffocano il dolore e non accettano che la propria compagna lo esprima. Purtroppo molti credono che fingere di non soffrire sia una soluzione per non andare fuori di testa.»

Tanto attivismo ha portato Patrizia – che tiene sempre il telefono acceso per le sue «sorelle nel dolore», come le definisce – a ottenere, insieme all’Avisl, l’intitolazione della prima piazza in Italia per le vittime della strada nel 2017 e, nel marzo 2019, della sala polifunzionale di via Mincio, nella quarta circoscrizione, a suo figlio Alberto Benato. Iniziative che hanno lo scopo di rompere il silenzio civico intorno a queste vittime e a ricordare l’importanza della guida responsabile.

«Mi stupisco ancora se ripenso a quel giorno in cui arrivarono genitori e famigliari anche da altre città per esserci vicini e salutare mio figlio – ricorda Patrizia -. C’era preoccupazione perché poteva essere pericoloso gestire tante persone, forse ottocento, che volevano recarsi sul punto in cui Alberto è stato investito. Invece andò tutto al meglio, nonostante fosse in piena curva su una strada di passaggio. Ecco, è in questi casi che mi sento guidata e che capisco di dover andare avanti aiutando gli altri.»