In questi giorni è stato reso pubblico il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) della Germania che, insieme a quelli predisposti dagli altri paesi europei, compreso quello italiano, andrà a comporre il Piano Europeo 2030 per la transizione energetica del continente.

Due sono gli elementi che colpiscono di primo acchito gli osservatori e che fanno intuire come il loro piano sia in effetti il loro strumento per primeggiare nelle tecnologie che governeranno nel futuro.

La prima sorpresa deriva dall’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030. A fronte di una richiesta dell’Europa di ridurle del 40% rispetto al 1990, la Germania si è imposta di raggiungere il 55%.

Sembra apparentemente una azione di poco conto ma, a fronte di un obiettivo europeo già sfidante, raggiungere il 55% significa sviluppare prima di altri Know how competitivi nel campo delle energie rinnovabili, della gestione delle reti non solo 5G, nella digitalizzazione, nei materiali innovativi, nella organizzazione sociale, della sanità e welfare, che permetterà loro di competere in tutto il mondo. Insomma tutto quello che serve per realizzare efficienza energetica e introduzione delle fonti rinnovabili. Un chiaro messaggio agli altri paesi dell’Unione Europea!

La seconda sorpresa è la scelta di puntare sull’idrogeno verde come ulteriore vettore energetico rinnovabile insieme al fotovoltaico, all’eolico e al biometano.

L’idrogeno verde si produce con l’elettrolisi dell’acqua utilizzando energia elettrica rinnovabile, si differenzia dall’Idrogeno blu, non rinnovabile, che deriva dai  combustibili fossili (steam reforming).

Delle potenzialità dell’idrogeno verde tutti ne parlano da tanto tempo ma nessuno si era mai spinto, come sembra fare adesso la Germania, sino ad inserirlo nella propria strategia energetica di medio lungo termine.

Il punto di forza principale dell’idrogeno è la sua versatilità di utilizzo.  La possibilità di usarlo come carburante pulito per auto e aerei, la funzionalità come accumulo di energia per bilanciare domanda e offerta di elettricità, materia prima in vari processi chimici e industriali come ad esempio sostituto del coke di carbone nella siderurgia, nei cementifici.  

Per produrlo dovranno installare però numerosi elettrolizzatori alimentati da energia solare che scomporranno l’acqua in ossigeno e appunto idrogeno. Il problema che dovranno risolvere sarà quello di trovare siti idonei per catturare sufficiente energia rinnovabile per mantenerli operativi.

Noi italiani siamo colpiti anche dalle dichiarazioni convergenti e complementari dei ministri tedeschi che hanno presentato il programma. Sono intervenuti congiuntamente i ministri dell’Economia e Energia, dell’Ambiente, dei Trasporti e Infrastrutture, dell’Istruzione e Ricerca e persino il ministro della Cooperazione e Sviluppo per parlare del proprio ruolo nel progetto e per spiegare quanto  l’elemento strategico, almeno inizialmente, prevalga sull’aspetto economico.

Su quest’ultimo in particolare Gerd Müller ha dichiarato:  «La strategia prevede anche lo sviluppo di impianti in Nord Africa per la ricchezza della risorsa solare per questo, insieme al Marocco, stiamo sviluppando il primo impianto industriale per la produzione di idrogeno verde in Africa». Qualche idea su come risolvere i problemi sembra che ce l’abbiano!

Non può inoltre sfuggire, coincidenza significativa e non casuale, l’annuncio contemporaneo della Thyssenkrupp, il più grande produttore tedesco di acciaio,(la nostra Ilva/Mittal per intenderci), di aver raggiunto un accordo con l’utility tedesca Rwe per la fornitura di idrogeno verde allo scopo di sostituire il carbone che alimenta i suoi altiforni per produrre acciaio.

Anche noi siamo impegnati nella stessa direzione ma attorno al nostro PNIEC,  spedito alla commissione europea nel gennaio di quest’anno, è difficile per ora vedere analoga chiarezza, determinazione e unità di intenti. Sembra il risultato di tanti piccoli e grandi compromessi fra vecchi e nuovi interessi. Non resta che sperare che la discussione europea e la competizione con gli altri stati ci porti a superare titubanze, resistenze, perplessità.

Nel nostro piccolo, a Verona siamo in attesa del PAESC (Piano Azione  Energia Sostenibile e Clima), la traduzione a livello locale dei piani europei, che il Comune sta elaborando nelle sue segrete stanze. Avremo così modo di valutare come pensiamo di raggiungere l’obiettivo di riduzione emissioni CO2 cittadine del 40% al 2030.