Ci siamo: con l’approvazione in Giunta comunale, è iniziato l’iter procedurale che porterà al cambio di destinazione d’uso della ex sede di Unicredit in via Garibaldi 1. Il palazzo, venduto  alla illustre catena internazionale di alberghi “Marriott”, diventerà un albergo “di lusso”. 80 milioni gli investimenti previsti. Sembrerebbe una bella notizia, in tempi magri. Eppure, subito si sono levate diverse voci contrarie, dagli albergatori veronesi alle opposizioni. Cos’è che non va?

Il “Piano Folin”

Partiamo dall’inizio. Alla fine del 2019 il professor Marino Folin, dello Iuav di Venezia, presenta alla città uno studio commissionatogli da Fondazione Cariverona. L’obiettivo aziendale è quello di valorizzare economicamente una serie di immobili, anche prestigiosi, che pesano inerti sul bilancio della Fondazione. L’idea forza del progetto è quella di concepire le operazioni di natura immobiliare come tasselli di una ambiziosissima strategia di rilancio turistico-culturale e congressuale della città. Tra essi infatti, c’è anche Castel San Pietro e Palazzo del Capitanio, in Piazza dei Signori, da destinare a funzioni espositive; e Palazzo Forti, da destinare ad attività di “alta formazione culturale”. All’albergo si aggiungerebbe un mega Centro congressi da 1800 posti, sempre nelle ex sedi della banca. Una Verona che esalterebbe, in questo modo, le sue vocazioni più profonde, commercio e turismo, rivitalizzando il tessuto socio-economico del Centro storico grazie alla nuova qualità dei servizi offerti.

Il mercato alberghiero e l’identità del centro storico  

Tutto bene? Iniziamo dagli albergatori. Costoro, durante il regno di Paolo Zanotto (2002-2007),  riuscirono a fare inserire nel Piano di Assetto Territoriale (un documento urbanistico applicativo) una norma che impediva l’ampliamento dell’offerta ricettiva alberghiera nel centro storico. La limitazione artificiale della concorrenza veniva e viene giustificata da due argomenti: l’esigenza di non desertificare questa area pregiata della città e quella di evitare un eccesso di offerta alberghiera. Mah. Uno degli effetti collaterali della clausola è stato l’aumento vertiginoso di B&B: in diversi casi – si dice – di proprietà degli stessi albergatori.

Il profilo socio-economico del centro storico di Verona si è modellato da tempo in modo simile a quello di altre città d’arte paragonabili, come Firenze e Venezia: sempre meno residenti; una marea di turisti mordi-e-fuggi; tanti piccoli esercizi commerciali di bassa qualità. È possibile invertire questa tendenza? Alcuni sostengono che occorrerebbe promuovere forme di edilizia popolare per giovani coppie entro l’ansa dell’Adige, magari utilizzando le caserme dismesse, come suggerisce Giorgio Massignan. È comunque difficile. I sostenitori di Folin dicono di sì. Riqualificando l’offerta dei servizi ricettivi verso l’alto, “lusso” compreso (non è una brutta parola…), al turismo di massa a basso valore aggiunto si sovrapporrebbe un turismo “maturo”, colto, selettivo, disposto  a soggiornare diversi giorni a Verona nutrendosi di musei, concerti e pinacoteche. Se così accadesse, ne guadagnerebbe, probabilmente, la qualità dell’intero tessuto urbano.

Via Forti

Sulle dinamiche di mercato, invece, è lecito chiedersi come mai Marriott ritenga di investire 80 milioni nell’operazione se non sulla base di ragionevoli prospettive di profitto. E poi, insomma, non si può essere liberali a giorni alterni.

Altre obiezioni al “piano Folin” sono venute dagli esperti di mobilità. Come fare arrivare 1800 congressisti in via Garibaldi e al nuovo albergo? A suo tempo la risposta di Folin fu drastica: in taxi dall’aeroporto o dalla stazione e poi a piedi, in un centro interamente pedonalizzato. Non c’è dubbio che la dottrina della “mobilità sostenibile” vuole che ogni proposta preveda la diminuzione del traffico privato. Quindi ci siamo.

La forza apparente del “Piano Folin”

Spesso i progetti urbanistici sono tanto suggestivi quanto astratti, disegnando scenari che si rivelano impraticabili perché scollegati dalle dinamiche socio-economiche concrete e dalle più prevedibili scelte degli attori. In questo caso, invece, il gioco delle convenienze commerciali coinvolte è chiaramente individuato.

Verona ha una indubbia vocazione turistico-congressuale, alimentata dal patrimonio artistico-museale-musicale e dai servizi fieristici. Quello di Folin non sembrerebbe quindi un piano calato dall’alto, un’operazione accademica, ma una realistica opportunità di rafforzare un settore dinamico dell’economia veronese. In secondo luogo, la logica del progetto premierebbe una evoluzione matura del mercato turistico, favorendo un’offerta di servizi di qualità a visitatori non occasionali. Non si può buttarlo a mare tanto facilmente.

Un’idea alta dell’agire politico

Ma… c’è un “ma” grosso come una casa. L’impressione è che il vero nodo sia politico. Nel senso più ampio. Un progetto così ambizioso non si può certo improvvisare: esso implica una decisa regia politica, che preveda sia l’organico coordinamento  degli assessorati coinvolti (dalla cultura all’urbanistica al turismo…); sia il coinvolgimento della cittadinanza, dei ceti imprenditoriali, dei residenti, dei cittadini in genere. L’attuazione del “Piano Folin” presuppone un’idea alta, strategica, dell’agire politico, che recuperi tutto il valore della “programmazione” (urbanistica, economica, culturale…) e del confronto sistematico con gli attori pubblici e privati, dopo questi terribili e inadeguati anni di laissez-faire.

Oltre alle soluzioni specifiche, il successo del piano presuppone un sistema-città efficiente nel suo insieme. Ad esempio, esso implica che le grandi infrastrutture funzionino a pieno regime. L’Aeroporto di Verona e la Fiera di Verona, motori sia del commercio che del turismo, sono tra quelle più in difficoltà e dal futuro incerto. Difficile fare arrivare i turisti americani, danesi o indiani a Verona senza un Catullo a tutto gas. E Castelvecchio? Li costringiamo a fare la fila davanti all’unico bagno perché il Circolo Ufficiali non si degna di lasciare la sua sede “provvisoria” da 94 anni?

Una veduta di Castelvecchio, foto da Unsplash di Raimond Klavins.

E ancora: è pensabile che tutto ciò avvenga senza che migliorino drasticamente i rapporti istituzionali tra Cariverona e il Comune di Verona? Come si può pensare che uno dei più importanti “motori” della vita sociale, economica e culturale cittadina come la Fondazione più cara ai veronesi sia di fatto una istituzione che si muove in modo del tutto parallelo rispetto al municipio?

Bisognerebbe che le forze politiche, di maggioranza e di opposizione,  avessero studiato il tema ed elaborato una chiara posizione in merito. Che fossero in grado di assecondare la logica del  progetto, mosso da una istituzione così importante, cercando di minimizzarne le contraddizioni e di armonizzarne gli interessi toccati. Cosa ne pensano i candidati sindaci?  E se fosse proprio una chiara posizione sul “Piano Folin” –  e non gli scontati infingimenti elettorali –  a qualificare la bontà della loro candidatura?

Foto di copertina: Google Maps

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