In occasione della proiezione del 16 ottobre del documentario “Innocence” di Guy Davidi a Mediorizzonti, Stefania Berlasso ha intervistato Cosimo Caridi, giornalista de Il Fatto Quotidiano e filmaker, attualmente a Varsavia per lo spoglio elettorale polacco.

Il tema al centro della serata al Cinema Nuovo San Michele è stata l’educazione in Israele e il processo di militarizzazione nei giovani israeliani, sistema dal quale sembra non ci sia via di uscita. «Il sistema militare israeliano è basato sul servizio militare obbligatorio. Tre anni per i ragazzi, due anni per le ragazze e sono fatti obbligatori quando si fanno diciott’anni. Ed è un momento in cui è molto facile conoscere e alimentare lo spirito di camerata.

Le unità combattenti sono delle unità che passano tanto tempo assieme e non vengono trattate come dei lavoratori specializzati ma vengono un po’ presi in giro e questa momento è molto difficile per tanti ragazzi e ragazze che ci passano e se non ci passano tutti è molto facile esserne comunque influenzati. Si tratta di inculcare modi di agire e idee che sul momento fanno veramente presa su quello che fai e creano questa sensazione di Stato che si deve difendere ad ogni costo.

Israele è uno Stato che mette nella sua definizione l’idea che se si perde una guerra esso stesso sparisce. E questo ci porta a capire quello che sta succedendo in questi giorni. La risposta all’attacco del 7 ottobre è stato mobilitare 300.000 persone.

Cosimo Caridi – giornalista

Per chi non sa niente di eserciti deve immaginarsi che il totale dell’impiego delle forze ucraine in questo momento sul fronte e sulle catene logistiche e più o meno 400.000 uomini. Per cui un Paese come Israele, che è grande una frazione dell’Ucraina, ha utilizzato 300.000 persone nell’arco di tre giorni. Che mobilitare vuol dire sia avere delle catene di comando sia avere armi e divise per tutti. Oltre alla capacità di sfamarli e di tenerli uniti. Per fare questo Israele spende più o meno il 5% del Pil annuale per alimentare la difesa. Noi in Italia stiamo discutendo se entro cinque dieci anni riusciamo ad arrivare al 2%. Israele lo fa da sempre e questo implica che la risposta che stiamo vedendo in questo momento a un attacco insensato di Hamas contro la popolazione civile avviene con tutta la forza di chi ha come obiettivo l’annientamento. Non esisterà nient’altro perché la sua forza militare è superiore a qualsiasi altra.»

La serata al Cinema San Michele. Le foto dell’articolo sono di Alice Silvestri

Non si combatte su tutta la regione ma si combatte solo su Gaza. «Su questo vorrei che ci fermassimo un secondo per immaginare cosa è Gaza, ossia una striscia di terra piccolissima ormai in cui vivono 2 milioni di persone, dove non è possibile muoversi senza sbattere su qualcuno. Erano dei campi profughi di persone scappate dalle terre dal 1948. Questo bombardamento che sta vivendo in questi giorni provoca ogni 15 minuti la morte di un bambino.»

Le dichiarazioni del Governo israeliano in questo momento continuano a rimarcare una presa di posizione netta: “siete con noi o siete contro di noi”. «L’attentato ha ucciso 1300 persone in 24 ore con dei kalashnikov e la solidarietà data a Israele è più che giusta. Il problema è che sovente questa solidarietà e, soprattutto in Italia, si trasforma in tifo per cui le notizie vengono utilizzate solo se portano l’acqua al proprio mulino, come si dice, per cui solo se portano giustificazione al male. Spesso non c’è capacità di fare un passo indietro e di guardare lo scenario più grande perché lo scenario più grande vuol dire contestualizzare, perché vuol dire diventare noiosi, perché non si risponde con tre parole a un conflitto che dura da decenni.

L’idea coloniale dell’area parte nel 1917 con i britannici con la possibilità di costruire uno Stato per gli ebrei e in questa idea inizia a svilupparsi questa modalità colonialista e colonialista separatista bianca perché all’interno di Israele esistono anche delle categorie e la gestione del potere è in mano a dei coloni ebrei bianchi che sono fuggiti prima e dopo la storia hanno costruito una società. E all’interno della società israeliana ci sono anche molte minoranze, come il 20% di arabi israeliani che hanno diritto di voto ma non sono ebrei.

Cosimo Caridi (Il Fatto Quotidiano), in diretta da Varsavia, al Cinema Teatro Nuovo intervistato da Stefania Berlasso (Heraldo)

Si gioca moltissimo sulla deumanizzazione dei palestinesi. Come per esempio, quando si parte in qualsiasi intervista, la frase “Si deve condannare Hamas prima di tutto”. In questo modo si sovrappone sempre e comunque l’immagine del palestinese di arabo al terrorismo. Ed è sempre e comunque uno svantaggio nella gestione dei rapporti ed è completamente sbagliato perché nessuno chiede a un israeliano “tu condanni le bombe che cadono su Gaza?”.

Il terzo giorno dopo l’attacco nei media si è evidenziata la storia dei bambini decapitati nel kibbutz. Il solo fatto di parlarne serve ad allineare le modalità di azione di Hamas a quello di Daesh e Isis. Il fatto di poterlo dire e ripeterlo senza verificarlo aiuta ad alimentare una narrazione. Non importa come sono morti, sono 40 bambini morti in una comunità di 900 persone. È una tragedia. Punto e basta. I giornali di tutto il mondo, quelli italiani per primi, hanno pensato bene di dare questa notizia. Ci sono voluti due giorni per capire che forse non era realmente così. Forse lo è. Probabilmente hanno fatto una barbarie. Ma questa corsa alla notizia mi fa capire che in Italia questo discorso su prendere posizione e utilizzare bandiere è molto utilizzato.»

L’articolo dedicato all’intervista con il regista Guy Davidi

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