L’endorsement di Matteo Salvini e di tutta la galassia sovranista italiana in generale, alla decisione del Parlamento ungherese di dare pieni poteri al Primo Ministro Viktor Orbán è un fatto assai interessante, e, per molti aspetti, assai grave, che ci fornisce delle indicazioni importanti per decifrare la concezione di Politica, Consenso e Democrazia di quei movimenti che genericamente definiamo “populisti/sovranisti”.

Vediamo di riassumere brevemente i fatti. Orbán, adducendo il pretesto di intraprendere azioni incisive contro il diffondersi dell’epidemia di Covid-19, con 137 voti a favore e 53 contrari del Parlamento ungherese si è fatto assegnare pieni poteri per un tempo illimitato. Potrà essere proclamato il coprifuoco e sono previsti fino a cinque anni di reclusione per chi ostacola il contenimento del virus o diffonde fake news. All’ultima rilevazione nota, l’Ungheria dichiara 492 casi di Covid-19, uno dei dati più bassi d’Europa. È di tutta evidenza, quindi, come non vi sia nessuna urgenza così immediata e grave da richiedere il promulgamento di una legislazione di emergenza. Orbán già da diversi anni naviga nella zona grigia liminare tra democrazia e autoritarismo, forte di un consenso popolare molto esteso, ma in questa sede ci interessa leggere le reazioni della politica italiana all’assegnazione al Primo ministro ungherese di quei pieni poteri che l’ex Ministro Salvini aveva chiesto per sé già alcuni mesi or sono. Come dicevamo, la galassia sovranista italiana ha plaudito con estrema soddisfazione alla decisione del parlamento ungherese, definendola una «scelta democratica».

Il bacio di Salvini al rosario

Ciò in ragione del fatto che essendo il sistema democratico a rappresentanza indiretta, è il Parlamento la sede della sovranità popolare. Tuttavia è fin troppo facile risalire a esperienze storiche precedenti nelle quali un parlamento attraverso procedure legittime ha compiuto scelte illiberali o esplicitamente antidemocratiche. Un esempio fra tutti: la presa del potere di fascismo e nazismo che è avvenuta tramite procedure parlamentari legittime. La mancanza di cultura storica è una colpa piuttosto grave per chi ha l’ambizione di governare un Paese, ma ancora più grave è la mancanza di cultura politica e di conoscenza dei meccanismi istituzionali dello stato moderno.  

Ridurre la democrazia alla meccanica applicazione della volontà popolare – posto che sia possibile determinare in maniera univoca cosa significhi il termine – è ingenuo quanto pericoloso. In primo luogo, per la difficoltà di definire che cosa si intenda per volontà popolare al di fuori dell’esercizio del voto. Troppo spesso le rilevazioni demoscopiche sono prese per fonte di legittimità. La discussione su questo tema si muove sul crinale che divide la concezione di governo tra rispondente, che corrisponde alle richieste/aspettative della maggioranza della popolazione, e responsabile, che dà conto degli atti compiuti. Ovviamente per il sovranismo populista essere rispondente alla volontà popolare è la condizione necessaria e sufficiente, in quanto il populismo si attribuisce la prerogativa di esserne l’unico interprete autentico, separando la società in due gruppi, da una parte il popolo e dall’altra i suoi avversari. Le cose però non stanno affatto così, e i precedenti storici di eutanasia della democrazia attraverso decisioni parlamentari aventi la patente di democraticità e legittimità, come abbiamo visto, non mancano.

La sala interna del Parlamento ungherese

La democrazia è un sistema complesso, e ridurre una sua parte – quella del consenso – al tutto è farne una «terribile semplificazione» come diceva Jacob Buckhardt. Seguendo i criteri per misurare un sistema democratico delineati da Robert Dahl, uno dei più importanti studiosi della politica del XX secolo, possiamo dire che un sistema per definirsi “democratico” deve garantire il diritto di voto e di esser votati, il governo deve essere contendibile, ovvero una democrazia per dirsi compiuta ha la necessità che si possa svolgere una competizione elettorale tra soggetti diversi avente come fine la conquista dell’apparato istituzionale, tali elezioni devono essere libere e pacifiche, deve esistere la possibilità di libera associazione, espressione e informazione e infine devono esistere i «pesi e contrappesi» (i famosi check and balance del lessico politico anglosassone), cioè quell’insieme di meccanismi di controllo e bilanciamento dei diversi apparati statali. 

Il problema della dittatura della maggioranza era ben presente ai teorici del liberalismo del XIX secolo, i quali avevano il timore che dietro il pretesto dell’applicazione della volontà popolare si potessero assumere decisioni liberticide. Esattamente quello che è avvenuto in Ungheria, la quale difetta rispetto ai criteri per definire una democrazia compiuta anche per altri aspetti, ad esempio la possibilità di tenere una libera competizione paritaria tra forze politiche avversarie. Per questo motivo nelle architetture istituzionali dei Paesi democratici avanzati si sono previsti dei pesi e contrappesi volti a impedire l’eutanasia della democrazia per troppa democrazia. 

Winston Churchill

Ora, il populismo vede con estremo fastidio ogni mediazione della volontà popolare, della quale si considera l’unico interprete, ma è piuttosto grave istituzionalmente che forze politiche aventi l’ambizione di guidare un Paese occidentale vedano con favore un sistema pseudodemocratico come quello del tribuno ungherese Orbán. Anche, ed è doveroso dirlo, con la sostanziale acquiescenza dell’Unione Europea che fino ad ora per motivi di opportunità ha scelto un approccio di appeasement molto soft nei confronti del regime, ora è proprio chiamarlo così, ungherese. Giova ricordare una frase di Churchill pronunciata dopo la Conferenza di Monaco: «Potevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra».

Nell’attuale momento storico – dove, a seguito dell’emergenza sanitaria riemergono mai sopite fascinazioni per l’autoritarismo che si traducono nell’esplicita approvazione da parte di una frazione molto ampia dell’opinione pubblica di provvedimenti illiberali, attuati con l’espansione della sfera del controllo, la militarizzazione dell’ambito sociale e l’intrusione nella privacy degli individui –, porre dei ben evidenti paletti è un’operazione che chiunque si dica non solo a parole “libero” deve fare. Dopo aver varcato determinate soglie, non è mai facile tornare sui propri passi, e la storia europea degli ultimi cento anni è lì per dimostrarlo.