«Il generale Qassem Soleimani ha ucciso o ferito gravemente migliaia di americani per un lungo periodo di tempo, e stava pianificando di ucciderne molti altri» ha dichiarato Donald Trump per giustificare l’uccisione di Qassem Soleimani. Ed è vero. Come è pur vero che questo generale ha avuto parte non marginale nella sconfitta di Daesh (ovvero l’Isis) e che fino alla tragedia delle Torri Gemelle (2001) era considerato uomo di riferimento per gli USA in Afghanistan. Un buono divenuto cattivo e che forse non era né l’uno né l’altro, o forse era tutt’e due le cose.

Il fatto è che la retorica dei buoni/cattivi, tanto amata perché così rassicurante nella sua apparente semplificazione razionalistica della realtà (necessaria per credere che il mondo abbia un senso e un fine) non funziona appena ci si addentra nelle questioni.

Pensiamo alla Libia, proprio di fronte a noi: il generale Haftar muove su Tripoli e, in risposta, interviene la Turchia. Turchia che fa parte della NATO, ma gode del supporto della Russia, che combatte l’Isis salvo reclutarne i militanti per uccidere i Curdi, che combattono da sempre Daesh ma sono una spina nel fianco per Erdogan. Insomma, la Turchia è nostra alleata nella NATO; l’Europa è, come la Turchia, contro Haftar e con Serraj, ma nessuno è favorevole, a parole, all’intervento turco. E Haftar, intanto, ha dalla sua missili e forze speciali francesi e contro un’Italia rappresentata dal Luigi Di Maio. Chissà che paura.

E pure è un fatto che la politica del Medio Oriente, per il cittadino occidentale, è un vero rebus. Abbiamo da una parte l’America di Trump, amata e odiata, terra della libertà e della democrazia così come delle guerre di esportazione di democrazia anche a costo di mentire (pensiamo alla questione armi chimiche). Uno Stato che ci garantisce la pace con l’ombrello della NATO dal 1949, la rinascita economica col piano Marshall dal 1947 al “solo” prezzo dell’indipendenza politica ed economica, costo da pagare visto l’esito della Seconda guerra mondiale e, se qualcuno nel frattempo viene ammazzato (come al Cermis), pazienza. Uno Stato che, per molti, è simbolo dell’arroganza ma, al contempo, modello economico e di libertà da seguire per gran parte dei cittadini consumatori italiani anche per effetto della cultura cinematografica.

Ellis Island

Dall’altra parte l’Iran, uno Stato teocratico fondamentalista che amiamo in modo proporzionale alla distanza. Non abbiamo loro profughi con i barconi; i rapporti commerciali Italia-Iran sono ottimi. Pazienza se i diritti civili e la condizione femminile sono lontani anni luce dagli standard europei: è la loro cultura, si dice. Ed è vero, se si ritiene che il giusto e l’ingiusto non siano assoluti, ma relativi e possano variare per latitudine o per l’ethos particolare di un popolo. E torniamo qui alla questione della cronaca, che vede l’Iran iniziare le sue rappresaglie a partire da quella tecnologica e l’America attendere il momento per scatenare la propria forza militare quando riterrà superato il limite.

E qui sta il punto. La guerra scoppierà? Forse no. Ma chi ha spinto per l’uccisione di Soleimani lo vorrebbe; non per sete di sangue, ma perché è una necessità di sistema. Come molti indicatori economici segnalano, salvo sorprese, il biennio 2020-2021 sarà teatro per una nuova, potente crisi economica sul modello del 2007. Trump lo sa, la Cina lo sa. Ora, Trotsky nel 1938 affermava che «le forze produttive sono incatenate dalla struttura della proprietà privata, così come dai confini degli stati nazione. L’imperialismo cerca di spartirsi e ripartirsi il mondo. Al posto delle guerre nazionali ci sono le guerre imperialiste». Gli USA hanno bisogno di guerre per la loro economia? Vediamo i loro interventi:

  • Prima guerra mondiale 1917-1918
  • Guerra civile russa 1917-1922
  • Seconda Guerra Mondiale 1941-1945
  • Guerra di Corea 1950-1953
  • Guerra del Vietnam 1953-1975
  • Invasione di Grenada 1983
  • Invasione di Panama 1990
  • Prima guerra del Golfo 1990-1991
  • Somalia 1992-1994
  • Afghanistan 2001
  • Iraq 2003-2011
  • Libia 2011

Questo è un elenco incompleto: oltre a motivi politici, legati a questioni di equilibri (lotta al Comunismo) e di prestigio, l’economia statunitense ha bisogno di guerre per sostenere e foraggiare la propria economia perché, insieme alla Cina, è lo Stato che spende di più in assoluto in spese militari, con un aumento dell’83% negli ultimi 10 anni. Ecco, dunque, come l’uccisione di Qasem Soleimani sia fondamentale per eliminare un elemento, discutibile finché si vuole, di equilibrio, per permettere ai falchi iraniani di mettere all’angolo i moderati del presidente Hassan Rouhani e di radicalizzare le posizioni e creare, così, le condizioni ideali per un incidente scatenante.

L’attentato di Sarajevo. 28 giugno 1914

Sembra tutto facile, ma non è così. La Guerra fredda è finita. Questo cambia parecchio lo scenario che prima avrebbe visto gli USA muoversi senza alcuna remora: la forza militare cinese è in alcuni ambiti superiore a quella americana ed è il secondo maggior detentore di debito pubblico statunitense. Putin, d’altro canto, ha sufficienti armi nucleari per ridurre la vita sul pianeta al livello di Giove. L’Europa – e Trump ha già mostrato la sua delusione – se possibile non interverrà.

Difficile, dunque, un’escalation. La speranza, per chi preme per la guerra, può essere un colpo improvviso di una delle forze radicali iraniane (o di qualcuno che vi assomigli). Per gli altri, che Russia e Cina facciano intendere che non rimarranno a guardare in caso di attacco. Almeno sul breve periodo: non per questo, infatti, il bisogno degli USA di trovare qualcuno su cui scaricare il costo del proprio debito e della propria economia magicamente sparirà. Staremo a vedere.