La Gran Bretagna, dal 1 febbraio 2020, non appartiene più all’Unione Europea, che è passata così da 28 a 27 membri. E in un anno particolarmente difficile come questo 2020 si aggiungerà, fra poche settimane, il 31 dicembre 2020, anche la definitiva uscita dal mercato unico, con accordi ancora ben lontani dall’essere trovati. Una condizione non certo ideale per affrontare il 2021, anno determinante per la ripresa economica e sociale dell’intero continente.

La Gran Bretagna si affiancò nel 1973, insieme a Danimarca e Irlanda, ai sei paesi fondatori dell’allora Comunità Economica Europea (CEE): Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo. L’evoluzione di quella federazione ha poi portato, negli anni, all’aggiunta di Grecia, Spagna e Portogallo negli anni Ottanta e poi – dopo il 1989, anno chiave per l’Europa e il mondo intero – al’allargamento a quindici stati nel 1995 con l’ingresso di Svezia, Austria e Finlandia. Nel frattempo sono cambiate le regole e le norme giuridiche, con i Trattati di Maastricht e Schengen – fra gli altri – a rivoluzionare le relazioni e le interazioni di un intero continente. Con l’ingresso, nel 2004, di ben nuovi dieci Stati l’allargamento ad est dell’Europa concepita dai padri fondatori (fra cui Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Winston Churchill, Francois Mitterrand, Helmut Kohl e molti altri) diviene finalmente realtà. Ma la Gran Bretagna, un insieme di isole che si è sempre contraddistinto per la sua diversità dal resto d’Europa (con la sua moneta, la sua guida a sinistra e le tante altre differenze, nel bene e nel male, di abitudini e mentalità, etc.) non si è mai davvero uniformata e a ha sempre guardato più all’altra sponda dell’Oceano (leggasi Stati Uniti) che all’altra sponda del Canale della Manica. E le spinte interne sono diventate nel corso degli anni sempre più insistenti, fino ad arrivare alla figura di Nigel Farage, paladino dell’uscita dall’Eurogruppo.

Lo shock vissuto dall’intero Continente il 23 giugno 2016, giorno in cui sorprendentemente il referendum indetto dal premier David Cameron – apertamente a favore della presenza del Paese nella UE e per questo dimissionario il giorno successivo – vide vincere sia pur di pochissimo la Brexit, rimarrà per sempre nella storia della federazione. E anche se altre volte, in passato, sono stati indetti referendum per decidere sull’uscita (o l’entrata) di un paese dall’Unione europea – come quando nel 1993 la Groenlandia, territorio autonomo della Danimarca e non stato membro, decise di uscire dalla UE o quando, in varie occasioni, i cittadini di un paese nel cuore dell’Europa come la Svizzera hanno confermato la loro storica “neutralità” – stavolta è stato diverso. Diverso, perché si tratta di un Paese membro che esce, un Paese tra i più popolosi, ricchi e influenti dell’intera area europea ed è inevitabile che il peso psicologico dell’evento sia pari alla sua grande, grandissima portata storica.

Sostanzialmente bisognerà capire cosa succederà da qui al 31 dicembre e soprattutto quali accordi riuscirà a strappare il Governo di Johnson con l’Unione Europea, accordi che potrebbero portare ad un’uscita “relativa” oppure, qualora non si trovi l’intesa con Bruxelles, a un’uscita “assoluta”, più radicale. I leader europei, da Merkel a Conte, si affannano in queste ore a sostenere che un accordo soft è ancora possibile, ma non verrà portato a casa “a tutti i costi”. Insomma, l’UE vuole essere comunque protagonista e non accetterà qualsiasi proposta dal biondo Johnson, che proprio oggi si riunirà a Bruxelles con la Presidentessa della Commissione Ursula Von der Leyen. Il mancato raggiungimento di un’intesa farebbe si’ che dall’inizio del prossimo anno vengano applicati – per la prima volta in quasi mezzo secolo dazi su alcuni scambi di merci tra il Regno Unito e l’Unione a cui invia il 43% delle sue esportazioni.

Ciò metterebbe anche fine alla cooperazione tra Londra e Bruxelles in
materia di criminalità, sicurezza e viaggi, e corroderebbe le relazioni
tra i due alleati in Europa in vista dell’arrivo della nuova amministrazione a Washington. Anche con un accordo pero’ gli ostacoli al commercio aumenteranno, aggiungendo costi e causando ritardi per importatori ed esportatori da entrambi i lati del confine. Il culmine dei colloqui arriva in un momento già complesso, con il Regno Unito e l’Ue che stanno combattendo contro la pandemia di Coronavirus e i suoi danni economici. Il Regno Unito e’ stato uno dei Paesi più colpiti, con un prodotto interno lordo alla fine del terzo trimestre inferiore di quasi il 10% rispetto a quello dell’anno precedente. Quasi 70.000 morti in Uk sono stati registrati per il
Covid-19, facendo si’ che il Paese abbia uno dei peggiori bilanci a
livello di decessi pro capite in Europa. E c’è già chi sostiene che il mancato raggiungimento di un accordo lascerebbe cicatrici più durature sull’economia britannica rispetto al Coronavirus, anche se Johnson ha detto di essere fiducioso sul fatto che l’economia britannica prospererà indipendentemente dal raggiungimento di un accordo commerciale con l’Ue.

Domani ne sapremo di più. Intanto, però, ne discuteremo già fra poco, alle 18.31, a “Succede alle 31” insieme alla giornalista veronese Elisabetta Zampieri, in collegamento da Londra, e alla guida turistica veneziana, collegata dalla Scozia, Diana Zilioli.