C’era da aspettarsi che i giornali nazionali si lanciassero sulla questione Balotelli rispolverando, a corredo, foto della curva di almeno vent’anni fa: quindi, poco male. Più interessante la posizione di un giornale nuovo e teoricamente giovane come Open di Mentana che, per la verità, ha provato come, di fatto, la stampa sia prevenuta nei confronti di Verona.

Più che gli articoli, scontati, sono i commenti social su tutti i giornali, Open compreso: i veronesi a negare l’evidenza, gli altri tutti a etichettare la nostra città come recidiva, fascista, nazista, razzista. Il Comune, nel frattempo, fa bella mostra di sé diffidando… Balotelli. La solita questione della polarizzazione, che avevamo già segnalato tempo fa: Verona è la città di Giulietta e dei nipoti di Hitler, senza mezze misure.

La verità l’ha vista il solito lucido Francesco Barana: il referto arbitrale è inequivocabile, pochi imbecilli hanno infangato l’immagine della città e persino Setti è riuscito a fare una bella figura. Ma ormai il tritacarne si era messo in moto. Ora, più che le vicende sportive, di cui qui nulla ci interessa, è l’immagine della città che desta preoccupazione.

Verona nella nebbia

Non tanto per la scelta di intervistare Castellini, furbata di Radio Café che va sul sicuro per sollevare il polverone, come se Castellini fosse Verona. Mentana è il punto: un giornale nuovo potrebbe, anzi dovrebbe, proporre una lettura nuova, più open, e invece il suo Open si accoda al coro scandalizzato e solo sul suo profilo social il direttore finisce per chiedere “Separiamo Verona dai suoi ultras”. Ed è indicativo.

Perché Verona, da anni, è debole. Facile notare come eventi altrettanto (se non più gravi) di altre città vengano presto dimenticati per non turbare i lettori, ovvero i propri cittadini: se la curva dell’Inter rivendica i cori razzisti o apostrofa come ebrei i milanisti la polemica dura poco, se al San Paolo lanciano bombe carta sui tifosi ospiti è il calore del tifo partenopeo, se in trasferta i tifosi dell’Hellas aspettano un tempo fuori dallo stadio pur avendo il biglietto, semplicemente, chissenefrega.

Facile pure vedere che, oltre a un giornale cittadino di peso sul panorama nazionale, ci mancano politici locali o industriali editori in grado (o, meglio, con la voglia) di difendere l’immagine pubblica della città. Quei pochi che abbiamo sono, ad esempio, Massimo Giorgetti – più attento alle questioni economiche – e Lorenzo Fontana, che non ci aiuta a smentire lo stereotipo. Una soluzione sarebbe cambiare il panorama politico, magari con l’autonomia ma, come dicevamo tempo fa, per grandi obiettivi ci vogliono grandi politici e noi purtroppo abbiamo quel che abbiamo.

Su questo dato oggettivo, si innesta un ulteriore elemento di debolezza: non sappiamo dire chi siamo. Verona sta inesorabilmente perdendo la sua identità. Non è più la città della lirica, surclassata da altre realtà più attente e dinamiche; l’Arena è contenitore di qualunque evento. Le grandi mostre seguono spesso percorsi che privilegiano altre città, e in Gran Guardia abbiamo sempre più spesso mostre d’impatto visivo ma di spessore culturale discutibile. La via scelta è il turismo di massa distratto e disinteressato, come segnalava Kieffer nella sua recente indagine. Una provinciale che aspira a numeri da grande con la suggestione di Vienna e il pericolo reale di finire come Venezia, con il turismo mordi e fuggi dei polpi che divorano le carcasse delle balene lasciandone biancheggiare malinconiche le ossa.

Ancora, i politici veronesi stanno facendo di tutto per confermare l’aspetto non democratico della città. Ne parlavamo tempo fa a proposito del sindaco, del Congresso delle famiglie, del rapporto con Casapound; viene veicolata un’immagine fin troppo spinta dell’ethos veneto, descritto da queste colonne; pure il rilievo dato ai Templari (sic) non è il massimo per allontanare l’idea di Verona come Società Thule.

Non avendo parole, siamo vittime della semplificazione dicotomica e delle parole degli altri per i quali siamo Giulietta e Castellini: Verona come città dell’amore e dell’odio. E senza un santo in paradiso.